Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "La scelta di Katie" di Lisa Genova, incipit #90

Quell’accidente di donna gli sposta sempre tutto.

La-scelta-di-Katie

La scelta di Katie

di  Lisa Genova
Piemme

ebook 9,99€
cartaceo 15,73€
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Non è padrone di levarsi le scarpe in salotto o posare gli occhiali da sole sul tavolino senza che lei glieli metta «al loro posto». Ma chi l’ha stabilito che comanda lei, in quella casa? Se gli andasse di lasciare un bello stronzo fumante proprio sul tavolo della cucina, allora è lì che dovrebbe restare finché sarà lui a decidere di spostarlo.
“Dove cazzo è la pistola?”
«Rosie!» strilla Joe dalla camera.
Guarda l’ora, le 7.05. Se non esce subito di casa finirà per fare tardi all’appello del mattino, ma senza pistola non può andare da nessuna parte.
“Pensa.” Ultimamente è così difficile pensare, quando ha fretta. Come se non bastasse, lì dentro c’è una temperatura infernale. Per essere giugno si muore dal caldo, è tutta la settimana che ci sono più di trenta gradi, e di notte la temperatura quasi non cala. Un clima orribile per dormire. In casa c’è un’aria pesante e appiccicosa da palude, con l’umidità e il caldo della giornata che sgomitano per entrare e aggiungersi a quelli intrappolati dal giorno prima. Le finestre sono spalancate ma non serve a niente. La maglietta bianca Hanes gli aderisce già alla schiena sotto il giubbotto antiproiettile, e gli dà fastidio. Si è appena fatto la doccia e sarebbe ora di farne un’altra.
“Pensa.” Si è lavato e vestito: pantaloni, maglietta, giubbotto di kevlar, calze, scarpe, cinturone. Ha tirato fuori la pistola dalla cassaforte, ha inserito il caricatore, e poi? Si guarda il fianco destro. Lì non c’è. Non avrebbe neanche bisogno di controllare, gli manca quel peso familiare. Ci sono il portacaricatore, le manette, la bomboletta lacrimogena, la radio e il manganello di servizio, ma niente pistola. In cassaforte non c’è, e neppure sul comò o in un cassetto, o sul letto sfatto. Guarda sulla cassettiera di Rosie. C’è solo la Madonnina sul centrino color avorio. Lei non lo aiuterà di sicuro.
“Sant’Antonio, dove cazzo è finita?”
È stanco. La sera prima gli è toccato il turno di servizio al traffico al Garden. Quello stramaledetto concerto di Justin Timberlake è finito tardissimo. E così è stanco. E allora? Sono anni che è stanco. Ma non riesce a capacitarsi di essere così stanco da lasciare in giro la pistola carica. Molti colleghi, quando hanno sulle spalle tanti anni di servizio quanto lui, tendono a diventare negligenti con le armi, ma lui no, mai successo.

Imbocca il corridoio a passo pesante, supera le altre due camere e si affaccia nell’unico bagno di casa. 

Niente. Piomba in cucina con le mani sui fianchi, il palmo della destra che cerca inutilmente il calcio della pistola, per abitudine. I suoi quattro ragazzi ancora scarmigliati, non lavati e insonnoliti sono seduti al tavolo della colazione, davanti a piatti di bacon poco cotto, uova strapazzate troppo liquide e pane tostato bruciacchiato. Come al solito. Lo sguardo di Joe percorre la stanza e individua la pistola, la sua pistola carica, sul piano di formica giallo senape accanto al lavello.
«’Giorno, papà» lo saluta Katie, la minore, sorridente ma incerta: sa che c’è qualcosa che non va.
Ignora Katie. Recupera la Glock, la infila nella fondina e la blocca, e poi la sua rabbia prende di mira Rosie.
«Che accidenti ci fa la mia pistola qui in cucina?»
«Ma che vuoi?» chiede Rosie, davanti ai fornelli in canottiera rosa senza reggiseno, calzoncini corti e piedi scalzi.
«Mi sposti sempre tutto» protesta Joe.
«La tua pistola non la tocco nemmeno» dice Rosie, tenendogli testa.
Rosie è piccolina, poco più di uno e cinquanta, quarantacinque chili bagnata. Neppure Joe è un gigante. Con le scarpe della divisa arriva a uno e settantacinque ma a vederlo sembra più alto, forse perché è massiccio e muscoloso, e ha una profonda voce roca. A trentasei anni ha messo su un po’ di pancetta ma si mantiene abbastanza bene per la sua età, pensando a quante ore passa seduto in un’autopattuglia. Di solito è un tipo allegro e alla mano, un vero bonaccione ma, anche quando sorride con quella sua scintilla negli occhi azzurri, si capisce che è un duro, uno della vecchia scuola. Nessuno può fare il furbo con Joe. Nessuno a parte Rosie.
Che ha ragione. Lei non la tocca mai, la sua pistola. Persino dopo tutti gli anni che Joe ha passato in polizia, Rosie non si è mai abituata ad avere un’arma in casa, nonostante sia sempre chiusa in cassaforte o nel primo cassetto del comò, con la sicura, o nella fondina. Fino a oggi.
«Allora come cazzo c’è arrivata fin lì?» le chiede indicando il punto accanto al lavello.
«Niente parolacce» ribatte lei. Joe lancia un’occhiata ai quattro ragazzi, che hanno smesso di mangiare per godersi lo spettacolo. Si concentra su Patrick. Dio lo protegga, ha sedici anni ed è nel periodo più stupido. Sarebbe proprio una mossa da imbecille degna di lui, malgrado tutte le prediche che i ragazzi si sono sempre sorbiti sulla pistola.
«Forza, chi è stato?»
Lo fissano senza rispondere. Cos’è, l’omertà di Charlestown?

«Chi ha preso la pistola e l’ha lasciata vicino al lavello?» chiede con voce tonante. Non intende accettare il silenzio come risposta.

«Non sono stata io, papà» dice Meghan.
«Neanch’io» dice Katie.
«Io no» dice JJ.
«Io non sono stato» dice Patrick.
La stessa cosa che dicono tutti i delinquenti che arresta. Sono tutti dei santi. Lo fissano con gli occhi spalancati, in attesa. Patrick si caccia in bocca una fetta di bacon gommoso e mastica.
«Mangia qualcosa prima di uscire, Joe» gli dice Rosie.
È troppo in ritardo per fare colazione. Ha perso tempo a cercare quella cazzo di pistola che qualcuno ha preso per poi lasciarla sul bancone della cucina. È in ritardo e gli sono saltati i nervi e fa caldo, fa troppo caldo. In quella stanza piena di gente l’aria sembra troppo spessa da respirare, è come se il calore emanato dal fornello, da sei corpi e dalla giornata già rovente andasse ad aggiungersi a qualcosa che gli ribolle dentro e minaccia di traboccare.
Farà tardi per l’appello e il sergente Rick McDonough, che ha cinque anni meno di lui, avrà di nuovo da ridire, sempre che non gli faccia addirittura rapporto. Non riesce a digerire il pensiero di quell’umiliazione, e dentro di lui qualcosa esplode.
Afferra per il manico la padella di ferro che c’è sul fornello e la scaraventa attraverso la stanza. Lascia un bel segno nella parete di cartongesso, non troppo lontano dalla testa di Katie, per poi atterrare con uno schianto sul pavimento di linoleum. Sugo rossastro di bacon cola sulla tappezzeria a margherite, come sangue da una ferita.
I ragazzi lo fissano in silenzio, gli occhi sgranati. Rosie non dice nulla e non si muove. Joe si precipita fuori dalla cucina, infila il corridoio ed entra in bagno. Ha il cuore a mille e la testa in fiamme. Si getta acqua fredda sulla faccia e sui capelli e si tampona con un asciugamano.
Deve uscire adesso, subito, ma c’è qualcosa nella sua immagine riflessa che lo blocca e non lo lascia andare.
Gli occhi.
Ha le pupille dilatate, nere ed enormi di adrenalina, come occhi di squalo, ma non è solo quello. È l’espressione in quei suoi occhi a fermarlo. Selvaggia, vacua, rabbiosa. Sua madre.
Lo stesso sguardo squilibrato che lo terrorizzava da piccolo. Si vede allo specchio, in ritardo per l’appello, incollato agli occhi disperati di sua madre che lo fissava allo stesso modo quando non poteva fare altro che starsene distesa a letto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di stato, muta, emaciata e posseduta, in attesa di morire.
Il demone negli occhi di sua madre, morta da venticinque anni, lo sta fissando dallo specchio del bagno.

Quarta di copertina
"La scelta di Katie" di Lisa Genova, Piemme, 2016.

Un inspiegabile gesto di rabbia; cose che scivolano di mano; improvvisi tic nervosi; errori sul lavoro: sono solo le avvisaglie dell’uragano che sta per travolgere la vita di Joe O’Brien, poliziotto quarantatreenne di Boston. Un uragano che si chiama corea di Huntington, la malattia neurologica degenerativa “più crudele” tra quelle conosciute. Per lui, la moglie Rosie, e i figli JJ, appena sposatosi, Patrick, Meghan e la più giovane, Katie, è la fine del mondo come lo conoscevano. Non solo: trattandosi di una malattia ereditaria, i quattro figli hanno il cinquanta per cento di possibilità di svilupparla. Ogni certezza, per la famiglia O’Brien, si sgretola; tutto ciò che sembrava così scontato, i giorni tutti uguali mai apprezzati abbastanza, diventano improvvisamente il ricordo struggente di un tempo in cui ogni felicità era possibile – solo che nessuno se n’era accorto. Ma le vie della speranza, per quanto tortuose, sono infinite, e se Joe troverà il coraggio di affrontare gli anni che gli restano grazie all’amore che lo circonda, e alla volontà di stare accanto ai suoi figli, per loro non c’è che compiere la scelta più difficile: conoscere gli esiti del test genetico. L’ultima a decidere di voler leggere il proprio destino sarà Katie: ma la sua scelta sarà comunque una sola. Quella di vivere la vita che ha davanti.
Come nel bestseller internazionale Still Alice. Perdersi, anche qui Lisa Genova attraversa la frontiera del dolore, per regalarci la storia di una famiglia spaccata in mille pezzi dalla malattia, ma unita dall’amore e dalla speranza.

★★★★★

Il buon giorno di vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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