"Fino all’ultimo inverno" di Nadia Dalle Vedove, bookabook, 2016. Un collage di immagini che parlano, un inverno che è morte, neve. Solitudine.
Un inverno che è solitudine, abbandono. Perdita. Il bosco come sentimento imprigionato dove però la luce si fa strada tra i rami degli alberi. La neve come coperta. Gli occhiali come filtro. Guidare come metafora del viaggio dove il pericolo è salvezza, dove ogni curva è rinascita. Una madre che muore lasciando solo un figlio non suo. Una casa che si trasforma in un rifugio ma che a “guardarla bene” è una scommessa per poter uscire dal proprio mondo e camminare verso uno che non si conosce.
Il lettore in Fino all’ultimo inverno di Nadia Dalle Vedove si trova catapultato in un fotogramma che è un film costruito con le parole. Traiettorie da dove guardare il personaggio, da dove attingere risorse e modi di azione. Il bosco come prigione per nascondere l’affetto di una madre che ha nutrito un figlio non suo. Ma chi era Marì?
Il lettore in Fino all’ultimo inverno di Nadia Dalle Vedove si trova catapultato in un fotogramma che è un film costruito con le parole. Traiettorie da dove guardare il personaggio, da dove attingere risorse e modi di azione. Il bosco come prigione per nascondere l’affetto di una madre che ha nutrito un figlio non suo. Ma chi era Marì?
È mezzanotte. Le pigne bruciano nel camino e domani andremo in città. Questo il primo pensiero del nuovo anno”.
La morte è il lungo inverno dove il lettore si trova immerso.
Un inverno che non è consolazione o arresa, ma è la stagione più dura per il protagonista, Mattia, che sceglie di uscire dal bosco. I personaggi che lo affiancano sono veloci. Michele, che gli spalanca la porta della sua casa nella notte di Capodanno. Michele che lo riempie di domande ma poi non aspetta le risposte. Lui non ha bisogno di sapere, si limita a chiedere. Mattia ha bisogno di quelle domande. La ricerca di un padre mai conosciuto lo fa allontanare dal suo mondo, dalla tomba di Marì nella neve. La ricerca diventa quindi distanza dalle sue cose.Michele lascia il cimitero, io resisto ancora per un po’. L’odore rancido dei fiori mi fa venire voglia di conoscere tutti i morti in silenzio sotto di loro.L’atmosfera sembra cupa, si passa da uno stato d’animo a quello successivo. Un collage di immagini che parlano ed è qui che l’autrice Nadia Dalle Vedove fa della sua narrazione una scenografia pronta per tuffarsi dal trampolino da dieci metri. Un triplo carpiato con entrata perfetta.
Mattia sistema il pesce in frigo e si sdraia sul divano. Sulla soglia dolceamara del sonno, ripensa a Marì mentre gli occhiali gli scivolano sulla lunga linea dritta del suo naso affilato.
L’alternanza della prima e della terza persona è un passaggio dentro gli stati emozionali di Mattia.
La prima persona è un coltello nelle sue paure, nel suo modo di reagire e quando l’attenzione invece si sposta sul suo intorno, la terza persona riempie lo spazio. Uno spazio sempre essenziale, ma non povero. Uno spazio di incontri che gli serviranno per delineare un cammino. Mattia incontra Dora la prostituta che dorme in macchina. Una donna che ha perso suo figlio e che non sa più tornare a casa. La ritroviamo che cammina con Mattia, fianco a fianco. Sono due gemelli ma forse la loro breve distanza è solo un altro sentimento da esplorare. Sara, la ragazzina con la clavicola a forma di esse che è sola, di una solitudine diversa dalla sua.La città è un bicchiere capovolto.Mattia però non si arrende a tutte quelle domande a cui non ha trovato una risposta. Un ring quadrato dentro un capannone buio e polveroso può essere il suo riscatto. Un riscatto che coinvolge Dora e il lettore che si trova a dover combattere. Dove lottare è l’unico mezzo per poter andare avanti, ma gli occhiali di Marì si frantumano. Non c’è più nessun filtro. L’attesa diventa così un concetto denso dove galleggia la solitudine di Sara, di Mattia e di Dora. Ognuno sa cosa significa essere solo e ognuno ha il suo modo di essere solo. Sono tutti stretti nel loro personale nodo emotivo che si scioglierà.
E ora che Mattia ha infranto le regole dell’infanzia e ha barattato l’innocenza con la morte, la sua vita è perfettamente divisa tra il bene e il male. Come se tutto fosse già stato e non potrà più essere davvero.
Fino all’ultimo inverno di Nadia Dalle Vedove è una favola dove Cappuccetto sceglie di uscire dal bosco.
È una favola che alla fine ci rimette in viaggio e ci guida fino a dove il cammino si congiunge e riprende. Si può solo cadere nel proprio futuro. Una storia che lascia il segno, con i suoi dialoghi secchi, essenziali dove ogni fronzolo viene racchiuso in una gestualità o in un’atmosfera da pellicola.Vivere, morire, e decidere se rinascere. Questo è il suo segreto.Ed è il segreto di una narrazione che convince e cattura.
Fino all’ultimo inverno
Nevica da ore. Là fuori il mondo è lo stesso ma non per lui.Dopo aver trovato il corpo senza vita della donna che l’ha cresciuto, Mattia fugge in città. Non aveva mai lasciato quella casa nascosta dal bosco dove sua madre l’ha abbandonato appena nato. Quel vuoto improvviso lo spinge a correre lontano, senza sapere né dove né da chi.
Inizia così il suo viaggio verso le solitudini altrui che, come in uno specchio, lo costringeranno a guardare la propria.
Grazie a quel salto nel buio, Mattia capisce a mano a mano il senso di quella fuga: ritrovare sua madre, forse per ucciderla o forse solo per lasciarsi abbracciare almeno una volta.
di Nadia Dalle Vedove | bookabook | Narrativa
Samantha Terrasi Vivo tra Torino e Roma, dove sono nata. Mia nonna avrebbe voluto che mi chiamassi Maria Concetta, ma per fortuna mio padre di ritorno da un viaggio negli States mi ha chiamato Samantha, rigorosamente con la h. Formazione scientifica, una laurea in biologia molecolare per poi scegliere di tramandare il mio sapere agli studenti. Sono una professoressa di matematica e scienze senza occhiali e quando non mi trovo tra equazioni e studenti, scrivo. Parole nel vento, Aletti Editore, 2012. Ti aspetto, Lupo Editore. |
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