Cinema Recensione di Stefania Bergo. La stella di Andra e Tati, un cartoon prodotto da Rai Ragazzi e Larcadarte per raccontare l'Olocausto ai bambini.
Avevo visto il trailer di La stella di Andra e Tati, pensavo ad un nuovo film d'animazione per il cinema di gennaio. Ne avevo intuito l'intento: raccontare l'Olocausto ai bambini, perché è giusto che conoscano questa pagina oscura del nostro passato, senza che venga loro negata la conoscenza, senza che vengano raccontate frottole, ma filtrando opportunamente il tipo di messaggio — non i contenuti, solo i toni. Perché i bambini capiscono molto più di quanto pensiamo, ma hanno diritto alla loro infanzia, al non essere violentati con immagini scioccanti o parole incomprensibili. Hanno bisogno di una comunicazione immediata, di adulti che si abbassino accanto a loro, in modo da poterli guardare negli occhi, non dall'alto, e cerchino di spiegare loro quelle immagini che per loro non hanno alcun senso. Perché non possono concepire tanta crudeltà, i bambini.La scelta dei registi Rosalba Vitellaro e Alessandro Belli e della Rai Ragazzi che ha co-prodotto il cartoon con il Centro Larcadarte, è stata a mio avviso davvero intelligente ed efficace. Per raccontare l'orrore ai bambini, si è scelto di narrare la storia di due bambine, Andra e Tati, deportate in un campo di concentramento. Una storia terribile che, tuttavia, ha un lieto fine. Perché per un bambino, tornare tra le braccia di mamma e papà non può che essere la giusta conclusione di un incubo. Anche se non si è trattato di un incubo, ma dell'atroce realtà dell'Olocausto.
Alessandra e Liliana Bucci sono due sorelle italiane sopravvissute all'Olocausto. Solo recentemente hanno trovato il coraggio di raccontare la loro storia.
Residenti a Fiume, di madre ebrea, hanno sperimentato sulla loro pelle prima l'ingiustizia delle leggi razziali, poi l'orrore della deportazione. Ad Auschwitz. All'epoca avevano solo quattro e sei anni.I disegni intensi di Annalisa Corsi sanno rendere l'emozione, il dramma provato, il senso di smarrimento e di inconsapevolezza tipico dei bambini. I colori sono cupi, come lo è la paura, ma non grigi. Le sfumature ci sono ancora, malgrado i bambini sperimentino subito l'assurdità di una condizione disumana inspiegabile: Andra e Tati vengono subito separate dalla mamma, private dei loro abiti, tatuate, ma trovano ancora il modo di trascorrere le giornate a giocare. Un istinto di sopravvivenza che spinge i bambini a rielaborare quello che accade loro intorno, come succede nei sogni, e a renderlo più accettabile. Perché non viene risparmiato nulla, ai bambini, ad Auschwitz.
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La stella di Andra e Tati racconta soprattutto le emozioni, le sensazioni delle due bambine.
Come quando la più grande, Andra, si sente in colpa per non aver "riconosciuto" la madre in uno dei rari incontri nel campo e non averla abbracciata. «Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo», vien da pensare guardando quella madre. Eppure, la mamma di Andra e Tati ha ancora una luce dentro e la fermezza di dire alle sue bambine di ripetere il loro nome per non scordarlo. Quest'esercizio sarà loro utilissimo alla fine della guerra, perché attraverso il loro nome potranno ricongiungersi alla famiglia. Ma aggrapparsi a un nome non è solo questo: nel nome di una persona c'è la sua identità, la sua umanità. Ridurre un individuo a un numero significa privarlo del suo essere "persona", diventa solo uno tra i tanti, un insignificante dato che fa statistica.Come sono sopravvissute ad Auschwitz Andra e Tati? Per caso.
Il caso ha voluto che la mamma le avesse vestite uguali nel momento in cui sono state deportate e siano state prese per gemelle, condizione invitante per il sadico "angelo della morte", il criminale di guerra Joseph Mengele. Il caso ha voluto che la loro blockova — l'addetta alla sorveglianza della loro baracca — le avesse prese in simpatia e le abbia salvate dalla fine atroce riservata invece al loro cuginetto Sergio, trasferito al campo di concentramento di Neuengamme, in mano ad un altro "dottor morte".Il caso. L'umore di chi gestiva il campo. La congiunzione astrale tra Venere e Marte. Non ci sono meriti, non ci sono colpe. Nell'Olocausto la distinzione tra chi è morto e chi è sopravvissuto è solo frutto del caso. Oltre 200 mila bambini entrarono ad Auschwitz, solo 50 ne sopravvissero al di sotto dei dieci anni. Due di questi furono Andra e Tati.
La stella di Andra e Tati non racconta solo l'orrore del passato, pone sotto i riflettori l'indifferenza di oggi.
Ho trovato davvero interessante e vincente l'aver raccontato la storia di Andra e Tati parallelamente a quella di ragazzini di 13-14 anni che, con la scuola, vanno in visita ad Auschwitz. Tra di loro, un gruppetto di ragazzini sbruffoni, i classici bulli che se la prendono coi più deboli. O anche semplicemente ragazzi superficiali, intenti a chattare tra i social dai loro smartphone, insofferenti all'obbligo di una "gita" che dovrebbe essere solo svago e non certo un momento didattico. È bello l'accostamento a compagni di classe con differente sensibilità, che invece l'Olocausto l'hanno già digerito. È commovente la trasformazione psicologica del capogruppo di questi bulli alla vista dei cumuli di valigie, degli occhiali intrecciati, dei pigiami a righe che paiono lapidi. La scuola, dunque, nel cartoon La stella di Andra e Tati assolve al suo compito di educazione delle nuove menti, sensibilizzandole, senza arrendersi al primo ostruzionismo, insistendo proprio con quei soggetti che paiono i più reticenti e disinteressati. Cercando di far cogliere la dissonanza tra la facile condanna del passato e l'indifferenza per le ingiustizie di oggi. Ricordare non basta, bisogna imparare davvero. Imparare a distinguere i tratti comuni e spaventosi di come tutto è iniziato. Leggi anche Stefania Bergo | Chi vuoi essere: solo una persona o una persona giusta?
E la scuola elementare di mia figlia ancora una volta ha dimostrato la grande sensibilità delle sue maestre e il suo valore educativo mostrando La stella di Andra e Tati ai bambini e facendo loro delle semplici domande dopo la visione del cartoon.
Cosa avresti fatto al posto di Andra e Tati? Cosa ci ha insegnato questo film? Cosa ne pensi della storia di Andra e Tati? Per Emma il film è «triste per il suo significato reale e ingiusto», perché «anche se siamo di colore e paese diverso siamo comunque uguali». E se fosse stata al posto delle due bambine, avrebbe semplicemente «obbedito alle regole anche se spaventata». Risposte semplici, da bambina. Da bambina pensante.Andra e Tati, ormai anziane, in una conferenza hanno detto di ammirare il popolo tedesco, pur avendone avuto paura e disprezzo a lungo, perché sono stati in grado di ammettere le loro colpe e fare i conti col loro passato. L'Italia no, non l'ha ancora fatto. E, forse, comincerà a farlo proprio attraverso i bambini.
L'intero film è disponibile sul sito www.raiplay.it, ed è possibile visionarlo semplicemente creando un account.
Dal film è stata tratta la graphic novel omonima, La stella di Andra e Tati, di Alessandra Viola e Rosalba Vitellaro, con le illustrazioni originali del cartoon e la prefazione di Andra Bucci e Tatiana Bucci, edita da De Aostini.
Stefania Bergo |
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