Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "Biglietto di terza classe" di Silvia Pattarini | estratto #1

estratto

L’ondata di scioperi proseguì ancora per tutto il 1909 e le operaie tessili della fabbrica newyorkese “Triangle Shirtwaist Company”, leader nella produzione di camicette alla moda dell’epoca, le “shirtwaist”, iniziarono uno sciopero proprio l’8 marzo, dando l’avvio a una lunga protesta.

Lo sciopero durò parecchio tempo, le operaie protestavano contro i bassi salari, contro il lungo orario di lavoro, contro lo sfruttamento minorile e le inumane condizioni dei lavoratori. Tra le altre cose si lamentavano anche per la mancanza di adeguate misure di sicurezza e antincendio sul luogo di lavoro.
Con tutte queste manifestazioni Lina e Cecilia non sapevano cosa fare. Da un lato avrebbero voluto scioperare, ma dall’altro temevano ripercussioni dal datore di lavoro.
Ma ancora di più temevano le ripercussioni dei colleghi, che stavano organizzando dei veri e propri picchettaggi, linciando i ‘crumiri’, ovvero chi non partecipava agli scioperi.
Un giorno una ragazza ebrea di nome Clara Lemlich si fece largo a un convegno prendendo la parola, e, attraverso un lungo ed elaborato discorso in lingua Hiddys, incitò tutte le lavoratrici tessili a scioperare il giorno dopo.
«La situazione è difficile! Dobbiamo assolutamente decidere da che parte stare! O stiamo come dovremmo stare con le operaie, altrimenti rischiamo di farci linciare» suggeriva Lina alla collega che ribatteva «se ci uniamo a loro rischiamo di perdere il lavoro! Il padrone ci licenzia! Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di uno stipendio!».
«Chi se ne importa! Siamo a New York cara mia! Di lavoro ce ne cerchiamo un altro» continuava Lina, nemmeno troppo convinta delle sue parole, ma ormai anche lei sostenitrice della rivolta.
Insomma era un dilemma, lottare e rivendicare i propri diritti, rischiando di perdere il lavoro, oppure sottomettersi sempre al volere del padrone e subire, subire, ma avere la certezza di uno stipendio, sia pur magro.
«Non possiamo subire in eterno! Dobbiamo farci coraggio e andare a protestare insieme alle altre» suggeriva Lina alla collega più titubante.
Finalmente dopo tante riflessioni, nella convinzione che scioperare fosse non solo giusto, ma un loro diritto, Cecilia si convinse sul da farsi.
«Ci ho pensato tutta la notte e credo che tu abbia ragione! Dobbiamo protestare! Da domani scendiamo in sciopero anche noi».
Non avrebbero mai immaginato che a quella protesta il giorno seguente avrebbero aderito oltre 20.000 donne, e che sarebbe passata alla storia come “rivolta delle 20.000”. Le operaie tessili di tutte le sartorie di New York quel giorno abbassarono le saracinesche e si riversarono lungo le vie della città in segno di protesta.

«Hai visto quante siamo! L’unione fa la forza! Ci siamo tutte, proprio tutte» esultavano le ragazze mischiate alla folla di scioperanti, mentre sfilavano per le vie della città.

Le proteste proseguirono anche nei giorni successivi, e si arrivarono agli scontri con la polizia che interveniva brutalmente sugli insorti a manganellate. Inoltre alcuni proprietari delle più grandi fabbriche tessili della città avevano assoldato dei delinquenti per malmenare le scioperanti. Questo come conseguenza rafforzò gli ideali di lotta delle manifestanti, anche gli uomini parteciparono ai picchetti, lottando contro il nemico comune. A favore delle donne insorte si schierarono a sorpresa anche le donne dell’alta borghesia di New York. Queste ultime, con le loro conoscenze influenti, organizzarono una colletta per sostenere le scioperanti, durante i lunghi giorni di astensione dal lavoro.
«Hai saputo? Le donne dell’alta borghesia stanno dalla nostra parte! Stanno organizzando una colletta per sostenere i nostri sforzi! Tutta la città si sta schierando con noi» annunciò tutta contenta un bel giorno Lina alla sua amica Cecilia, dopo lunghi giorni di astensione dal lavoro, quindi senza stipendio.
«Davvero? Vuol dire che avremo comunque dei soldi?».
«Credo di sì, il ricavato della colletta sarà distribuito tra tutte noi. Ci informeremo bene come fare» replicò Lina tutta soddisfatta.
La stampa e il sindacato stavano dalla parte delle scioperanti, i giornali non parlavano d’altro che dei cortei, delle sfilate delle operaie tessili, dei picchetti, capeggiate dalla immigrata ebrea Clara Lemlich, e sostenute nella dura battaglia anche dal sindacato National Women’s Trade Union League of America (NWTUL).

Durante la rivolta il sindacato decise di usare il sesso delle donne come un ‘vantaggio,’ scommettendo che i proprietari delle fabbriche e la polizia non avrebbero trattato le donne con maniere brutali e qualsiasi rappresaglia contro di esse sarebbe stata vista negativamente dalla stampa. 

Invece i proprietari non si mostrarono molto indulgenti con le donne, specie con quelle che capeggiavano la rivolta come Clara Lemlich. Lo sciopero andò avanti alcuni mesi, durante i quali ci furono duri scontri con la polizia, e Clara Lemlich e le persone a lei più vicine furono arrestate. Arrivarono addirittura ad accusare la Lemlich di aver fomentato una rivolta contro Dio.
Grazie all’intervento delle donne dell’alta borghesia, le accuse a lei rivolte caddero e fu rilasciata. Dopo una lunga trattativa tra datori di lavoro, sindacato e movimento operaio, il 24 dicembre 1910 si arrivò a un accordo il ‘protocollo della pace’, nel quale venne riconosciuto il diritto a regolare l’orario di lavoro e il salario. La settimana lavorativa fu limitata a cinquantadue ore, i lavoratori avevano diritto a ferie pagate e i datori di lavoro dovevano fornire tutti gli strumenti necessari per il lavoro. La maggior parte delle sartorie minori aderì a questo emendamento, le più grandi non si lasciarono intimorire e rifiutarono di firmare l’accordo.
Questo sciopero segnò una tappa importante per il movimento operaio americano del settore tessile e fu il primo grande successo delle lavoratrici nella storia americana e anche Lina e Cecilia vi avevano contribuito. Molte fabbriche accettarono l’ingresso del sindacato dell’abbigliamento, l’International Ladies’ Garment Workers Union, ma non la più grande fabbrica di camicette di New York, la Triangle Shirtwaist Company.


BIGLIETTO DI TERZA CLASSE

0111 Edizioni
Romanzo storico
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