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Il mercante di Venezia, di William Shakespeare: l'antisemitismo nella Venezia del XVI secolo

Il mercante di Venezia, di William Shakespeare: l'antisemitismo nella Venezia del XVI secolo

Professione lettore Di Davide Dotto. Il mercante di Venezia, di William Shakespeare: dalla novella del '300 di Giovanni Fiorentino, attualità e antisemitismo in una commedia sull’idolatria del denaro e sull'odio ossessivo, in una Venezia del XVI secolo, centro di traffici e di affari.

The Merchant of Venice concepito negli ultimi anni del XVI secolo, è ambientato nella Venezia dello stesso periodo.
La storia che vi si racconta e i personaggi sono in parte tratti da una novella del Trecento di Giovanni Fiorentino, dalla raccolta Il Pecorone.
Non è una novità. Shakespeare sapeva che è dall’imitazione che deriva l’invenzione; ai suoi tempi l’accusa di plagio – spiega Peter Ackroyd – era una mera formalità, un’offesa di rito nel mondo del teatro. Perché l’imitazione e il prestito erano parte dell’arte del comporre. Se l’imitazione è il gradino imprescindibile della creazione artistica, dopo seguirà la aemulatio, intesa a costruire un’opera unica che non potrà essere ignorata.
È il problema che sta alla base del canone letterario studiato da Harold Bloom, e di quella che egli chiama angoscia dell’influenza. In sintesi: i precursori rappresentano il motore per la produzione di nuove opere. Ogni generazione è tenuta ad aggiornare i precedenti modelli, emulando (cioè superando), non solo imitando. Si tratta di un necessario confronto dal quale emergono un' identità e un'anima nuove.
È quello che avviene in William Shakespeare: egli infonde nei testi un’anima e un’identità che mettono in secondo piano e oscurano le sue fonti.

Il Mercante di Venezia nasce dall'attualità.

Peter Ackroyd, nell’imponente biografia dedicata al drammaturgo inglese, ricorda che il Macbeth faceva eco alla congiura delle Polveri del 1605 ai danni di Re Giacomo I. Nel nostro caso si fa leva su un complotto che coinvolse il medico personale di Elisabetta I, Rodrigo Lopez (1517 - 1594), ebreo d'origine ma di fede anglicana. Accusato di aver tentato di avvelenare la regina, fu condannato all’impiccagione.
Nella Londra del 1600 non vi erano Ebrei non battezzati. Banditi dall’Inghilterra da un decreto di Re Edoardo I (1290), poterono farvi ritorno e professare la loro religione con Oliver Cromwell.
Molto si è discusso e si discute sul marcato antisemitismo che trasparirebbe in quest’opera, trasmessa via radio dopo la Notte dei Cristalli, nel novembre del 1938. Certo è che nella Venezia del XVI secolo, gli Ebrei erano costretti a risiedere nell’area del ghetto, sorvegliata da guardie cristiane. “Ghetto” indicava un preciso quartiere di Venezia in cui era presente una fonderia (getto).
Soltanto nel corso delle campagne napoleoniche del 1797 (nel contesto della Rivoluzione Francese e della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino) gli Ebrei sarebbero stati equiparati agli altri cittadini.

Shakespeare non fa che prendere spunto da schemi omologati della cultura del tempo. Si pensi all’Ebreo di Malta di Marlowe.

La Commedia oscilla tra situazioni e personaggi che si specchiano. Intesse un delicato equilibrio che crea sconcerto e noi, che osserviamo, non sappiamo da che parte voltarci.
Gli antagonisti, Antonio (il mercante) e Shylock (l'Ebreo), se non divengono maschere da tragedia, è perché l'autore ha scelto altrimenti. Occupano la stessa casella, dove si pone il primo, c'è il secondo. L'odio reciproco è ossessivo, oltre le righe, tanto da spingere Shylock a imbastire una causa nella quale ci rimette. Sono le leggi di Venezia a chiuderlo nel ghetto e la sua vendetta è tutta qui: ritorcerle contro Antonio.
Avverrà, però, esattamente l'opposto. La legge invocata non è infatti la sua legge, ma quella del suo nemico: Shylock è uno straniero che sta attentando alla vita di un cittadino.
A prevalere è la giustizia del caso concreto, essenza stessa del diritto e antidoto alla rigida applicazione della norma intesa a contravvenire ai suoi stessi principi. Il diritto è uno strumento di giustizia (non di vendetta) e di salvaguardia dell'ordine pubblico. Il quale sarebbe stato pregiudicato in maniera insanabile se Shylock avesse avuto modo di ottenere la libbra di carne.

Shakespeare va oltre la maschera che appartiene al mercante, all'ebreo. 

In comune con Jago, Shylock ha la sete di vendetta, persegue il male per il male, non ha il senso della misura. È spinto a mettere in scena i propri piani adattandoli alle circostanze sopravvenute. Poteva negare il prestito invece pretende, in caso di insolvenza, una libbra precisa della bella carne di Antonio che sarà tagliata e presa dalla parte che gli piacerà scegliere del suo corpo [Atto I, sc. III].
Shylock vive dell'interesse del capitale che dà a credito. Non può fare diversamente, né ha la consolazione degli affetti che non coltiva e ai quali rinuncia, quasi fosse radicata in lui la dura lezione appresa da Re Lear. La sua condizione è quella dello straniero relegato a un ambito ben definito ma non estraneo all'economia veneziana. In quanto tale subisce affronti e sopporta insulti da parte dei Cristiani e, soprattutto, da Antonio.
Già qui ci distanziamo dagli stereotipi di partenza, tanto che ci domandiamo chi abbia cominciato, se il contratto scellerato non sia alla fine nient'altro che una reazione. La malvagità stessa di Shylock e l'ossessione di andare fino in fondo alla vendetta è simile a un balsamo contro la sofferenza.  Non è quello che accade a Margherita nel celebre romanzo di Bulgakov?
«C’era una volta una zietta… E non aveva bambini, e nemmeno un poco di felicità. Ed ecco che dapprincipio pianse a lungo, e poi divenne cattiva…»
Il-mercante-di-Venezia

Il mercante di Venezia

di William Shakespeare
Newton Compton Editori
cartaceo € 4,17
ebook 1,99€

È chiaro sin da subito che Antonio non è un cliente comune al quale prestare denaro. 

C'è uno stretto legame tra i due. Anche la violenza con la quale Antonio si scaglia su Shylock è una reazione alla sua peculiare malinconia:
Non so davvero perché sono così triste
(Atto I sc. I) 
Il mercante, quando si trova in un'allegra compagnia, sta in disparte, perso nei propri pensieri. L'unico a cui è legato (Bassanio) si allontanerà per unirsi a Porzia.
Ma che bisogno aveva Antonio di rivolgersi a Shylock, non bastava ricorrere a un amico mercante? Del resto neanche Shylock ha a disposizione tutti i tremila ducati che gli servono, quel che manca se lo fa anticipare da Tubal.
Antonio sembra emarginato dalla classe alla quale appartiene, chiosa un interessante saggio di Ekkehart Krippendorff (Le commedie di Shakespeare, Fazi editore). Lo scontro, insomma, non riguarda l'ebreo e il cristiano ma Shylock e Antonio, individualmente considerati.

L'odio manifestato è patologico, colpisce e imbarazza ebrei e mercanti. 

È un'eccezione che culmina in un processo che è ben lungi dall'essere il primo di una serie. A prevalere è il primato incondizionato del denaro, i rispettivi credi sono pretesti. Non passa nemmeno per la testa, ad Antonio, di dare consigli a Bassanio sul modo di conquistare Porzia o di avere la meglio sugli altri pretendenti, gli garantisce i mezzi che non possiede.
Shylock, nonostante tutto, consegna comunque ad Antonio i tremila ducati che chiede. Quando gli fugge la figlia (Jessica), non piange l'abbandono, ma il furto dei denari.
Antonio e Shylock sono concorrenti, mercanti. È la legge veneziana, più che la religione, a metterli contro. 
Antonio è il sistema produttivo, guadagna sulle merci, Shylock ha tra le mani il capitale finanziario di cui Antonio ha bisogno per i suoi traffici. Quest'ultimo non può vendere merci ma solo far fruttare il denaro e vive da usuraio. L'altro, essendo cristiano, non può guadagnare sull'interesse del capitale dato a prestito. Se si scambiassero i ruoli, ciascuno violerebbe le leggi veneziane. La loro è un'avversione che si fa specchio. Shylock si riconosce in Antonio, e Antonio in Shylock. E noi stessi, a seconda delle circostanze, ci riconosciamo in ciascuno di loro: veniamo giudicati nel momento in cui stiamo giudicando. 

Il mercante di Venezia al cinema

regia di Michael Radford
Cast: Al Pacino, Jeremy Irons, Joseph Fiennes, Lynn Collins
Durata 127'
DVD  €9,99  Acquista 



Il mercante di Venezia a teatro

traduzione e adattamento di Giorgio Albertazzi
Regia Giancarlo Marinelli
Scenografia Paolo Dore
Costumi Daniele Gelsi
Cast: Franco Castellano, Stefania Masala, Paolo Trevisi, Francesco Maccarinelli, Diego Maiello, Ivana Lotito, Cristina Chinaglia, Simone Vaio, Vanina Marini, Alessandra Scirdi, Erika Puddu, Francesca Annunziata
Consulenza storico letteraria Sergio Perosa
Ghione Produzioni



Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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