Gli scrittori della porta accanto

[La ricompensa è il viaggio] L'editoriale di Giulia Mastrantoni: come sono diventata un'eterna viaggiatrice


Il XXI secolo è l’epoca dei voli low cost e degli orizzonti che, pur ampliandosi esponenzialmente, ci si avvicinano sempre di più. È tutto a portata di aereo e così incredibilmente, meravigliosamente, potenzialmente tangibile. 
Lo sappiamo tutti, tranne mio nonno, che ancora si preoccupa quando gli ho detto che partivo per il Salone del Libro di Torino. Gli ho spiegato che oggi in otto ore si può atterrare in Canada, in meno di due si è a Berlino e che certo non mi spaventa qualche ora di treno per arrivare a Torino. Gli ho sorriso incoraggiante, con tutta la grinta che si ha negli occhi a vent’anni. Lui mi ha osservato perplesso e poi mi ha detto di stare attenta, prima a Termini, poi in treno e infine a «quello lì che hai detto».
Mi sento fortunata, pensando a quante possibilità ha la mia generazione. Perché mio nonno è un personaggio molto buffo, specialmente quando mi dice cose come: «Non accettare caramelle dagli sconosciuti, in aereo!», ma i sottintesi della sua semplicità mi fanno male al cuore. No, lui non ha mai viaggiato. È vero che per lui Torino è distante. E sì, si preoccupa ogni volta che parto. Per onestà, devo dire che accade spesso, se non continuamente.
Viaggiare non mi è sempre piaciuto. Ne percepivo la gravità del distacco e la complessità nel suo insieme, mentre euforia e spensieratezza mi erano distanti. Il mio primo viaggio è stato a Los Angeles. Avevo appena compiuto 14 anni e sarei andata lì a studiare inglese durante l’estate. All’epoca, sembrava anche a me una meta lontana. Vedevo il «viaggio» come un arco di tempo impalpabile e inverosimile, che avrei vissuto immersa nei sogni ad occhi aperti, ma soprattutto, nella preoccupazione che nulla sarebbe andato come sperato. Il viaggio in sé, d’altronde, mi sembrava un’incognita troppo grande, per un’anima piccola come la mia. Ero ufficialmente sola, in un posto lontano. Avvertivo il peso di queste due certezze.
Solo oggi, dopo un cospicuo numero di voli, svariate avventure alle spalle e un quantitativo di traslochi che mi spaventa a pensarci, ho capito che viaggiare non vuol dire vedere le proprie aspettative realizzarsi magicamente davanti a sé, né mandare in pezzi il proprio mondo ogni volta che si parte. Viaggiare vuol dire avere sufficiente amore per se stessi da concedersi la possibilità di diventare una persona migliore. Perché è proprio vero che viaggiare fa crescere. Si diventa più aperti, più tolleranti e, soprattutto, si impara ad amare. Ci si innamora di luoghi che ci entrano nel cuore, si giura amore eterno a una sensazione provata anche solo per un secondo, si impara ad amare chi è distante e a dimostrarglielo in modi nuovi. Si impara a capire a chi e a che cosa si tiene e a darsi da fare per non perderli. Si impara a dare valore a tante cose, non ultime la vita stessa e la diversità.


A luglio, per me, inizierà una nuova avventura. Con grande disappunto di mio nonno, traslocherò in Australia per un po’. Sono felice e non ho paura. Perché sì, è vero che esistono viaggi ben più grandi di me, ma è anche vero che più il viaggio va oltre ciò che siamo, più ci offre la possibilità di imparare. E io voglio imparare, perché non sono ancora la donna che vorrei diventare.
Ho cercato di farlo capire a mio nonno, per spiegargli per quale motivo voglio andare così lontano. Gli ho detto anche che, quando tornerò, i miei abbracci sapranno un po’ più d’amore, che nei miei occhi leggerà cose più belle di quelle che ci sono ora e che gli racconterò dei tramonti australiani in un modo che non saprei fare ora. Gli ho detto cose che non può capire, lo so bene, perché non le ha mai vissute. Però so anche che la mia anima gli ha spiegato molto meglio di me quanto sono felice. E so che la sua ha capito, perché glielo ho letto negli occhi.
Il potere dei viaggi è proprio questo: pur non capendolo razionalmente, come nel caso di mio nonno, la nostra anima comprende l’importanza di partire e ci aiuta a essere felici, quando qualcuno che amiamo ci saluta. Il linguaggio dei viaggi, sotto questo e tanti altri punti di vista, è universale. E ha tanto in comune con quello dell’amore, perché alla base di un viaggio c’è sempre un’infinita voglia di innamorarsi del posto in cui si andrà. Aspetto di innamorarmi di te, Australia.



Giulia Mastrantoni
Da quattro anni collaboro all’inserto Scuola del Messaggero Veneto, scrivo per il mash up online SugarPulp e per la rivista dell’Università di Trieste Sconfinare.
Dopo aver trascorso un periodo in Inghilterra, ho iniziato un periodo di studi in Canada, ma, dovunque sia, scrivo.
Misteri di una notte d’estate, ed. Montag.
One Little Girl – From Italy to Canada, eBook selfpublished.
Veronica è mia, Pensi Edizioni.



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