Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "Biglietto di terza classe" di Silvia Pattarini | estratto #2

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Non lo conosceva, sicuramente non lavorava alla Triangle. E nemmeno l’altro signore le sembrava un viso noto. Dall’altra parte, al banco degli imputati, due signori ben vestiti, dagli occhi impassibili, la scrutavano come se avessero visto una creatura spregevole. 


Dovevano essere i proprietari della fabbrica, Mr. Harris e Mr. Blanck, ma lei non li aveva mai visti prima. Stavano sempre ai piani alti e non si mischiavano mai ai lavoranti, delegavano altri sub alterni a controllare che tutto procedesse secondo le loro regole.
Un minuto dopo entrò la corte. Tutti si alzarono in piedi. Un silenzio regnava nell’immensità dell’aula, dagli arredi di legno talmente lucidi da abbagliare la vista, fino a quando gli avvocati iniziarono i primi interrogatori.
Fu chiamato il ragazzo a deporre per primo, e dopo aver prestato giuramento espose la sua versione dei fatti.
«Mi trovavo al bar all’angolo, nei pressi del palazzo Asch, e come ogni sabato attendevo la mia fidanzata che uscisse dal lavoro».
«La sua fidanzata lavorava alla Triangle?» gli chiese un avvocato.
«Sì, da qualche settimana».
«Vada pure avanti!» ribatté il togato.
«Avevo appena guardato l’orologio, erano le 16:55 e ho notato che era in ritardo. In lontananza udivo le sirene dei pompieri, ma è talmente frequente a New York che non mi sono preoccupato. Ho alzato gli occhi verso il palazzo e ho visto delle fiamme, allora ho collegato le cose… i pompieri sono arrivati di corsa e hanno iniziato subito a lanciare l’acqua con i loro idranti, ma le loro scale erano troppo corte e non arrivavano fino agli ultimi piani». La voce del ragazzo si fece malinconica e iniziò a balbettare, era molto agitato.
«Poi cosa è successo?» gli domandò l’avvocato.

«Poi…è co… cominciato l’inferno… ho visto alcune ra... ragazze che… » il ragazzo si bloccava tra una parola e l’altra con un nodo alla gola «delle ra… ragazze che si lanciavano dalle fi… finestre… i loro ca… capelli… i loro ve… vestiti erano in fiamme… cadevano come mo… mosche». 

Il ragazzo singhiozzava e piangeva. Non ce la faceva a sostenere la conversazione.
Anche Lina rievocando quei momenti di terrore aveva un nodo alla gola.
«I pompieri… poverini… avevano il loro bel da fare… hanno teso i loro teli e hanno detto alle ragazze di saltare… ma sono saltate in troppe e i teli…» singhiozzava il giovane, «i teli…non hanno retto… si sono sfracellate al suolo…la mia ragazza era una di queste» il ragazzo era talmente provato dal suo racconto che non riusciva più a parlare.
«Per ora basta così, torni al suo posto» lo congedò un avvocato mentre dalla sala si levavano imprecazioni contro i proprietari della fabbrica.
In seguito fu chiamato a deporre il signore sulla quarantina, era un pompiere.
«Quando siamo arrivati a sirene spiegate, l’incendio aveva già divorato tutto. Noi abbiamo fatto il possibile per salvare la gente, ma ne abbiamo tratte in salvo ben poche, troppo poche».
«Perché?» chiese l’avvocato della difesa.
«Mentre un gruppo di colleghi cercava di domare le fiamme… ma le nostre scale erano troppo corte e arrivavano solo al sesto piano… bruciavano gli ultimi tre piani dell’edificio… ma il palazzo era sprovvisto di idranti… io e altri colleghi siamo entrati nel palazzo, siamo corsi su per le scale fino all’ottavo piano, perché gli ascensori erano fuori uso. Sentivamo le urla agghiaccianti delle ragazze rinchiuse all’interno, come in una gabbia di conigli!».
«Le porte erano chiuse?» domandò l’avvocato.

«Sì! Abbiamo dovuto sfondarle. Erano tutte chiuse a chiave! Abbiamo tirato fuori le ragazze da quel girone infernale, almeno quelle ancora vive, e le abbiamo accompagnate al sesto piano».

Ci fu un attimo di pausa, l’uomo doveva riorganizzare le idee.
«Poi il mio collega mi ha urlato di correre da lui, di fianco all’ascensore: un mucchio di corpi, ammassati l’uno sull’altro erano precipitati all’interno del vano ascensore. Qualcuno era ancora vivo, altri morti! Siamo riusciti a estrarli a fatica, grazie all’intervanto degli uomini delle ambulanze».
In seguito, come preso da un coraggio che non è di questo mondo, si rivolse ai due proprietari della fabbrica sbraitando: «ma perché le avete rinchiuse a chiave? Le avete condannate a una morte atroce come polli allo spiedo!».
«Non è vero! È una bugia!» gridavano Mr. Harris e Mr. Blanck dalla loro postazione, mentre dalla sala la folla inferocita imprecava contro di loro!
«Assassini! Criminali! Andate in galera!».
«Silenzio in aula! TOC! TOC! TOC!» martellava il giudice seduto alla sua scrivania al centro dell’enorme aula, ma ebbe il suo bel da fare per placare la platea furibonda.
A quel punto prontamente i legali dei due ricchi proprietari intervennero.
«I miei assistiti non avevano altra scelta! Dovete rendervi conto, signori della giuria, che questi signori avevano giornalmente a che fare con giovani immigrate, tutte poveracce che non disdegnavano di commettere furti o fare sempre lunghe pause, non appena il padrone voltava le spalle. Capite bene Vostro Onore che i miei assistiti sono stati costretti dalle circostanze a rinchiudere a chiave queste sciagurate! Per evitare furti, per evitare lunghe pause che danneggiavano la produzione!».
Tornata la calma il pompiere continuò nel suo angoscioso racconto.
«Alcune persone hanno cercato di mettersi in salvo passando dalla scala antincendio. Ma questa era vecchia e arrugginita, così è crollata trascinandosi dietro una lunga scia di giovani vite. Temo che nessuno sia sopravvissuto alla rovinosa caduta».
Lina ascoltava impietrita il racconto del pompiere e si chiedeva se fosse stato lui a offrile quella mano santa che l’aveva tratta in salvo. Se fosse stato così avrebbe almeno dovuto ringraziarlo.
Il pompiere fu fatto accomodare al posto suo, ora veniva chiamata Lina.
Posò la sua mano tremante sulla Bibbia e prestò giuramento, in seguito spaventata e intimorita rispose alle domande.

«Mi chiamo Lina e sono italiana. Lavoravo alla Triangle da circa un paio di mesi. Tutto il giorno al lavoro alla macchina da cucire a confezionare camicette».

«Come mai sei riuscita a salvarti? Le porte allora non erano tutte chiuse» le disse un legale di Harris e Blanck tentando di ingannarla con quella domanda a trabocchetto.
«Le porte erano tutte chiuse!» rispose prontamente Lina.
«Strano! Allora tu come sei uscita?».
«Qualcuno ha sfondato la porta e mi ha fatta uscire. Non so chi sia stato, ma lo ringrazio di cuore!».
«È vero che prima di uscire alcuni responsabili vi perquisivano una a una?» le domandò il perfido avvocato dei ricchi proprietari.
«Sì. Ci facevano aprire le borse e le tasche».
«Perché sapevano che alcune di voi erano delle ladre?».
«No! Non siamo delle ladre!» replicò la ragazza molto imbarazzata. A quell’insinuazione infame le venne voglia di piangere.
«Allora perché dovevano perquisirvi?».
«Non lo so…» replicò sgomenta «forse…non so perché non si fidavano, ma vi assicuro che non si poteva rubare nulla!» riuscì a sostenere con voce tremante e trattenendo a stento le lacrime.
«Perché no?».
«Le merci a noi affidate venivano annotate al momento della consegna, poi, prima di restituirle finite, venivano ricontate. Se all’inizio erano dieci dovevano essere dieci anche alla fine!».
Intervenne il giudice che dall’alto della sua postazione le chiese di raccontare tutto quello che ricordava.
«Era un giorno come tanti e io come al solito lavoravo alla mia macchina da cucire. La signorina del decimo piano era già passata a consegnare le nostre buste paga, mancava ancora poco all’uscita quando all’improvviso ho sentito un cutter gridare: ‘al fuoco! al fuoco!’»
A quel punto intervenne un avvocato dei proprietari.
«In fabbrica è vietato fumare?».
«Sì!» rispose Lina.
«Nessuno stava fumando in quel momento?».
«Non lo so… di solito gli uomini fumano anche se è vietato!»
«Vedete Vostro Onore? Se non si usano metodi duri nessuno di questi immigrati rispetta le regole!».
Lina intuì di avere risposto in modo negativo, forse sarebbe stato meglio se avesse risposto solo con “non lo so” facendo la finta tonta, ma ormai era tardi, aveva parlato troppo.
«Basta così» intervenne il giudice, «Signorina vada avanti col suo racconto!».
«Ho visto del fuoco sul tavolo dei tagliatori. Qualcuno ha gettato un secchio d’acqua sulle fiamme, ma invece di spegnersi il fuoco si è esteso sempre più con una velocità tale da non lasciare scampo…forse quell’acqua era sporca di oli e solventi...

"Biglietto di terza classe" di Silvia Pattarini | estratto #1

BIGLIETTO-DI-TERZA-CLASSE

BIGLIETTO DI TERZA CLASSE

0111 Edizioni
Romanzo storico
cartaceo 12,75€
ebook 5,99€


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