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Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci: incipit

Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci: incipit

Incipit #58 Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci (BUR Rizzoli). Il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile.



Lettera a un bambino mai nato

di Oriana Fallaci
BUR Rizzoli
Narrativa
ISBN 978-8817028370
cartaceo 11,00€
ebook 7,99€


A chi non teme il dubbio
a chi si chiede i perché
senza stancarsi e a costo
di soffrire di morire
A chi si pone il dilemma
di dare la vita o negarla
questo libro è dedicato
da una donna
per tutte le donne



Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi son sempre posta l'atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando "Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?". La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via, come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi. La tua goccia di vita è soltanto un nodo di cellule appena iniziate. Forse non è nemmeno vita ma possibilità di vita. Eppure darei tanto perché tu potessi aiutarmi con un cenno, un indizio. La mia mamma sostiene che glielo detti, che per questo mi mise al mondo.
La mia mamma, vedi, non mi voleva.
Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché non nascessi ogni sera scioglieva nell'acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro il suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra. Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ciò sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice penso che sia stato male. Però, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché nulla è peggiore del nulla. Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi, cresce con noi, ad esso ci si abitua come al fatto d'avere due braccia e due gambe. Io, in fondo, non temo neanche di morire: perché se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente.
Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l'altrui distrazione.

Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché?

Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l'esclamare che nascere è meglio di non nascere. Tuttavia è lecito imporre tale ragionamento anche a te? Non è come metterti al mondo per me stessa e basta? Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.
Non mi hai tirato calci, non mi hai inviato risposte.
E come avresti potuto? Ci sei da così poco: se ne chiedessi conferma al dottore, sorriderebbe di scherno. Ma ho deciso per te: nascerai. L'ho deciso dopo averti visto in fotografia. Non era proprio la tua fotografia, evidente: era quella di un qualsiasi embrione di tre settimane, pubblicata su un giornale insieme a un reportage sul formarsi della vita. E, mentre la guardavo, la paura m'è passata: con la stessa rapidità con cui m'era venuta. Sembravi un fiore misterioso, un'orchidea trasparente. In cima si scorgeva una specie di testa con le due protuberanze che diverranno il cervello. Più in basso, una specie di cavità che diverrà la bocca. A tre settimane sei quasi invisibile, spiega la didascalia. Due millimetri e mezzo. Eppure cresce in te un accenno di occhi, qualcosa che assomiglia a una spina dorsale, a un sistema nervoso, a uno stomaco, a un fegato, a intestini, a polmoni. Il tuo cuore è già fatto, ed è grande: in proporzione, nove volte più grande del mio. Pompa sangue e batte regolarmente dal diciottesimo giorno: potrei buttarti via? Che m'importa se sei incominciato per caso o per sbaglio, anche il mondo in cui ci troviamo non incominciò per caso e forse per sbaglio? Alcuni sostengono che in principio non c'era nulla fuorché una gran calma, un gran silenzio immobile, poi si verificò una scintilla, uno strappo, e ciò che non era fu. Allo strappo seguirono presto altri strappi: sempre più imprevisti, sempre più insensati, più ignari delle conseguenze. E tra le conseguenze sbocciò una cellula, anche lei per caso, forse per sbaglio, che subito si moltiplicò a milioni, a miliardi, finché nacquero gli alberi e i pesci e gli uomini. Tu credi che qualcuno si ponesse un dilemma prima dello scoppio o prima della cellula? Credi che si domandasse se gli sarebbe piaciuto o no? Credi che si preoccupasse della sua fame, del suo freddo, della sua infelicità? Io lo escludo. Anche se il qualcuno fosse esistito, ad esempio un Dio paragonabile all'inizio dell'inizio, al di là del tempo e al di là dello spazio, io temo che non si sarebbe curato del bene e del male. Tutto avvenne perché poteva avvenire, quindi doveva avvenire, secondo una prepotenza che era l'unica prepotenza legittima. E lo stesso discorso vale per te. Mi prendo la responsabilità della scelta.


La trama
Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci

Il libro è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente e lavora. Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà un sogno, l'amore una parola dal significato non chiaro. Con la prefazione di Lucia Annunziata.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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