Gli scrittori della porta accanto

[I luoghi dei libri] Il “Viaggio in Italia” di Théophile Gautier, alla scoperta di nuovi itinerari

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Spagna, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Russia, Africa, Oriente. Théophile Gautier, poeta, narratore, critico d’arte e di teatro, fu come molti altri artisti romantici un assiduo e appassionato viaggiatore. Ma è il Bel paese, che rimarrà vivido e incancellabile nel suo animo di uomo e di intellettuale. 

All’origine dei suoi spostamenti c’era quasi sempre una motivazione economica: i viaggi erano finanziati da riviste e giornali, che in cambio richiedevano un resoconto dettagliato dell’itinerario compiuto da pubblicare nelle loro pagine [1].
Fece in parte eccezione il viaggio nel Bel Paese, che Gautier intraprese su incitamento del direttore de «La Presse» Émile de Girardin: nel suo animo albergava infatti la segreta speranza di incontrare, lontano da sguardi indiscreti, la bella Marie Mattei, una giovane donna italiana di origine corsa conosciuta a Londra l’anno precedente.
Gautier, in compagnia dell’amico Louis de Cormenin, penetrò nel nostro paese nel 1850, dopo avere valicato le Alpi. Nel mese di agosto i due compagni di viaggio giunsero a Milano da Ginevra, attraverso la strada del Sempione, per poi spostarsi a Verona e Venezia, dove trascorsero cinque settimane.
Padova. Ferrara. Bologna, indi a Firenze, per un soggiorno di due settimane. Dopo aver sostato per tre settimane nella capitale, Louis de Cormenin e Gautier visitarono infine Napoli. Il programma di viaggio prevedeva anche una sosta in Sicilia, ma la polizia partenopea li costrinse ad abbandonare la città il 4 novembre 1850 con l’accusa di reati d’opinione, buttando così all’aria i loro piani. I due furono costretti a lasciare la bella città di Napoli dopo soli quattro giorni, imbarcandosi in tutta fretta sul primo battello in partenza per Marsiglia [2].

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L’Italia esplorata da Gautier è per molti versi un mondo nuovo e sconosciuto, ben più ricco di quanto la tradizione del primo Ottocento lasciasse presagire. 

Lo scrittore giunge nel nostro paese con il dichiarato intento di scostarsi da tanti illustri visitatori che lo hanno preceduto, per lasciarsi guidare – con atteggiamento tutto romantico – non dalle cartine geografiche né dalle guide turistiche, bensì dal proprio gusto personale.
Il suo récit de voyage, che non si sofferma sulle bellezze di Roma e Napoli (non per scelta premeditata, quanto per complicate questioni editoriali [3]), ha il pregio di trasmettere ai propri contemporanei un volto nuovo del Nord dell’Italia, portando allo scoperto tesori fino ad allora ignorati o ingiustamente sottovalutati.
Per Gautier – supremo cesellatore del verso e sublime cultore del concetto de l’Art pour l’Artil viaggio in Italia è un pellegrinaggio che conduce alle radici dell’arte eterna e della bellezza.
Le considerazioni e riflessioni circa la difficile situazione politica dell’Italia sono pertanto scarse e sporadiche [4], così come sono marginali le note materiali relative allo svolgimento del viaggio.
Il paesaggio è per Gautier il primo, straordinario oggetto di ammirazione, pur non rispondendo all’immagine classica e in parte stereotipata – e anzi forse proprio per questo – che una consolidata tradizione del Grand Tour ha trasmesso dell’Italia in ogni parte d’Europa.
Gautier si lascia catturare, con identica emozione, sia dallo spettacolo offerto dalla natura sia dalla graziosa architettura domestica, opera delle mani dell’uomo. Si legga quanto egli appunta nelle sue carte mentre si trova nei pressi di Domodossola:
L’Italia si presentava ai nostri occhi sotto un aspetto inatteso. Invece del cielo azzurro, dei toni aranciati e caldi che sognavamo, senza pensare dopotutto che l’Italia del Nord non può avere il clima di Napoli, abbiamo trovato un cielo nuvoloso, montagne nebbiose, scorci bagnati da brume azzurrine […], un paesaggio umido, verdeggiante, vellutato, degno di essere cantato da un poeta laghista. Pur non essendo, quello che ci trovavamo davanti, il quadro da noi immaginato, era nondimeno bellissimo; le montagne rese meno intense dalle nuvole, che si sfrangiavano in pioggia, le pianure verdi cosparse di ville, la strada fiancheggiata da case ornate da rami di vite, sorretta da paletti di granito, i giardini recintati da lastre di pietra riposte in piedi, formavano, malgrado il temporale, che si stava trasformando in acquazzone, un insieme aggraziato e sontuoso. Ogni particolare costruttivo rivelava già un senso di bellezza e una cura formale che non esistono né in Francia né in Svizzera. [5]
Vigneti-italiani

L’aspetto pittoresco e leggiadramente scomposto dei campi coltivati a vite, che contrasta palesemente con la geometria ordinata e razionale del suolo francese, al quale l’occhio dello scrittore è abituato, desta in lui un piacevole stupore:
La vite, in Italia, non viene coltivata come in Francia; sale e si arrampica a spalliera, a festone, sostenuta da alberi cimati che essa abbellisce con il fogliame. Nulla è più grazioso di quei lunghi filari d’alberi che, legati tra loro da bracci di pampini, sembrano tenersi per mano e danzare intorno ai campi una farandola senza fine; […] quelle viti folli, correndo da un ramo all’altro, conferiscono al paesaggio un’eleganza incomparabile.

Il volto, le sembianze e le movenze delle donne italiane sono per Gautier un altro segno di quanto il Bel Paese rappresenti la patria del Bello per antonomasia.

Non lasciammo Sesto Calende senza aver tracciato il ritratto di una fanciulla, in piedi, sulla porta di una bottega. […] Salutammo in lei la bellezza meridionale allo stato puro. In mezzo al pallore olivastro, gli occhi neri le brillavano come carboni sotto la fronte color ambra. […] I capelli folti, spessi, lucidi, increspati da piccole onde si sollevavano sulle tempie, come se il vento li avesse gonfiati, e il collo si univa alle spalle con una linea semplice e forte.
Ma sono soprattutto i monumenti delle città italiane a destare il suo entusiasmo di artista, a nutrire il suo senso estetico, costantemente teso alla ricerca della beauté. Se i palazzi austeri di Firenze gli appaiono un po’ tetri, la vista di Piazza della Signoria, della Loggia dei Lanzi e di Palazzo Vecchio suscitano in lui un vivo interesse:
Il tempo ha dorato i muri di un bel tono rosso vermiglio che spicca splendidamente sull’azzurro terso del cielo, e tutta la costruzione [Palazzo Vecchio] ha quell’aspetto altero, romantico e schivo che ben corrisponde all’idea che ci si fa del vecchio Palazzo della Signoria […]. [6]
Firenze

L’istinto, la curiosità intellettuale e l’insopprimibile desiderio di conoscere conducono Gautier, una volta a Milano, alla scoperta del Duomo e della Cena in Santa Maria delle Grazie [7], due gioielli che all’epoca vengono ignorati dalla maggior parte dei viaggiatori: l’architettura opulenta del primo non esercita in generale una grande attrazione, mentre il secondo ha fama di essere in uno stato di conservazione deplorevole. Gautier, e di questo dobbiamo essergliene grati, ha invece parole di autentico entusiasmo per entrambi, incitando così molti suoi successori a subire il fascino di questi straordinari tesori. Così si esprime sulla bellezza incomparabile del Duomo:
Quando si guarda il Duomo dalla piazza, il primo effetto è abbagliante: sulle prime vi colpisce il biancore del marmo, che spicca sull’azzurro del cielo: sembra un’immensa guipure d’argento su uno sfondo di lapislazzuli. […] Il Duomo è una delle rare chiese gotiche in Italia, ma è un gotico che non assomiglia affatto al nostro. Non è la manifestazione di una fede cupa, d’un mistero inquietante, d’un abisso tenebroso […]; è un gotico pieno d’eleganza, di grazie e di splendore, che si penserebbe per i palazzi incantati […].

Il capolavoro di Leonardo fa cadere Gautier in stato prossimo all’estasi mistica.

Lo scrittore, con la finezza del critico d’arte e la sensibilità del poeta che gli sono proprie, riesce a cogliere lo spirito più profondo e segreto del mirabile dipinto:
La prima impressione che produce questo meraviglioso affresco è paragonabile a un sogno: ogni traccia d’arte è scomparsa, sembra galleggiare sulla superficie del muro che l’assorbe al pari d’un lieve vapore. È l’ombra di un dipinto, lo spettro di un capolavoro che torna. L’effetto è forse più solenne e religioso di quanto il quadro stesso potrebbe sprigionare se fosse vivo: il corpo è scomparso, ma l’anima sopravvive del tutto.
Il punto più alto dell’itinerario italico di Gautier è però senza dubbio rappresentato dall’incanto architettonico della città lagunare. Il dedalo dei canali e delle calli, che fanno da magico sfondo allo splendore dei palazzi e dei monumenti veneziani, sprofonda lo scrittore in una dimensione strano e impalpabile, a metà strada fra il reale e il sogno, che ha il sapore inquietante di un romanzo gotico o forse di un racconto fantastico, di cui Gautier è insuperabile maestro:

Venezia
Non potevamo certo immaginare che l’arrivo a Venezia avrebbe superato, per l’aspetto fantastico, quanto la fantasia di Martin poteva produrre di misterioso, di gigantesco, d’eccezionale per descrivere un viale di Ninive o di Babilonia. […] Ogni oggetto, raggiunto in quell’oscurità da qualche raro raggio di luce, assumeva apparenze misteriose, fantastiche, spaventose, sproporzionate.
Gautier, negli anni che seguiranno la sua avventura italiana, percorrerà entusiasta nuovi ed esaltanti itinerari, ma il ricordo del paese di Leonardo e di Giotto rimarrà vivido e incancellabile nel suo animo di uomo e di intellettuale. Saranno non pochi i viaggiatori francesi, letterati e non, che nella seconda metà del XIX secolo e agli inizi del XX secolo, solcheranno le strade e le piazze del nostro paese, lasciandosi guidare dallo stile sorvegliato, elegante e garbatamente ironico del «poeta impeccabile» [8], portandosi appresso – custodendola gelosamente sottobraccio – una copia del Voyage en Italie.

[1] La promulgazione dell’emendamento Riancey (luglio 1850), che impone una tassa sui romanzi a puntate, sollecita i quotidiani a privilegiare nelle proprie pagine la pubblicazione di “impressioni di viaggio” e a limitare, per contro, la presenza di brani narrativi.
[2] I feuilletons italiani di Théophile Gautier appaiono dapprima nella rivista di Girardin per essere successivamente raccolti in un volume collettaneo titolato Italia, ribattezzato Voyage en Italie nell’edizione Charpentier del 1875.
[3] La prima parte del viaggio in Italia viene registrata quasi in presa diretta dallo scrittore, mentre la seconda parte (dopo la partenza da Venezia), non è oggetto di un resoconto dettagliato e puntuale e viene compilata a posteriori, dopo il rientro di Gautier in patria. La concomitanza di altri impegni letterari impedisce a Gautier di onorare debitamente il suo impegno, perciò la redazione del Voyage en Italie rimane incompleta e si riduce ad un solo tomo, benché in origine ne fossero previsti due.
[4] Gautier sottolinea in più occasioni l’abbrutimento e avvilimento in cui versa il nostro paese, schiacciato e umiliato sotto il giogo austriaco; osservazioni di questo genere, che pur sorprendono nelle pagine di uno scrittore apolitico come lui, sono tuttavia secondarie rispetto alle considerazioni di tipo artistico, che rappresentano il principale interesse dello scrittore.
[5] Ove non diversamente indicato, le citazioni sono tratte dalla seguente edizione: T. Gautier, Viaggio in Italia. Da Ginevra a Venezia, Milano, La Vita Felice, 2007.
[6] T. Gautier, Viaggio in Italia. Padova, Ferrara, Firenze, Firenze, Nardini, 2006.
[7] È proprio Gautier con il suo Voyage en Italie che impone il capolavoro di Leonardo all’attenzione del pubblico francese.
[8] Definizione che si deve a Charles Baudelaire, sincero e incondizionato ammiratore di Théophile Gautier.


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Ilaria Biondi
Laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Bologna. Durante il Dottorato di Ricerca in Letterature Comparate vive per lunghi periodi in Francia. Si occupa di traduzione letteraria e critica della traduzione, di letteratura francese e belga (in lingua francese) e letteratura tedesca dell’Ottocento. È appassionata di letteratura fantastica , science-fiction, letteratura al femminile, di viaggio, per l’infanzia e poesia.
Raymond Radiguet. Giovinezza perduta, eterna giovinezza, Delta Editrice.


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