Poesia Di Alessandra Morea. Wislawa Szymborska, l’assoluta singolarità della persona dietro la penna: uno stile semplice, apparentemente leggero, eppure impeccabilmente geniale, una poesia esistenzialista, che si interroga sui grandi temi dell’umanità.
Quando qualcuno scrive di lei, è facile che esordisca acclamando all’indiscussa, stupefacente e tuttavia recente fama, tanto in Italia (soprattutto grazie alle traduzioni di Pietro Marchesani) quanto nel resto d’Europa. Quasi risulta difficile da giustificare, se si pensa che la poetessa polacca, nata a Kórnik, il 2 luglio 1923 e morta a Cracovia il 1° febbraio 2012, era pressoché sconosciuta al di fuori dei confini patri prima di ricevere una serie di prestigiosi riconoscimenti: dal premio Goethe nel ‘93, al premio Herder nel ‘95, per arrivare al Nobel nel ‘96. Un Nobel inatteso all’estero ma anche alla stessa poetessa, donna umile e distratta, che amava starsene in disparte, lontano dalle interviste, dai media e persino dai gruppi letterari (come da lei stessa testamentato nella celebre poesia Epitaffio).Il “fenomeno Szymborska”, sul quale molti critici e scrittori si sono interrogati, trova forse spiegazione proprio in questo: nell’assoluta singolarità della persona dietro la penna, che si accompagna a un altrettanto singolare stile, semplice, apparentemente leggero, eppure impeccabilmente geniale, capace di dar forma a una sostanza filosofica. Sì, perché la poesia di Szymborska, anzi, di Wisława, come probabilmente lei stessa avrebbe preferito sentendosi citare, è senza dubbio una poesia esistenzialista, che si interroga sui grandi temi dell’umanità, sul senso e sui sensi, il cui eco può diffondersi e rifrangersi solo in virtù della profondità da cui nasce.
Qui giace come virgola antiquata
l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata
dell'eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante.
E anche sulla tomba di meglio non c'è niente
di queste poche rime, d'un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,
e sulla sorte di Szymborska medita un istante.
Wislawa Szymborska, Epitaffio
Ma chi era allora Wisława Szymborska?
Siamo forse noi lettori a dover scegliere fra due alternative: o era una simpatica donnina amante di serie TV, gadget, mercatini delle pulci e cartoline, dal discutibile gusto kitsch, a tratti presa da accessi di lirismo e rapimenti d’animo; o era un genio nei panni di una vita semplice, accuratamente ritagliata da chi ama la quotidianità, come ben traspare da Cianfrusaglie del passato, unica biografia della scrittrice (a cura di Anna Bikont e Szczesna Joanna), ma anche dal documentario La vita a volte è sopportabile - Ritratto ironico di Wisława Szymborska.In effetti non possiamo ignorare la grandezza dello stupore e dell’incanto che la poetessa svela e nutre osservando la vita: dalle piccole (La cipolla), piccolissime cose (Microcosmo), alle più grandi e incontenibili (Nella moltitudine). Quello stesso stupore viene trasmesso al lettore, che si riscoprirà bambino; quello stesso incanto si incarnerà nell’orecchio di chi ascolta i suoi versi.
Ma attenzione: all’estasi della bellezza, alla gratitudine e alla benedizione che vien mandata a tutto il creato, non manca il pensiero vigile e l’occhio critico. I grandi problemi del mondo, le guerre, la reticenza di un buon senso che sembra nascondersi fra uomini confusi e tristi, toccano ugualmente le corde della Szymborska, e molte sono le domande che vengono poste, quasi fossero esse stesse già una denuncia (Elenco): nel lettore ogni domanda può esplodere come una granata per liberarne a grappolo altre.
Così la poetessa, che si addentra nei misteri belli e brutti dell’esistenza, va ben oltre lo spunto di riflessione.
Lo fa ad esempio, usando l’arma dei paradossi, dell’ironia (tale è la forza dei suoi “contrari” da confondersi a volte con l’umorismo), senza mai cedere tuttavia alle lusinghe del giudizio: piuttosto si mostra indulgente, sorniona, solidale verso un genere umano a cui sa bene di appartenere. Loda la perfezione tanto quanto l’imperfezione, e non a seconda dei casi, ma secondo buonsenso. E, come mai scade nel giudizio, allo stesso modo mai alza la cresta dell’edonismo e dell’egocentrismo, tanto tipici dei poeti contemporanei: non c’è posa alcuna, né ombra di poète maudite, né vera decadenza nella scrittura.Eppure neanche alla Nobel di Cracovia sono mancate critiche negli ultimi vent’anni. Prima fra tutte, la pregressa adesione al regime sovietico, quindi al Partito Operaio Unito Polacco della Repubblica Popolare, del quale fu membro fino al 1960. Il primo volume di poesie, in effetti, edito nel ‘54 e dal titolo Dlatego żyjemy (Per questo viviamo), non nasconde l’allineamento al realismo socialista di Stalin. Da queste posizioni, tuttavia, la Szymborska prese le distanze, pare anche sin da prima dell’uscita ufficiale dal partito, per passare all’opposizione e alla militanza nel movimento sindacale Solidarność.
L’altra, ormai “storica”, perplessità nei riguardi della Szymborska è legata a quanti si pronunciano sulla sua scrittura definendola molto più che contemporanea.
Tanto “post” da risultare “pop”, perché approssimativamente di facile lettura e comprensione, un po’ come il buon Neruda, di cui potrebbe essere la controparte femminile europea. Pare che i suoi libri siano letti anche da chi è abitualmente a digiuno di poesia: in un Paese come l’Italia, in cui già non si legge, Wisława piace a molti, se non a tutti. La sua è una scrittura “intergenerazionale” e persino “interintellettuale”, volendo usare un neologismo, perché spazia in un ampio raggio di gusti, di bagagli culturali, di conoscenze letterarie.E certo non solo per via dello stile asciutto e lineare: i suoi versi sono un manifesto di autenticità, franchezza e al tempo stesso dolcezza e curiosità: in una parola, saggezza.
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.
Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.
La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.
Wislawa Szymborska, La cipolla
© Alessandra Morea
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