Gli scrittori della porta accanto

Haters e webeti: l'odio corre sulla tastiera

Webeti: l'odio corre sulla tastiera

Di Elena Genero Santoro. C’è l’odio conclamato di chi compie gesti palesi. E poi c'è quello subdolo, che si manifesta in ambito domestico o sul web, la piazza di un enorme paese dove i pettegolezzi e l'aggressività si sprecano.

Passato il Natale e lo spirito di gentilezza e bontà di cui è forzosamente permeato, mi sono scoperta a riflettere sull’odio.
C’è l’odio eclatante e conclamato di chi compie gesti palesi. Il mio primo riferimento va ai terroristi che il 22 dicembre, proprio prima di Natale, hanno colpito la popolazione innocente a Berlino, mietendo 12 vittime. Il fatto che abbiano agito proprio a Natale, è ancora più significativo: hanno attaccato una festa di tradizione cristiana. Ma oltre a questo c’è un altro fattore: come accaduto anche durante l’attentato di Nizza, i terroristi hanno colpito la gente in un momento di gioia e di svago, proprio per distruggere quella serenità. Perché chi ci odia ci vuole morto, meglio ancora se ci ammazza spegnendoci il sorriso.
Il tempo di imbastire questo articolo e il mondo è stato sconvolto dall'attentato di Capodanno ad Istanbul in una discoteca. Ovviamente credo che la condanna verso questi atti e verso le persone che li compiono sia unanime, ma l’odio non è solo un gesto così grave e pesante.

L’odio è qualcosa di più subdolo, è qualcosa che si manifesta anche in ambito domestico, è qualcosa con cui conviviamo quotidianamente.

Che sia un partner violento, una collega velenosa che sparla di noi con il capo calunniandoci, che sia un vicino di casa malmostoso, intorno a noi c’è qualcuno che ci odia. L'odio è meschinità casereccia. Facciamocene una ragione.
C’è un thriller bellissimo di qualche anno fa, L’uomo senza ombra, in cui Kevin Bacon interpreta uno scienziato che, facendo esperimenti su se stesso, diventa invisibile. Il problema è che poi non riesce più a trovare il modo di tornare normale. Nella nevrosi dell’attesa, mentre il suo team lavora strenuamente e senza risultati per cercare una soluzione, lui diventa sempre più cattivo e compie azioni orribili, come stuprare una donna, perché tanto ogni suo gesto resterà impunito e comunque lui non dovrà rendere conto nemmeno a se stesso, visto che specchiandosi al mattino non troverà un volto al di là del vetro pronto a giudicarlo. L’invisibilità lo ha reso completamente psicopatico.

La certezza dell’impunità (legale e personale) scatena i suoi istinti più biechi ed è, secondo me, esattamente quello che succede anche nel web.

Chi commenta articoli, fatti e opinioni altrui, sembra non rendersi nemmeno conto che i suoi insulti gratuiti arriveranno e offenderanno persone reali. O forse se ne rende conto e gode proprio per quello. Non so cosa sia più preoccupante.
Ma se di persona, face-to-face, si è costretti a trattenersi dal commettere atti poco gentili, perché il rischio di querela è sempre in agguato (visto che non siamo trasparenti), da quando esiste il web (che bella invenzione!) i peggiori istinti della gente si possono scatenare in modo aggressivo. Il web e i social media hanno dato voce a chiunque. Il web è la piazza di un enorme paesone dove i pettegolezzi si sprecano.

Haters

Il primo a rendersene conto è stato Enrico Mentana, bisogna dargliene atto, che si era auto-eliminato dai social perché stufo della violenza che un post può scatenare. E aveva coniato l’appellativo “webeti”.

Per indicare proprio tutti quelli che scrivono per sfogare i loro livori e le loro frustrazioni, coperti dall’anonimato o da un profilo dal quale sarebbe stato difficile risalire all’identità vera. Ci sono teorie che associano l'origine del male e della cattiveria all'ignoranza. Webeti, in effetti, non suona come un complimento.
Sul web ci si scanna a tutti i livelli e il problema è che i social media appiattiscono tutto. Se anche uno parla a ragion veduta o perché ha delle competenze sull’argomento specifico, è quasi impossibile che queste competenze emergano. Perché, come diceva qualcuno, «il cretino prima ti porta al suo livello e poi ti batte con l’esperienza».

Il web è il luogo in cui il populismo trionfa e la cultura, quando c'è, anziché essere vista come un valore, diventa sfoggio di saccenza. 

Eppure ci sono ambiti, come la scienza, in cui non tutti possono avere la parola o il diritto di commentare, perché i loro commenti si basano sulla "pancia" e non su dati oggettivi e su ricerche strutturate. Qui la democrazia, che dà diritto a tutti di esprimersi, non c'entra proprio nulla.
Quando una grossa testata pubblica una notizia qualunque su Facebook, sotto parte una sequenza pressoché infinita di commenti, poi di commenti ai commenti e la maggior parte di questi sono insulti: alla testata stessa o a chi ha commentato in precedenza. Premesso che tanto nessuno si smuove mai dalla propria posizione, quindi tanto vale, il dialogo non esiste, si vedono tutti i livori personali emergere e venire a galla con chiarezza.
Io ho fatto un voto (e finora l’ho rispettato e devo dire che sto meglio) dopo un episodio che per me è stato lo spartiacque della mia vita sul web. Avevo lasciato un commento sotto l’articolo di un blogger che seguo e stimo. Ne era nata una discussione accesa tra terzi cui io avevo preso parte solo relativamente. A un certo punto, compare una tizia, per me completamente sconosciuta, che mi scrive: «tornatene a scrivere i tuoi libretti».
Riflessioni:
  1. La sua sentenza non era attinente l’argomento, ma era rivolta proprio a me come persona.
  2. La tizia in questione evidentemente mi conosceva, ma io non avevo idea di chi fosse lei.
Volendo vedere l’aspetto positivo, ho pensato: “Ehi, ma sono famosa come scrittrice, allora!!”
Eppure quell’episodio ha segnato lo spartiacque, dicevo, perché da allora sono stata molto più cauta a lasciare commenti in giro.

Per quanto la nostra notorietà sia limitata, per quanto noi che scriviamo abbiamo bisogno del web, c’è pur sempre qualcuno che ci osserva e, se può, cerca di distruggerci

È quasi una regola.
Accade a tutti i livelli. Non importa quanto tu sia bravo, quanto tu ti impegni per fare bene il tuo lavoro, qualunque esso sia – di scrittura e di ricerca nel mio caso. Anzi, forse, più sei bravo, noto e acclamato, più provano gusto a offenderti. Come se deprimere te facesse accrescere la loro notorietà e il numero di cose che sanno fare loro.
Non sto parlando di me, naturalmente. Perché bisogna fare un distinguo.

Haters, webeti: l'odio corre sulla tastiera.

Ci sono gli haters casuali, che sparano nel mucchio e se la prendono col primo sciagurato che capita a tiro. Ma poi ci sono gli haters mirati, che odiano un certo personaggio e contro di esso si accaniscono a ogni ora del giorno e della notte, festività comprese.

(Ma davvero non hanno di meglio da fare, nemmeno durante le feste comandate? Che tristezza).
Mi viene in mente Gramellini, ma è solo un esempio. La sua fama e la sua bravura sono conclamate. Eppure più di una volta, sotto i suoi articoli, non sempre condivisibili, ma sicuramente arguti, ho trovato commenti non inerenti l’argomento trattato, ma alla persona – quando lui raccontava di una tizia che si è inventata il mestiere di addobbare l’albero di Natale per terzi, c’era un tale che accusava lui di inventarsi e rubare il lavoro da 20 anni, tanto per dire.
Ma i casi sarebbero mille e riguardano tutti.
Un'altra molto odiata, perché si espone molto, è Arisa.
Pure una mia amica giornalista, sicuramente meno nota, mi raccontava degli insulti pesanti che si era presa dopo la pubblicazione di un’inchiesta sui giovani e l’alcol. Un’inchiesta, non un editoriale o un’opinione. Si trattava di interviste. Robe dell’altro mondo.

E che dire di Martina Dell’Ombra? 

Chi non la conosce?
Martina Dell’Ombra è una pariolina di 23 anni. È una star del web, ma non esiste: è impersonata da un’attrice di teatro, che ha un altro nome e pure un'altra età. Si può non condividere ciò che Martina dice, ma se qualcuno non capisce che è assolutamente, indiscutibilmente, insindacabilmente ironica, beh, questo qualcuno ha qualche problema. Eppure, oltre ai numerosi followers la povera Marina ha anche numerosi haters. E che haters. Ho visto un video in cui Martina rispondeva con estrema pacatezza, ironia e intelligenza ai commenti di chi la voleva morta. C’era uno che le augurava di essere «stuprata in malo modo dal padre e ammazzata». E lei, con aplomb, gli domandava, quasi seria, che differenza ci fosse tra “stuprare in malo modo” e invece “stuprare in modo corretto”. Una grandissima, insomma.
Con meno sportività ha reagito invece la Boldrini che agli insulti pesanti non ha soprasseduto e ha querelato quelli che sul web l’hanno offesa in quanto donna, prescindendo dalle idee politiche.

Quindi che fare? È ovvio che più ci si espone, più ci si fa conoscere e più si rischia di trovare oppositori e haters

Si miete gramigna insieme al grano buono, per fare un paragone evangelico. Si può dire che il numero di haters sia indice della popolarità raggiunta.
Forse la soluzione più efficace è ignorare. Tirare avanti per la propria strada e continuare a fare onestamente il proprio lavoro. Fare capire ai cosiddetti “leoni da tastiera” (così vengono anche chiamati) che le loro parole si disperderanno nell’aria e che i loro commenti non contano nulla. E, in caso di minacce serie, riservarsi di far partire una querela come ha fatto la Boldrini.

Elena Genero Santoro


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