Volevo un marito nero, di Valentina Gerini, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto, 2017 (seconda edizione). Una donna sola alla scoperta di nuove culture, da Zanzibar ai Caraibi, inseguendo il sole. E l’amore.
162 pagine | ebook 0,99€
Dicendo sì ai colleghi di lavoro, iniziai a uscire la sera, anche solo per cena, iniziai ad andare in spiaggia nella pausa pranzo, ad abbronzarmi e tuffarmi in quell'acqua cristallina e perennemente calda.
Feci alcune escursioni per visitare quei posti difficilmente raggiungibili per un semplice turista e rinacque in me il desiderio di vivere e conoscere. Visitai la campagna, l'altra faccia della Repubblica Dominicana, quelle che non si vede e nemmeno ci si immagina se si rimane chiusi nelle aree turistiche. Campi infiniti pieni di piantagioni di canne da zucchero dove migliaia di persone lavorano duramente, senza l'ausilio di macchine, tagliando le piante e trasportandole ai depositi con l'aiuto di carri trainati da mucche. Lì, vidi la ferrovia che tagliava a metà i campi, usata solo ed esclusivamente per il trasporto merci. Vidi quelli che chiamano i "batey", ovvero i villaggi, composti spesso da case tutte uguali che vengono offerte ai lavoratori delle piantagioni e alle loro famiglie. Nei "batey", spesso, non arriva l'elettricità e le abitazioni non sono dotate di acqua potabile, ci sono bagni pubblici dove le persone, a turno, possono farsi la doccia o darsi una rinfrescata. Sono quasi sempre lontani dalle città e la vita di quella gente è spesso reclusa all'interno di quei villaggi.
Visitai la capitale, Santo Domingo, dove vidi altissimi palazzi e centri commerciali. Era una vera e propria città, intasata dal traffico. Non c'erano mucche lì, solo macchine, autobus e taxi, spesso malconci. Vidi la zona dove si dice sia vissuto il nipote di Cristoforo Colombo per anni, una parte molto antica, forse l’unica parte antica rimasta in città, fatta di stradine piastrellate ed edifici in stile coloniale. Moltissimi negozi di artigianato e ristoranti, anche lussuosi, costeggiavano le vie. Passeggiando come una turista ricordai perché avessi scelto questo lavoro e mi sentii felice. La mia vita iniziava di nuovo a prendere forma.
Dicendo sì alla vita, incontrai quello che oggi è mio marito.
Feci alcune escursioni per visitare quei posti difficilmente raggiungibili per un semplice turista e rinacque in me il desiderio di vivere e conoscere. Visitai la campagna, l'altra faccia della Repubblica Dominicana, quelle che non si vede e nemmeno ci si immagina se si rimane chiusi nelle aree turistiche. Campi infiniti pieni di piantagioni di canne da zucchero dove migliaia di persone lavorano duramente, senza l'ausilio di macchine, tagliando le piante e trasportandole ai depositi con l'aiuto di carri trainati da mucche. Lì, vidi la ferrovia che tagliava a metà i campi, usata solo ed esclusivamente per il trasporto merci. Vidi quelli che chiamano i "batey", ovvero i villaggi, composti spesso da case tutte uguali che vengono offerte ai lavoratori delle piantagioni e alle loro famiglie. Nei "batey", spesso, non arriva l'elettricità e le abitazioni non sono dotate di acqua potabile, ci sono bagni pubblici dove le persone, a turno, possono farsi la doccia o darsi una rinfrescata. Sono quasi sempre lontani dalle città e la vita di quella gente è spesso reclusa all'interno di quei villaggi.
Visitai la capitale, Santo Domingo, dove vidi altissimi palazzi e centri commerciali. Era una vera e propria città, intasata dal traffico. Non c'erano mucche lì, solo macchine, autobus e taxi, spesso malconci. Vidi la zona dove si dice sia vissuto il nipote di Cristoforo Colombo per anni, una parte molto antica, forse l’unica parte antica rimasta in città, fatta di stradine piastrellate ed edifici in stile coloniale. Moltissimi negozi di artigianato e ristoranti, anche lussuosi, costeggiavano le vie. Passeggiando come una turista ricordai perché avessi scelto questo lavoro e mi sentii felice. La mia vita iniziava di nuovo a prendere forma.
Dicendo sì alla vita, incontrai quello che oggi è mio marito.
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Quarta di copertina
"Volevo un marito nero" di Valentina Gerini.
Molte ragazze sognano il principe azzurro ma Federica, che di lavoro fa l'assistente turistica, lo sogna nero. Con la sua voglia di viaggiare, di vivere, di conoscere il mondo e le culture differenti, va da un capo all'altro del mondo col cuore aperto, accogliendo tutto ciò che il viaggio le regala. Atterrata a Zanzibar, capisce subito che l'Africa la segnerà definitivamente. I Masai, gli odori delle spezie, i colori del mare. Tutto lascia pensare che abbia finalmente trovato il suo posto nel mondo. Ma il Tour Operator per il quale lavora la sposta nuovamente, in Repubblica Dominicana. E il Mal D'Africa si fa sentire ed è così forte da sembrare una vera malattia. Poi la bachata, il merengue e il calore dominicano iniziano a fare effetto, come un antidoto e, piano piano, s'innamora anche di questa terra. Tra le difficoltà che le si presentano di fronte in questo nuovo luogo, le scelte che si rendono necessarie, Federica ricomincia a vivere.Leggi le altre pagine 69:
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