Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "La ragazza con la bicicletta rossa" di Monica Hesse, incipit #99

Gennaio 1943. Martedì.

La-ragazza-con-la-bicicletta-rossa-Monica-Hesse-incipit

La ragazza con
la bicicletta rossa

di  Monica Hesse
Piemme

cartaceo 14,88€
ebook 9,99€

«Hallo, dolcezza. Che cos’hai lì? Qualcosa per me?»
Mi fermo perché il soldato è giovane e carino, perché la sua voce è ammiccante e perché scommetto che mi farebbe ridere se andassimo al cinema insieme un pomeriggio.
È una bugia.
Mi fermo perché il soldato può essere un buon contatto, perché potrebbe procurarci le cose che non riusciamo più a trovare, perché probabilmente nel suo armadio ci sono file di barrette di cioccolato e di calze che non hanno un buco nell’alluce.
Ma nemmeno questa è la verità.
È solo che a volte scelgo di ignorarla, la verità, perché è più facile fingere che sto prendendo una decisione per un motivo razionale. È più facile fingere di avere un’alternativa.
Mi fermo perché la divisa del soldato è verde. È questa l’unica ragione. Perché la sua divisa è verde e io so di non avere alternativa.
«Sono parecchi pacchi per una ragazza così carina.»
Parla olandese con un leggero accento, ma lo parla bene e questo mi sorprende. Alcuni nella Polizia d’ordine non lo sanno per niente e sono infastiditi dal fatto che noi non capiamo il tedesco, come se avessimo dovuto prepararci tutta la vita al giorno in cui avrebbero invaso il nostro paese.
Fermo la bicicletta ma non scendo. «È esattamente la giusta quantità di pacchi, direi.»
«Che cosa c’è dentro?» Si china sul manubrio e passa pigramente in rassegna con la mano il contenuto del cestino.
«Vuoi davvero vedere? Vuoi davvero aprire tutti i miei pacchetti?» Rido e abbasso le ciglia, perché non veda quanto è studiata la battuta. Così ferma con un piede sul pedale, il vestito è salito un po’ sopra il ginocchio, e il soldato se ne accorge. È blu, un po’ troppo stretto e con l’orlo sfilacciato, risale a molti anni prima della guerra. Sposto il peso in modo che l’orlo salga ancora un po’, a metà della coscia coperta di pelle d’oca.
Questo siparietto sarebbe più sgradevole se lui fosse vecchio, se avesse le rughe, i denti gialli e la pancia cadente. Sarebbe più sgradevole, ma io farei la smorfiosa lo stesso. L’ho fatto decine di volte.
Lui si china in avanti. L’Herengracht alle sue spalle è torbido e puzza di pesce; potrei spingerlo nel canale e coprire la distanza che mi separa da casa sulla mia sgangherata bicicletta rossa di seconda mano prima che lui riesca a uscirne. È un gioco che vorrei fare con tutti i poliziotti d’ordine che mi fermano. Come faccio a fartela pagare e quanto potrò arrivare lontano prima che tu riesca a prendermi?

«Questo è un libro per mia madre» dico indicando il primo pacchetto avvolto nella carta. «E lì ci sono le patate per la nostra cena. E questo è un maglione che ho fatto rammendare.»

«Hoe heet je?» domanda. Vuole sapere come mi chiamo, e me lo sta chiedendo in modo informale, disinvolto, come farebbe un ragazzo sicuro di sé a una festa con una ragazza con i denti in fuori, e questa è una buona notizia perché preferisco che si interessi a me piuttosto che ai pacchetti nel mio cestino.
«Hanneke Bakker.» Vorrei mentire, ma non servirebbe a nulla ora che tutti dobbiamo portare con noi i documenti d’identità. «E tu invece come ti chiami, soldato?»
Gonfia il petto quando lo chiamo “soldato”. I più giovani sono ancora innamorati delle loro divise. Quando si muove, vedo un bagliore dorato intorno al collo. «E che cosa c’è in quel medaglione?» domando.
Il suo sorriso vacilla e la mano scatta al ciondolo che spunta dal colletto. È un cuore color oro che probabilmente custodisce la foto di una ragazza tedesca con il faccino a forma di mela che ha promesso di restargli fedele laggiù a casa, a Berlino. Corro un rischio chiedendoglielo,
ma se ho ragione ne sarà valsa la pena.
«È una foto di tua madre? Deve volerti davvero molto bene per darti una catenina così bella.»
Arrossisce mentre la nasconde sotto il colletto inamidato.
«È di tua sorella?» insisto. «Del tuo cagnolino?» È un equilibrio delicato, devo mostrarmi ingenua al punto giusto. Le mie parole devono suonare abbastanza innocenti da non suscitare la sua ira, ma anche taglienti al punto che lui abbia voglia di liberarsi di me invece di continuare a interrogarmi su quello che trasporto. «Non ti ho mai visto prima» dico. «Sei sempre di pattuglia in questa strada?»
«Non ho tempo da perdere con le ragazze sciocche come te. Vai a casa, Hanneke.»
Mentre mi allontano pedalando, il manubrio trema impercettibilmente. Gli ho quasi detto la verità sui pacchetti. I primi tre contengono un libro, un maglione e delle patate. Ma sotto le patate ci sono quattro salsicce, pagate con la razione di un uomo morto, e sotto ancora rossetti e lozioni, comprati con la razione di un altro uomo morto, e sotto ancora sigarette e alcol, comprati con il denaro che il signor Kreuk, il mio capo, mi ha dato stamattina proprio per quello scopo. Nessuna di queste cose è per me. La gente direbbe che commercio al mercato nero, luogo di scambio di beni proibiti. Io preferisco definirmi “una che trova le cose”. Trovo patate, carne e lardo. All’inizio trovavo anche zucchero e cioccolato, ma ultimamente è diventato difficile e mi riesce di rado. Trovo tè e bacon. I ricchi olandesi si mantengono grassottelli grazie a me. Io trovo tutto quello cui siamo costretti a rinunciare, a meno che non si sappia dove cercare.

Quarta di copertina
"La ragazza con la bicicletta rossa" di Monica Hesse, Piemme, 2017.

È l'inverno del 1943 ad Amsterdam. Mentre i cieli europei sono sempre più offuscati dal fumo delle bombe, Hanneke percorre ogni giorno, con la sua vecchia bicicletta rossa, le strade della città occupata. Ma non lo fa per gioco, come ci si aspetterebbe da una ragazzina della sua età.
Hanneke è una "trovatrice", incaricata di scovare al mercato nero beni ormai introvabili: caffè, tavolette di cioccolato, calze di nylon, piccoli pezzetti di felicità perduta. Li consegna porta a porta, e lo fa per soldi, solo per quello: non c'è tempo per essere buoni in un mondo ormai svuotato di ogni cosa. Perché Hanneke, in questa guerra, ha perso tutto. Ha perso Bas, il ragazzo che le ha dato il primo bacio, e ha perso i propri sogni. O almeno così crede. Finché un giorno una delle sue clienti, la signora Janssen, la supplica di aiutarla, e questa volta non si tratta di candele o zucchero. Si tratta di ritrovare qualcuno: la piccola Mirjam, una ragazzina ebrea che l'anziana signora nascondeva in casa sua. Hanneke, contro ogni buon senso, decide di cercarla. E di ritrovare, con Mirjam, quella parte di sé che stava quasi per lasciar andare, la parte di sé in grado di sperare, di sognare, e di vivere.
Un romanzo di lancinante bellezza, che ricorda classici del genere come Storia di una ladra di libri e Il bambino con il pigiama a righe, e racconta la città di Anna Frank e la forza di chi, come Hanneke, ha cercato di sconfiggere l'orrore con il più piccolo, e grande, dei gesti.

★★★★★

Il buon giorno di vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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