Gli scrittori della porta accanto

[Inediti d'autore] Racconto: "Un amore del passato" di Paola Casadei

Cominciò a piovere, Francesca si lasciò sorprendere con le braccia piene di borse della spesa e dello shopping. Erano solo due mesi che era tornata in quella città, nella casa dei suoi, e non per sua scelta. Gli ombrelli non le erano mai piaciuti, quel clima l’aveva sempre infastidita. Erano già quasi vent'anni che se ne era andata. Da allora era tornata a trovare la famiglia, di tanto in tanto, durante le vacanze, ma preferiva che fossero i genitori e sua sorella ad andare a da lei.
Appese tutte le borse al braccio e, con una mano libera, compose sul telefonino il numero di sua figlia, chiedendole di passare al più presto a prenderla. Le diede l’indirizzo. Quindi, decise d’istinto di entrare nel bar che in quel momento si trovava davanti ai suoi occhi. Entrò con la testa bassa, il locale era pieno di gente, evidentemente in molti avevano avuto la sua stessa idea per ripararsi dalla pioggia; non si rese neppure conto che stava per scontrarsi con qualcuno. Urtò una persona e alzò lo sguardo per scusarsi.
Ammutolì. L’uomo di fronte a lei aveva lo stesso stupore negli occhi. La guardava come se stesse vedendo un fantasma. Fu lui il primo a riprendersi e a parlare.
«Francesca, sei davvero tu?».
Intanto che tentava di rompere il ghiaccio, continuava a guardarla con insistenza, i suoi occhi si muovevano rapidi sul suo viso; la trovava splendida, più bella di allora.
Lei non rispose.
«Che coincidenza, pensa che non sono mai entrato in questo posto prima di oggi. Eppure lavoro qui vicino. Ma... come stai? Che ci fai qui?». Era molto imbarazzato.
«Ciao Fabio. Non sto proprio bene. Sono qua perché ho perso da poco i miei genitori, hanno avuto un incidente, una cosa molto grossa, in autostrada. Ci sono state sette o otto auto coinvolte, vicino all’uscita dell’autostrada».
«Oh, ne ho sentito parlare. Mi spiace. Rimani a lungo?».
«No, un mese al massimo, penso che venderemo la casa, anche mia sorella non è interessata a tenerla».
Il frastuono, i mormorii intorno, l’umidità, rendevano fastidiosa ogni sillaba. Ma forse era proprio la presenza di Fabio che la innervosiva. Non poteva crederci: quell’uomo davanti a lei avrebbe potuto essere suo marito. Due mesi in più e sarebbe stato suo marito. Un gesto in meno e lo avrebbe sposato. Ora le sembrava del tutto assurdo e impossibile.
Lui sembrava voler dire qualcosa, la invitò a sedersi all’unico tavolino che si era liberato, lei era incerta, ma la figlia avrebbe tardato ancora una decina di minuti. Meglio sedersi. Accettò un caffè. Lui le propose anche di riaccompagnarla a casa, ma lei rifiutò, gli disse che aveva già avvertito sua figlia.
«Dove sei stata in tutti questi anni? Francesca, sei bellissima, non riesco a smettere di guardarti e a darmi del cretino».
Lei non rispose. Era chiaro che approvava in pieno, e ne aveva tutte la ragioni! Mescolando il caffè, pensava a quando era stata a scegliere l’abito da sposa e che aveva pagato una caparra. Mancavano solo due mesi! Ma come aveva potuto fare una cosa simile?
«Ma come ho potuto fare una cosa simile, a due mesi dal matrimonio? Ti ho cercata subito dopo, ma eri già partita. Sono tornato a trovare i tuoi, un paio di volte, nonostante la vergogna e il rimprovero nei loro occhi. Ma io volevo spiegarti...».
«Non devi spiegarmi niente».
«Sì invece. Ho avuto paura alla vigilia del matrimonio, paura di prendermi una responsabilità come quella. Io e te ci stavamo per sposare, ho guardato i miei amici liberi e... eravamo così giovani, quella storia con Livia era davvero una cosa senza importanza. Mi sono lasciato andare, ma è successo solo una volta!».
«Lascia stare! Era vent’anni fa, non voglio sapere più niente». Poi, dopo qualche istante, gli chiese più gentilmente se si fosse sposato.
«Sì, ma adesso sono separato».
Pensò che era rimasto un uomo egoista, superficiale, viziato e figlio di papà.
«Allora tu hai una figlia?» continuò lui a disagio.
Lei si raddolcì subito. «Sara ha 18 anni, poi c’è Marco che ne ha 16».
«Quindi sei partita e ti sei rifatta una vita. Sai, mi piacerebbe rivederti prima che tu riparta. Ma forse...». Aveva l’impressione che lei lo guardasse come un estraneo.
A Francesca, la proposta parve davvero fuori luogo. Non capiva se fosse solo un atteggiamento oppure se fosse autentico l'interesse che le dimostrava.
«Non ci posso credere» continuò lui. «Siamo stati insieme otto anni, stavamo per sposarci, e adesso sembra quasi che tu non mi riconosca, che non ci sia stato niente, che tu non abbia nemmeno un piccolo rimpianto».
«Parli di rimpianti? E perché dovrei averne? Federica, il giorno stesso, dopo che mi ha vista in quelle condizioni, dopo che ho scoperto che mi avevi tradita senza ritegno, è corsa all’agenzia viaggi e ha cambiato la destinazione del biglietto» (non disse “il biglietto del viaggio di nozze”, le pareva troppo intimo come ricordo). «Credo che ti abbia contattato per restituirti la tua parte di spesa. Poi mi ha messa su un aereo. Non capivo più niente, ero ferita e incazzata. Mi sono trovata in Sudafrica. All’aeroporto c’era un cartello col mio nome, l’autista mi ha portata a un hotel, ero come in trance. Il giorno dopo mi è stata recapitata nella camera d’albergo una lettera: il Kruger Park mi accettava, mi trovavo lì per uno stage, grazie alla mia laurea in biologia avrei affiancato un’equipe di ricercatori e lavorato all’interno di un Parco Naturale. È stata un’esperienza straordinaria, che mi ha distratta dalla disperazione. A quello stage c’era un uomo, italo-americano. Abbiamo cominciato a parlare: il giorno dopo sono stata a letto con lui. Ammetto che probabilmente era per vendicarmi per quello che mi avevi fatto, però lui mi piaceva davvero: aveva l’aria sicura, serena, sette anni più di me. Uno che non pensava solo alla palestra e al suo fisico e al ristorante da scegliere il sabato sera... Senti, Fabio, non vorrei che ci rimanessi troppo male, ma almeno finiscila con questi sensi di colpa e questa faccia da cane bastonato che non ti si addice: ti ho dimenticato in una settimana. Poi... beh, quell’uomo adesso è mio marito. Allora, come vedi, dovrei quasi ringraziarti per quello che hai fatto. Di certo non ho rimpianti, ho dato un senso alla mia vita».
Non aveva senso raccontargli di più, dell’energia di Antonio, della passione travolgente che avevano vissuto, del suo amore per la vita, per il suo lavoro, per la natura. Erano tornati nei parchi d’Africa diverse volte, anche con i figli, era il loro modo di rinnovare il loro amore, di mantenere vivi i sentimenti. Non aveva senso raccontargli vent’anni della sua vita nel tempo di un caffè. Fabio era rimasto davvero ferito da quelle parole, che lei lasciava uscire dal suo cuore senza il minimo riguardo alla sua sofferenza, ma fece finta di niente.
In quel momento Sara entrò, si guardò intorno per cercare il viso di sua madre. Lei la vide sulla porta, gli occhi le si illuminarono e mentre le faceva segno gli disse: «Eccola, vedi, questo è il senso della mia vita».
Lui era visibilmente sconvolto: sembrava Francesca, tanti anni fa, quando era la sua Francesca, dolce e delicata, timida e riservata. La ragazza davanti a lui era bellissima, i capelli folti, lunghi, di un colore castano dai riflessi rosso-tiziano, due occhi grandi e verdi, l’aria sicura di sé che Francesca non aveva, non allora almeno. Si alzò per salutarla, aveva gli occhi sbarrati dalla sorpresa e la bocca aperta, si presentò, balbettando qualcosa senza senso, quindi a malincuore le lasciò andare via.
Francesca per un attimo ebbe pena di lui, raccolse tutti i suoi pacchi e le buste, gli sorrise e si allontanò. Dopo un paio di giorni sarebbe stato San Valentino. Suo marito era riuscito a prendere un biglietto che lo avrebbe fatto arrivare in tempo per portarla a cena e festeggiare con lei, ma lei, invece, aveva già comprato tutto per preparargli un menù a sorpresa e restare tutti insieme. Era davvero felice all’idea della serata e del fine settimana che li aspettava. Vent’anni insieme, e ancora giocavano a stupirsi per mantenere vivo il rapporto.
Fabio, rimasto solo, si ributtò sulla sedia e guardò Francesca e Sara uscire dal bar e dalla sua vita. Per anni aveva continuato a sentirsi in colpa, si era trovato scuse e dato spiegazioni, in fondo era stato con Livia solo una volta, vent’anni fa. Credeva che Francesca avrebbe capito, che avrebbe perdonato, lui non aveva mai avuto dubbi: Francesca sarebbe stata la sua moglie ideale, solo lei.
Solo adesso si accorse che invece era davvero tutto finito.
Gli girava la testa. Ordinò un whisky doppio, anche se non erano ancora le sei di sera. Cominciò a pensare che anche per quell’anno avrebbe trascorso la sera di San Valentino solo coi suoi rimpianti. Prese il telefono in mano e chiamò la sua ex-moglie. Le doveva almeno qualche spiegazione. E chissà, forse potevano rivedersi qualche volta.



Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.



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