Gli scrittori della porta accanto

Viaggiare con i figli ai tempi della globalizzazione: la Normandia e Parigi

[Mamme in viaggio] Viaggiare con i figli ai tempi della globalizzazione: la Normandia e Parigi - Spiaggia - Credits: Elena G. Santoro

Mamme in viaggio Di Elena Genero Santoro. Globalizzazione significa anche ridurre le peculiarità del singolo paese, appiattire le eccellenze, esportare gli stessi problemi. E il rischio è che i bambini perdano la loro capacità di stupirsi. E a volte tocca a noi far riscoprire ai nostri figli la meraviglia del viaggio, la ricchezza delle differenze.

Ricordo che la prima volta che andai in Spagna, nel lontano 1998 – fino ad allora raramente ero stata all’estero – feci i conti con un ambiente completamente diverso da quello a cui ero avvezza. Edifici diversi, chiese diverse e angoscianti di pietra scura, ma anche negozi caratteristici con scritte tutte in spagnolo. E nei negozi, compresi gli alimentari, c’erano prodotti differenti rispetto a quelli che trovavo in Italia. Non si mangiavano le stesse cose. La pastasciutta lì non esisteva, non esistevano i plumcake per colazione, si andava avanti a paella e tacos. Ogni tanto una bistecca impanata e funghi fritti. Per contro fino a quel momento la paella non sapevo nemmeno cosa fosse. Una volta a casa lo spiegai anche ai miei parenti, perché non lo sapevano neppure loro.
Tornai in Spagna nel 2001 e ancora nel 2005 – oh, è tanto, dovrei farci una puntata prima o poi, giusto per vedere a che punto è la Sagrada Familia - e nel frattempo mi resi conto che qualcosa era cambiato. I monumenti e l’architettura storica erano rimasti gli stessi (a parte la Sagrada Familia in continua evoluzione), e anche certe abitudini (colazione a mezzogiorno, pranzo nel pomeriggio, cena non prima delle dieci), ma tutto il resto (prodotti, pubblicità, insegne, negozi) era cambiato. Era tutto più simile a quello che c’era da noi. I brand erano gli stessi. La crema idratante in farmacia, il caffè nei bar, i marchi di abbigliamento.

Quest’estate ho attraversato tutta la Francia per arrivare in Normadia coi miei figli di sei e nove anni. 

Per motivi legati alla celiachia abbiamo scelto di stare in un appartamento e cucinare da soli. Posto che la Francia (e la Grecia, dicono) sia il paese più arretrato d’Europa per la gestione della celiachia, abbiamo ovviamente girato da cima a fondo più di un supermercato per trovare quello che ci serviva. Bene, senza ombra di dubbio posso affermare che il supermercato francese fosse identico a quello che c’è a tre chilometri da casa mia in Italia. Magari cambiavano alcuni gusti: il budino pronto al pistacchio da noi non l’ho mai visto, e il prosciutto francese è solo confezionato e tagliato in fette spesse, ma a livello qualitativo e quantitativo c’è tutto: ogni genere di frutta, di verdura, di carne, di pasta, per la gioia di mia madre che temeva che avremmo trovato solo patate.
E per le strade? Per le vie del paese dove soggiornavamo, Bayeux? Negozi di ogni tipo, dall’abbigliamento in poi, con i nostri stessi marchi, compresi quelli che acquisto per i bambini. Più qualche negozio di souvenir a uso e consumo del turista.
Il mercato del sabato mattina? Identico a quello che c’è nel mio paesello natio, stessa paccottiglia, stesse borse cinesi, stessi banchi di formaggi, stesso abbigliamento dozzinale.
Benvenuti nell’era della globalizzazione, dunque, dove tutto è disponibile ovunque. Comodo, no? Se hai scordato di comprare qualcosa in Italia, in Francia la trovi identica. E soprattutto, non devi rinunciare a nessuna delle tue comodità.
E che dire del caffè? Fino a pochi anni fa in Francia il caffè notoriamente era pessimo per definizione. Nel momento in cui oltrepassavi Bardonecchia e arrivavi a Briancon la brodaglia era imbevibile. Ricordo un caffè serale a Parigi nel 2003 pagato 6 euro che era talmente acquoso e insapore da non ritardare il mio addormentamento nemmeno di un minuto. Per noi italiani in fondo era un vanto. Chi fa il caffè meglio di noi? Nessuno. Ora non possiamo più dirlo. Il caffè in Normandia era buono. Era come quello italiano.

La Normandia: i tetti spioventi, i fiori, i mulini - Credits: Elena Genero Santoro

Questo è il primo neo della globalizzazione: le eccellenze locali vengono appiattite. E i bambini perdono la loro capacità di stupirsi.

Ce n’è un altro, di neo: i bambini. Abbiamo percorso più di mille chilometri e a loro sembrava di non essersi mai mossi di casa. I nostri figli hanno le stanze che scoppiano di oggetti, ottengono tutto e subito e se vogliono sapere com’è fatto un coso qualunque vanno su internet. La muraglia cinese, il varano, i grattacieli di New York, il Titanic, la Delorean di Ritorno al Futuro. Loro le conoscono già.
La globalizzazione ha dato il colpo di grazia alla loro capacità di stupirsi, di scovare nel mucchio qualcosa di diverso che catturi la loro attenzione.
A quel punto il mio lavoro in vacanza è stato sottolineare tutte le differenze tra ciò che vedevamo lì e quello che abbiamo in Italia.
Le casette di pietra, tutte pulite, non come i nostri vecchi centri storici con gli intonaci scrostati. I tetti molto inclinati, per via della pioggia. Le persiane alle finestre, che a volte ci sono e a volte no, perché la luce lì è diversa, e quando ci sono spesso sono azzurre. Color azzurro Normandia. Il cielo pieno di nuvole che vanno e vengono. Il clima più fresco del nostro. I tappeti erbosi così morbidi da parere velluto. Paesi come Bayeux che sono dei gioielli, curatissimi, puliti, in cui il borgo medievale si integra perfettamente con il contesto. Il torrente con il mulino antico in pieno centro abitato. I fiori dappertutto, nei vasi appesi alle finestre e sulle colonne. La cattedrale gotico normanna, imponente, che si vede anche a molti chilometri di distanza. I negozi che vendono sì i marchi nostri, ma le cui vetrine hanno cornici in legno colorato che noi qui ce le sogniamo.
Il mare. Freddo, in cui pochi si bagnano, ma molti giocano sulla sabbia umida e liscia. Le spiagge deserte su cui camminare per chilometri. La marea che è bassa o molto bassa, non ci sono altre misure. I relitti del porto prefabbricato di Arromanches-les-bains costruito dai Britannici per lo sbarco in Normandia. Le mucche, il verde e i prati che distano pochi metri al mare. Le abbiamo noi le mucche che brucano quasi in riva al mare? Io non le ho mai viste, bimbi, e voi? E le case di pietra tra i cespugli in riva al mare, come a Regneville, le avete mai viste, bimbi? E le barche in secca nell’insenatura? Sembra un paese di fiaba, la Normandia, e Regneville sembra la città delle fate, vi piace, bambini?
Granville, che vorrebbe assomigliare a Miami Beach. Un lungo viale verso il mare che ospita anche qualche minuscola palma. Poi la città vera e propria sul promontorio, infine la spiaggia immensa dopo uno strapiombo e l’oceano Atlantico. Per far giocare i bambini hanno costruito con pietra una piscina di acqua di mare. Ce l’abbiamo una piscina così dove andiamo in Liguria? No, non ce l’abbiamo. Non ci serve.
I cimiteri dei caduti della guerra. A Bayeux ce n’è uno immenso, un tempio dedicato alla memoria, ordinatissimo, con migliaia di lapidi di marmo bianco. Perché lo sapete, bambini, che qui c’è stata una battaglia importante, alla fine della seconda guerra mondiale?

La Normandia: paesaggio, spiaggia e cattedrale gotica - Credits: Elena Genero Santoro

La Normandia ha, in effetti, un panorama notevole. È una regione incantevole, tranquilla, abitata prevalentemente da francesi. 

Ho trovato pochissimi immigrati, quasi nessun musulmano, quasi nessun nordafricano. A Bayeux non ho visto nessun negozio a uso e consumo di chi segue l’islam (macellerie o abiti per signore), a differenza di altre città medio piccole, analoghe, del nord Europa. In pochi parlano l’inglese, più o meno come in Italia (solo che noi italiani siamo "ignoranti", i francesi "nazionalisti"). In compenso ci sono tutti i servizi, compreso l’ospedale.
I miei figli, che forse avrebbero preferito farsi il bagno nel mare della Liguria, si sono sorbiti per due settimane, pazientemente, le mie osservazioni sulla tranquilla e soave Normandia. Si sono pure abituati a sentire la mamma parlare francese. Ma non erano particolarmente entusiasti, non hanno colto la poesia di un viaggio simile, e non si sono tolti sfizi salvo il giorno della gita a Cherbourg, quando abbiamo visitato la Cité sul la mer e siamo entrati prima in un sottomarino dismesso, poi in una mostra dedicata al Titanic, infine nell’acquario.

Mont Saint Michel

Ma poi, dalla Normandia, ci siamo spostati a Parigi e qui è cambiato tutto. Vedere la Torre Eiffel dal vivo e non solo nei cartoni animati è stato effettivamente emozionante. 

Mia figlia, soprattutto, era eccitatissima. Desiderava visitarla da molto tempo. E poi la Torre Eiffel è davvero unica. Non c’è globalizzazione che tenga! 
Invece il figlio piccolo, che essendo basso di statura viaggia ad altezza di mendicante, ha colto un altro aspetto e mi ha detto, preoccupato: “A Parigi ci sono molti poveri, vero?” e anche “Non si può andare in vacanza dove ci sono molti poveri, non è giusto...”. Non aveva tutti i torti. I mendicanti erano parecchi, anche intere famiglie con bambini. Per mio figlio è stato scioccante vedere dei suoi coetanei dormire sui marciapiedi. Lui ignora che nelle grandi città i mendicanti ci sono sempre stati. 
In realtà, rispetto al 2003, io stessa ho trovato una Parigi molto differente. Ero andata nei medesimi giorni, dopo Ferragosto, ma il panorama umano che avevo di fronte era completamente diverso. All’epoca Parigi era una città un po’ demodé, ma dall’aria frizzantina e dall’atmosfera rilassata. I parchi immensi in cui i bambini giocavano e gli anziani si sfidavano a bocce. I bar in cui ci si sedeva per prendere un caffè. Avevo ammirato la pulizia e la cura degli spazi pubblici. Non c’era una foglia o un filo d’erba fuori posto o una cartaccia in giro. Ora, dopo l’impoverimento generale e le stragi del terrorismo, c’è un’atmosfera completamente diversa. La gente, di tutte le etnie, non sorride. In alcuni punti critici ci sono militari armati fino ai denti, a gruppi di quattro, come a Nizza
Nei parchi, più sporchi, una zingarella ha provato a derubarci. Perché la globalizzazione è anche questo. Si esportano le eccellenze locali, ma anche i problemi.
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag.
L’occasione di una vita, Lettere Animate.
Immagina di aver sognato, PubGold.
Un errore di gioventù, 0111 Edizioni.
Gli Angeli del Bar di Fronte, 0111 Edizioni.
Il tesoro dentro, 0111 Edizioni.


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