Gli scrittori della porta accanto

8 libri che parlano della fragilità e della forza delle donne

8 libri che parlano della fragilità e della forza delle donne

Professione lettore Di Stefania Bergo. Non sono eroine di poemi epici. Sono donne inventate, reali, realistiche. Di carta e inchiostro. Di carne. Fragili come cristallo incrinato. Forti e resilienti come roccia granitica.

Donne. Che trovano spesso la forza di sorridere o sopportare la loro condizione, di rialzare la testa, di liberarsi dal peso dei limiti imposti da altri, che nulla hanno a che vedere con quelli posti dalla natura. Oppure, al contrario, si lasciano sopraffare dalla loro fragilità e si contorcono su se stesse, andando in frantumi.


UN ERRORE DI GIOVENTÙ di Elena Genero Santoro

UN ERRORE DI GIOVENTÙ

di Elena Genero Santoro
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
ebook 2,99€
cartaceo 12,50€

ESTRATTO DA CAP 35

All’asilo era molto più attratta dai giochi delle bambine. Cercava la complicità delle sue coetanee, voleva condividere le loro bambole. Si domandava perché dovesse indossare il grembiule azzurro anziché quello rosa, che le piaceva molto di più. Lo chiese persino alla mamma. A lei sarebbe parso naturale farsi crescere i capelli e legarli con i codini, perché era convinta che in tal modo sarebbe stata una di loro, sarebbe diventata una femmina pure lei. Sua madre sorrise, non la prese sul serio. Le spiegò con dolcezza e con dovizia di dettagli: “Tu sei un bel maschietto, tu hai il pisellino. È per questo che indossi una divisa azzurra”. Pensava di avere risolto la questione, ma nel momento in cui Teresa comprese qual era il fattore discriminante non fece che sognare di eliminarlo. [...] All’inizio sua madre l’aveva preso come un gioco, ma l’aveva raccontato a suo padre il quale, un giorno in cui voleva indossare delle scarpe con il tacco, le diede un ceffone sonoro, proprio dietro l’orecchio, dicendole: “La finiamo con queste cazzate? Che cosa sei, un frocio?”. Teresa aveva cinque anni, ma aveva percepito il disgusto di suo padre nei suoi confronti, mentre iniziava a dubitare della propria mascolinità. La madre la portò dalla pediatra, come se fosse malata. Quella ci rise su, disse che alla sua età non bisognava affatto dare peso alle sue stranezze, che sue fantasie di bambino non c’entravano proprio niente con il suo futuro orientamento sessuale. Parlare di omosessualità era prematuro, e forse c’erano troppe donne in casa e lei imitava sua sorella perché era un attore in erba. Al limite, dovevano iscriverla a una scuola di calcio, almeno avrebbe familiarizzato con i suoi simili. Sua madre uscì sollevata da quell’incontro, dichiarando la questione chiusa e, tuttavia, suo padre continuava a guardarla con sospetto. Lei, nel frattempo, con lo smalto sulle unghie avevo suscitato l’ilarità dei suoi compagni di classe. Per farla breve, il parere della dottoressa, gli sfottò degli altri bambini e l’ostilità di suo padre nel giro di poco la convinsero che quella sbagliata era lei.


TELMA

di Claudia Gerini
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
ebook 2,99€
cartaceo 10,00€

ESTRATTO DA PAG. 73

Avevo preparato, come al solito, la cena e i bambini avevano fatto più capricci del solito. Avevo ringraziato il cielo quando il padre si era, stranamente, offerto di accompagnarli in camera. Iniziai a sparecchiare la tavola con i soliti gesti lenti e ripetitivi che accompagnavano, ormai, le mie noiose giornate. Riposi i piatti nel lavello e iniziai a insaponarli. Il Signor Luigi, intanto, tornò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Lo sentii arrivare da dietro e cingermi la vita con le braccia. Mi incollò al mobile del lavello, senza che avessi la possibilità di muovermi o anche solo di girarmi. Mi ritrovai impietrita, incapace di reagire in alcun modo. Il Signor Luigi mi dette un bacio sul collo, poi un altro, poi un altro ancora…
«Oh, Telma, sei così bella… davvero non so che cosa mi stia succedendo. Alla mia età, poi! Ma che mi hai fatto?». Mi baciò di nuovo, questa volta più su, sulla guancia e con la mano destra cercò di farmi voltare per baciarmi, questa volta, sulla bocca. Mi irrigidii ancora di più, puntando i piedi per terra e reggendomi con le mani al lavello. Il Signor Luigi, a quel punto si rese conto, forse, di quello che stava accadendo e parve mollare la presa. Appoggiò la testa sulla mia schiena, inebriandosi del profumo dei miei capelli. «Mio Dio, Telma, mi dispiace. Ma che sto facendo? Devo essere diventato pazzo. Mi dispiace, perdonami».
Le sue braccia si staccarono improvvisamente dalla mia vita e sentii i suoi passi allontanarsi su per le scale… poi il silenzio.
Sconvolta mi sedetti, mi versai un bicchiere d’acqua e lo bevvi tutto d’un fiato, cercando di ritrovare la calma. Decisi che avrei fatto finta che tutto questo non fosse mai successo. Relegai quell’episodio nella parte più remota della mia testa e, come era stato per Tiago un tempo, finsi che tutto andasse bene e che fosse stato solo un brutto sogno.


Con la mia valigia gialla, Stefania Bergo (Memoir) - Gli scrittori della porta accanto

CON LA MIA VALIGIA GIALLA

di Stefania Bergo
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa di viaggio
cartaceo 12,00€
ebook 2,99€

ESTRATTO DA PAG 85

In effetti qui l’alcolismo è una vera piaga. Mentre le donne accudiscono la famiglia e la casa, cucinano quello che loro stesse sono andate a comprare al mercato dopo ore di cammino, scendono al fiume a prendere l’acqua caricandosi le taniche gialle sulla schiena, percorrono chilometri interminabili o lavorano nei campi con i figli legati ai lombi, la maggior parte dei mariti siede comodamente nei pub, sorseggiando birra calda che entra subito in circolo e li rende sgradevoli, violenti a volte − ma forse, è così per tutti gli alcolisti, non solo qui.
Non ho mai visto una donna seduta qui a bere, magari una soda, chiacchierando con le amiche, rifletto. Le uniche siamo noi volontarie dell’ospedale. E Regina, che però ci lavora. E mi ricorda tanto mia madre, realizzo con un velo di nostalgia. Anche i miei genitori hanno avuto un bar, per trent’anni. E a lei capitava di restare sola, anche di sera, a servire birra a ragazzotti alticci che si trattenevano a lungo a raccontarsi, con voce squillante, disavventure e aneddoti di cui vantarsi.


IL SOGNO DELL'ISOLA

di Tamara Marcelli
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
ebook 2,99€
cartaceo 13,00€

ESTRATTO DA CAP. 4

La notte ha un sapore diverso. Lo avrei scoperto meglio molti anni dopo. Intanto mi godevo le ore notturne a leggere, a scrivere al buio per non farmi scoprire, come se usare il mio tempo come meglio pensavo fosse un sacrilegio. Leggevo, scrivevo e pensavo. Sognavo ad occhi aperti in quella piccola camera bianca avvolta dal buio, illuminata da una piccola luce soffusa nascosta tra le lenzuola. Immaginavo nuove storie, scenari sempre diversi. Avventure anche assurde, ma solitamente a lieto fine. E sognavo. Mi lasciavo cullare dalla rassicurante fantasia. Avrei avuto tempo, anni dopo, per farmi tormentare da angosciosi e ossessivi, assurdi incubi. Terrificanti situazioni in cui ogni notte mi trovavo a correre per sfuggire al mio Uomo nero. Quello che mi seguiva, nascosto nel buio, che appariva improvvisamente dal nulla, preannunciato solo da un inconfondibile malessere e da un sentimento di vera angoscia. Che mi braccava a lungo come fossi un leone in gabbia e mi sferrava coltellate ovunque. Tante coltellate. Affilate ed incontenibili coltellate. A raffica. Non avevo scampo. Mi trovava sempre. Tutte le notti. Ecco il mio uomo nero in quegli anni ancora non si era presentato. Altrimenti avrei sceneggiato e rappresentato anche lui. Sicuramente. Magari per annientarlo. Definitivamente. Perché è inutile scappare. Le paure più remote sanno sempre come raggiungerti. E in quel caso, impreparata, non avresti scampo. Bisogna sempre ripartire da sé, ad ogni inizio. Qualunque inizio sia. Ovunque vorresti andare. Puoi permetterti un viaggio solo quando sei consapevole di voler partire. Per affrontare la realtà capii che avevo bisogno della mia arte. Di quel che sentivo naturale in me. Dovevo aggrapparmi a qualcosa di solido ed in me lo scovai. Non so bene dove, ma c’era. Improvvisamente mi illuminai.


VOLEVO UN MARITO NERO

di Valentina Gerini
StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa di viaggio
ebook 2,99€
cartaceo 5,99€

ESTRATTO DA PAG 70

Visitai la capitale Santo Domingo dove vidi altissimi palazzi e centri commerciali. Era una vera e propria città, intasata dal traffico. Non c'erano mucche lì, solo macchine, autobus e taxi, spesso malconci. Vidi la zona coloniale dove si dice sia vissuto il nipote di Cristoforo Colombo per anni, una parte molto antica, forse l’unica parte antica rimasta in città, fatta di stradine piastrellate e edifici in stile coloniale. Moltissimi negozi di artigianato e ristoranti anche di alto rango costeggiavano le stradine.
Passeggiando come una turista ricordai perché avevo scelto questo lavoro e mi sentii felice. La mia vita iniziava di nuovo a prendere forma. Dicendo sì alla vita incontrai quello che oggi è mio marito. Decisi di dire sì perché io ero sempre stata una persona positiva, che viveva la vita appieno e soprattutto che credeva nell’amore. E stavo iniziando di nuovo a farlo. Mi ricordai dei treni, di quando a mia sorella avevo raccontato che la vita era un treno. E allora avevo capito che il mio treno, quello giusto non era ancora passato. Avevo fatto delle buone fermate, altre meno buone, ma quello giusto non l’avevo ancora preso. E con fede sapevo che sarebbe passato dalla mia fermata. Bastava crederci! E io ci credevo. Nei treni e nell’amore ci credevo ciecamente. Mi sono pazzamente innamorata, spesso invaghita, il mio cuore è stato spezzato, a volte l'ho spezzato io a qualcuno, ma ho comunque sempre continuato a credere nell'amore.


I LEGAMI SOTTILI DELL'ANIMA

di Loriana Lucciarini
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Poesia
ebook 2,99€
cartaceo 9,50€

ORA SO CHE POSSO FARCELA SEMPRE

Ora so che posso farcela sempre,
io che ho puntato dritta dentro il centro del ciclone
e ne sono uscita nuova, rinata, diversa e più forte.
Ora guardo quel che ho distrutto e ricostruito
e vedo sentimenti veri, amore forte.
Ognuno di noi è l'artefice del proprio destino:
occorre crederlo fortemente
e avere il coraggio di ricominciare, se occorre.
Il destino, se abbiamo questa forza,
si dispone finalmente per noi.


OLTRE I CONFINI DEL MONDO

di Ornella Nalon
0111 Edizioni
Narrativa
ebook 2,99€
cartaceo 13,50€

ESTRATTO DA PAG 85

«Da mesi era annunciata la mia infibulazione e quella di mia sorella Nasieku» riprese a narrare Assireni «è un’occasione molto importante per le donne della mia tribù. È il passaggio dall’infanzia all’età adulta e ogni ragazza lo aspetta con impazienza. Ma io lo temevo fortemente. Quando arrivò quel momento, io ebbi voglia di scappare e di gridare a tutte le donne che mi circondavano che io non mi sentivo pronta per essere adulta e che volevo ancora avere il tempo per giocare. Tutte ridevano intorno a me e c’era aria di festa, ma quando due donne anziane mi aprirono le gambe tenendole con forza e una terza mi tagliò, io gridai a squarciagola e continuai a piangere per tanto tempo. Non era solo per il dolore che sentivo, mama Nora. No, quello era intenso ma sopportabile. Era la testa che piangeva e con essa tutto il mio corpo. Venivo costretta a vivere una vita che non avrei sentito mia e questo presagiva tristezza e insoddisfazione. Avrei tanto voluto essere come Nasieku, che aveva atteso quell’appuntamento con impazienza e affrontato l’incisione con il sorriso sulle labbra. Che aveva indossato la sua bianca veste della festa con orgoglio e tutto il giorno fu felice di farsi ammirare e invidiare dalle bambine del villaggio. Per me non c’era niente da festeggiare. Per me quello era il momento che non segnava un inizio ma la fine della mia spensieratezza. Mia sorella si incontrava da tempo con un Moran e si stupiva che io non ne volessi conoscere qualcuno. Sapevo di essere strana, ma non avevo nessun interesse a farlo! E quando nostro padre ci promise in spose a due giovani guerrieri, lei non mi parlava d’altro e pregava perché il tempo passasse in fretta; io facevo finta di condividere la sua impazienza, ma in verità non avevo alcuna voglia di sposarmi con Bakari e condividere con lui, che conoscevo appena, tutto il resto della mia vita.»
La donna pronunciò l’ultima frase scuotendo vigorosamente la testa il cui movimento produsse un leggero tintinnio proveniente dai suoi lunghi orecchini di perle variopinte.



BIGLIETTO DI TERZA CLASSE

di Silvia Pattarini
PubMe - Collana Gli scrittori della porta accanto
Romanzo storico
ebook 2,99€
cartaceo 17,10€

ESTRATTO DA PAG 122

L’ondata di scioperi proseguì ancora per tutto il 1909 e le operaie tessili della fabbrica newyorkese “Triangle Shirtwaist Company”, leader nella produzione di camicette alla moda dell’epoca, le “shirtwaist”, iniziarono uno sciopero proprio l’8 marzo, dando l’avvio a una lunga protesta.
Lo sciopero durò parecchio tempo, le operaie protestavano contro i bassi salari, contro il lungo orario di lavoro, contro lo sfruttamento minorile e le inumane condizioni dei lavoratori. Tra le altre cose si lamentavano anche per la mancanza di adeguate misure di sicurezza e antincendio sul luogo di lavoro.
Con tutte queste manifestazioni Lina e Cecilia non sapevano cosa fare. Da un lato avrebbero voluto scioperare, ma dall’altro temevano ripercussioni dal datore di lavoro. Ma ancora di più temevano le ripercussioni dei colleghi, che stavano organizzando dei veri e propri picchettaggi, linciando i ‘crumiri’, ovvero chi non partecipava agli scioperi.
Un giorno una ragazza ebrea di nome Clara Lemlich si fece largo a un convegno prendendo la parola, e, attraverso un lungo ed elaborato discorso in lingua Hiddys, incitò tutte le lavoratrici tessili a scioperare il giorno dopo.
«La situazione è difficile! Dobbiamo assolutamente decidere da che parte stare! O stiamo come dovremmo stare con le operaie, altrimenti rischiamo di farci linciare» suggeriva Lina alla collega che ribatteva: «se ci uniamo a loro rischiamo di perdere il lavoro! Il padrone ci licenzia! Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di uno stipendio!».
«Chi se ne importa! Siamo a New York cara mia! Di lavoro ce ne cerchiamo un altro» continuava Lina, nemmeno troppo convinta delle sue parole, ma ormai anche lei sostenitrice della rivolta.
Insomma era un dilemma, lottare e rivendicare i propri diritti, rischiando di perdere il lavoro, oppure sottomettersi sempre al volere del padrone e subire, subire, ma avere la certezza di uno stipendio, sia pur magro.
«Non possiamo subire in eterno! Dobbiamo farci coraggio e andare a protestare insieme alle altre» suggeriva Lina alla collega più titubante.



Stefania Bergo


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1 commenti
  1. beh, qui non c'è neppure l'imbarazzo della scelta! sono tutti belli, interessanti, ben scritti!

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