Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "Accabadora" di Michela Murgia, recensione di Gianna Gambini

Recensone-Accabadora-Michela-Murgia

"Accabadora" di Michela Murgia, Einaudi , 2009. L'eutanasia senza alcuna implicazione ideologica o politica, la speranza di serenità nella riconciliazione con le proprie origini. Un romanzo tra i migliori esempi di letteratura contemporanea.

Nell’entroterra sardo, dove ancora si vive grazie ai frutti regalati dai campi ogni nuova stagione, è ambientato il romanzo di Michela Murgia "Accabadora". Questo termine ha origine dallo spagnolo “acabar” che significa “finire” e si riferisce a Bonaria Urrai, vedova, che di mestiere fa la sarta, ma che ha ereditato dalle donne di famiglia il compito di mettere fine alla vita di chi è in preda alle più atroci sofferenze.
Bonaria non ha avuto figli, perché suo marito ha perso prematuramente la vita in guerra senza fare più ritorno e giunta ormai ad un’età considerata piuttosto avanzata per procreare, decide di prendersi cura della quarta figlia di Anna, la piccola Maria che ha circa sei anni ed è nata per errore molti anni dopo alle sorelle. Nel villaggio, questa adozione tardiva crea scompiglio, ma ben presto, la madre adottiva e la “figlia dell’anima”mostrano di avere un rapporto così stretto ed equilibrato che l’unione non desta più alcun pettegolezzo. Bonaria si preoccupa dell’istruzione e dell’educazione di Maria, che studierà addirittura fino alla terza media, evenienza rara in quel luogo e in quell’epoca.
Dopo gli studi, Maria impara l’arte della sartoria dalla madre e pur avendo poche amiche, resta legata alla famiglia dei Bastiu, in particolare al suo ex compagno di scuola Andria.
Per una disputa sui terreni con i vicini di podere, il fratello di Andria perde una gamba e dopo molte indecisioni Bonaria decide di porre fine alla sua vita, come da lui supplicato. Maria scopre dunque la meta delle uscite segrete della madre adottiva durante la notte e sconvolta per l’immoralità dei gesti compiuti da Bonaria, decide di partire per Torino, dove farà da bambinaia per due ragazzini.
Se è vero che ogni partenza è già un ritorno, Torino, per Maria, sarà soltanto una parentesi tra le difficili scelte che sarà costretta a compiere nonostante la sua giovane età.

L’accabadora ha il compito di svolgere un ultimo gesto di pietà verso il sofferente.

"Accabadora" di Michela Murgia mi ha colpito per molteplici ragioni, prima tra tutte la tematica dell’eutanasia, affrontata senza alcuna implicazione ideologica o politica. Così come la nascita, la morte è considerata una fase della vita decisa in parte da Dio, ma compiuta e portata alla sua necessaria realizzazione dall’opera dell’uomo. Se una persona soffre, se non ha più motivo di stare attaccata a un’esistenza infima, non più dignitosa, l’accabadora ha il compito di svolgere un ultimo gesto di pietà verso il sofferente.
Nel romanzo la conclusione di ogni vicenda combacia inevitabilmente con il suo inizio, in un gioco ciclico del destino affascinante, ma anche claustrofobico: da alcuni percorsi segnati non si può uscire. Per questo aspetto, e per la distanza onnipresente della vita da isolano con quella di chi vive nel continente, il romanzo di Michela Murgia mi ricorda molto I Malavoglia di Verga, dove chi cerca di emanciparsi, va in contro alla propria disfatta. Se nel Ciclo dei Vinti, però, non c’è alcuna possibilità di evolversi, in “Accabadora” c’è un’apertura verso una speranza di serenità: il segreto sta nella riconciliazione con le proprie origini, siano esse territoriali e naturali, oppure acquisite con affetto e compartecipazione.
Un ruolo importante nel romanzo è affidato alla difficile diatriba tra sacro e profano, tra i riti religiosi compiuti quasi per dovere, abitudine, scaramanzia e il credo religioso, che in più passaggi si trasforma in dubbio o addirittura agnosticismo: a mio avviso tale binomio è magistralmente rappresentato nel dialogo tra Nicola Bastiu e il sacerdote del paese.
Infine, ciò che forse mi ha più positivamente impressionato, è la capacità di scrittura di Michela Murgia, che in un linguaggio essenziale riesce a giocare con le parole tramite metafore, sinestesie e ossimori, senza mai abbassare i toni stilistici usati. Tra i numerosi libri di scrittori contemporanei che ho letto ultimamente, credo che il linguaggio usato dalla Murgia sia quello più elaborato e al contempo diretto e minuziosamente accurato che abbia incontrato.
“Accabadora” è un romanzo con un altissimo potenziale stilistico e contenutistico, per questo ritengo che entri di diritto tra i migliori esempi di letteratura contemporanea.

Accabadora
Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. 
La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé, perché «le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge». 
E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l'aspettano, come imparare l'umiltà di accogliere sia la vita sia la morte. 
Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.


di Michela Murgia | Einaudi  | Narrativa
ISBN 978-8806221898
ebook 6,99€ Acquistacartaceo 9,35€ Acquista 



Gianna Gambini
Laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Firenze. Dopo aver conseguito alcuni master e il diploma di specializzazione presso la SISS di Pisa, lavora come insegnante, presso la Scuola Secondaria di Primo grado. Sposata con una figlia vive nel comune di Terranuova Bracciolini.
Tartarughe marine, 0111Edizioni.
Equilibrio precario, 0111Edizioni.

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