Amanda è seduta davanti a me, avvolta in vesti scure, con un cappellino calato sulla fronte. Fra una boccata e l’altra di sigaretta mi racconta una fiaba. No, non beve il tè che le offro, né accetta i pasticcini. Suppone che li abbiano avvelenati i suoi nemici, che è convinta siano ovunque, perfino nel mio salotto.
Appoggio la testa sull'avambraccio che avvolge lo schienale del divano e mi accingo ad ascoltare, in silenzio.
C’era una volta una principessa triste, Anna, che viveva in un castello bello, ma ogni giorno più vuoto e decadente.
L’unica compagnia della fanciulla era una buffa strega vestita di nero, sempre china sui suoi esperimenti di laboratorio.
A volte, per le sale del palazzo, risuonavano i passi di pretendenti mentitori, falsi principi dall’aspetto seducente che erano bestie diaboliche nell’anima.
La principessa aveva un cuore adagiato fra i petali di rose, mentre la strega aveva un cuore troppo circondato di spine: nessuna delle due poteva difendere il tesoro nascosto nei sotterranei del castello.
Finché, un bel giorno, un principe a cavallo arrivò dalle lontane terre del Nord…
«E poi?» domando impaziente, ma Amanda non può svelare altro o sottrarrebbe magia alle pagine. Si porta l’indice sulle labbra e mi porge un libro dalla copertina incantevole.
“Il tesoro dentro”, scritto da Elena Genero Santoro ed edito da 0111Edizioni nel 2016, non è una fiaba: è un giallo psicologico dallo stile accattivante, che si divora in fretta, come una torta farcita di crema rosa.
Tuttavia, alcuni elementi fondamentali della struttura narrativa ricordano i racconti di ancestrale memoria popolare: i buoni che restano buoni; i cattivi che restano cattivi; le peripezie del protagonista attorniato da aiutanti e protagonisti; l’agnizione finale; la ricerca di un gioiello nascosto; l’incantesimo crudele ai danni di un bambino innocente.
Quest’ultimo punto è di importanza notevole. In un romanzo che non si libra fra le nuvole del fantastico, non ci sono pozioni malefiche, ma storie reali e difficili che portano alla malattia mentale, tema che la scrittrice affronta con estrema delicatezza. Se è vero che non si può guarire con un colpo di bacchetta di fata, esiste però un’altra magia, quella dell’Amore, che può tutto. Basta crederci.
Tuttavia, alcuni elementi fondamentali della struttura narrativa ricordano i racconti di ancestrale memoria popolare: i buoni che restano buoni; i cattivi che restano cattivi; le peripezie del protagonista attorniato da aiutanti e protagonisti; l’agnizione finale; la ricerca di un gioiello nascosto; l’incantesimo crudele ai danni di un bambino innocente.
Quest’ultimo punto è di importanza notevole. In un romanzo che non si libra fra le nuvole del fantastico, non ci sono pozioni malefiche, ma storie reali e difficili che portano alla malattia mentale, tema che la scrittrice affronta con estrema delicatezza. Se è vero che non si può guarire con un colpo di bacchetta di fata, esiste però un’altra magia, quella dell’Amore, che può tutto. Basta crederci.
di Emma Fenu Nata e cresciuta respirando il profumo del mare di Alghero, ora vive, felicemente, a Copenhagen, dopo aver trascorso un periodo in Medio Oriente. Laureata in Lettere e Filosofia, ha, in seguito, conseguito un Dottorato in Storia delle Arti. Scrive per lavoro e per passione. Mito e devozione nella figura di Maria Maddalena, Abel Books. Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità, Echos Edizioni. |
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