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[Libri] Vittoria e Abdul, di Basu Shrabani, incipit #137

Vittoria e Abdul, di Basu Shrabani, incipit - Libri,scrittori

Mentre la nebbiolina di gennaio avvolgeva Osborne House, una breve fila di persone a lutto attraversava lentamente i giardini, diretta verso gli appartamenti privati della regina Vittoria.

Vittoria e Abdul, di Basu Shrabani - Libri,scrittori

Vittoria e Abdul

di Basu Shrabani
Piemme
ebook 9,99€
cartaceo 15,73€



Nel corridoio all’esterno delle sue stanze, un indiano alto se ne stava solo. Era Abdul Karim, il Munshi indiano o insegnante della regina. Era lì che aspettava fin dalla mattina, volgendo di tanto in tanto lo sguardo verso i giardini dove aveva trascorso tante ore con la sovrana. In lontananza le navi oscillavano silenziose sul Solent con le bandiere a mezz’asta.
L’ottantunenne regina Vittoria era morta serenamente nel sonno tre giorni prima, circondata dai familiari. Adesso era vestita come aveva stabilito lei stessa per quell’ultimo viaggio a Windsor. La famiglia reale era stata convocata per darle l’estremo saluto. La regina giaceva nella bara, il volto coperto dal velo nuziale. Come la descrisse un testimone, sembrava «una bellissima statua di marmo, senza alcun segno
di malattia o dell’età», regale nella morte come lo era stata in vita. Aveva in mano un mazzo di gigli bianchi. La processione sfilò davanti a lei: suo figlio ed erede Edoardo VII e sua moglie la regina Alexandra, i figli e i nipoti della regina insieme a un gruppo dei servitori più fidati. Ciascuno sostò per qualche istante davanti alla bara della donna che era salita al trono all’età di diciotto anni e aveva segnato
un’epoca. Poi il re consentì ad Abdul Karim di entrare nella camera da letto della regina. Sarebbe stato l’ultima persona a restare da sola in presenza della sovrana defunta.
Il Munshi entrò a capo chino, vestito con una tunica e un turbante scuri. La sua presenza riempì la stanza. Il re, a conoscenza dei desideri della madre, gli concesse alcuni attimi da solo con lei. Il volto del Munshi era segnato dall’emozione mentre guardava la regina priva di vita, il viso illuminato dalla luce morbida delle candele. Quella donna aveva dato a lui, un umile servitore, più di un decennio di amore e di rispetto indiscussi. Abdul ripensò agli anni trascorsi in sua compagnia: il loro primo incontro a Windsor, nell’estate del 1887, quando si era chinato per baciarle il piede; le giornate oziose trascorse insieme, quando le insegnava la sua lingua e le descriveva il suo paese; i pettegolezzi che si scambiavano e la compagnia che si facevano; la generosità nei suoi confronti; la solitudine, che lui comprendeva. E soprattutto l’ostinazione con la quale l’aveva sempre difeso. Abdul posò la mano della regina sul proprio cuore e restò in silenzio, cercando di trattenere le lacrime. Muovendo solo le labbra chiese silenziosamente ad Allah di dare pace alla sua anima. Dopo un ultimo sguardo e un inchino uscì lentamente dalla
stanza mentre due uomini chiudevano e sigillavano la bara della regina.
Al corteo funebre, a Windsor, Abdul Karim camminò insieme alle persone più vicine alla sovrana. L’anziana regina aveva dato personalmente questa disposizione, pur sapendo che la propria famiglia e l’entourage non sarebbero stati contenti. Aveva fatto in modo che il suo adorato Munshi finisse sui libri di storia.

Pochi giorni dopo la morte della regina, il Munshi fu svegliato da una serie di energici colpi alla porta.

Fuori c’erano la principessa Beatrice, la regina Alexandra e alcune guardie. Il re aveva ordinato che venissero sequestrate tutte le lettere che la regina Vittoria gli aveva scritto. Il Munshi, sua moglie e suo nipote restarono a guardare inorriditi mentre le lettere della defunta sovrana venivano prese dalla scrivania e gettate in un falò acceso fuori Frogmore Cottage.
Mentre le lettere bruciavano nell’aria fredda di febbraio, il Munshi restò in silenzio. Senza la regina era solo e indifeso. Lettere e cartoline da parte della sovrana, provenienti dai castelli di Windsor e di Balmoral, dallo yacht reale Victoria and Albert e dagli alberghi di tutta Europa, scoppiettavano nel fuoco. La regina aveva scritto al Munshi tutti i giorni, firmando le lettere “la tua carissima amica”, “la tua sincera amica” e perfino “la tua carissima mamma”. Sconvolta, la moglie del Munshi singhiozzava accanto a lui, le lacrime che le striavano il volto velato. Il nipote sembrò spaventato quando gli fu ordinato di tirare fuori dalla scrivania del Munshi ogni pezzetto di carta con il sigillo della regina e di consegnarlo alle guardie. La famiglia del Munshi, che un tempo aveva avuto un ruolo centrale in seno alla corte, adesso veniva trattata come una cricca di delinquenti comuni. Scomparsa la regina Vittoria, l’establishment esercitava la propria vendetta nei confronti del Munshi. Il re Edoardo VII gli chiese senza tante cerimonie di fare i bagagli e di tornarsene in India.
La bella favola – cominciata il giorno in cui il giovane Abdul Karim era entrato a corte, nel 1887 – era finita.
Karim era stato un dono da parte dell’India per celebrare il giubileo d’oro della regina. Vestito con una tunica rossa e un turbante bianco, il bel ventiquattrenne era giunto da Agra, la città che ospitava il Taj Mahal – il più bel monumento all’amore di tutto il mondo. Dopo avere iniziato come servitore alla tavola della regina, la sua ascesa era stata rapida. Nell’arco di pochi mesi aveva cominciato a preparare i curry della sovrana, e poco dopo era diventato il suo insegnante, o “Munshi”. Mentre il suo collega indiano, Mohammed Buksh, era rimasto un semplice cameriere, Karim era diventato il pluridecorato segretario indiano della regina e il suo più intimo confidente. Aveva preso il posto di John Brown, il fidato servitore scozzese morto quattro anni prima.
Se la famiglia reale aveva odiato Brown, aborriva Karim perché temeva la sua influenza sulla regina. Questi timori erano aggravati dalla situazione politica in India, dove le richieste di indipendenza si facevano sempre più accese. Ma alla regina interessava poco di ciò che pensavano gli altri.

Difese sempre il suo “caro Munshi”, donandogli cottage a Windsor, Balmoral e Osborne e vasti appezzamenti di terreno in India.

Vittoria insistette perché Karim venisse trattato alla pari degli altri componenti dell’entourage e lo fece ritrarre da artisti come Swoboda e Von Angeli. Gli consentì addirittura di portare la spada e di indossare le sue decorazioni a corte. Si preoccupò incessantemente del benessere di Karim, gli diede il permesso di portare in Inghilterra la moglie e altri membri della famiglia, inoltre lo elogiava davanti ai propri familiari e ministri. Negli ultimi dieci anni della propria vita, Vittoria restò sempre al suo fianco.
E più l’entourage si lamentava di Karim, più accanitamente la regina lo difendeva, come se si divertisse a battibeccare con loro a proposito del Munshi. Vittoria fece tutto il possibile per proteggere Karim dal razzismo dell’entourage. In un’epoca nella quale l’impero britannico era all’apice del suo splendore, un giovane musulmano esercitava una forte influenza sulla sua sovrana. Durante una visita in Italia, Karim venne preso per un giovane principe del quale la regina era innamorata, tanto appariva maestoso mentre attraversava Firenze a bordo della sua carrozza.
Che cos’aveva il Munshi per attrarre la regina? Era forse un’anima gemella per quella donna sola, anziana e affranta, qualcuno che la capiva e con cui poteva stabilire un rapporto?
Dato il clima di sospetto nei confronti dei musulmani che in questo momento regna in Occidente, il fatto che un musulmano abbia avuto un ruolo così importante alla corte della regina Vittoria è ancora più interessante. La sovrana rappresentò forse un atteggiamento più illuminato e tollerante, perfino all’apice del suo impero? E l’irruzione all’alba a casa di Abdul Karim subito dopo la morte di Vittoria fu forse un’anticipazione di ciò che sarebbe avvenuto in seguito?
Questi e altre centinaia di interrogativi si fecero strada nella mia mente mentre prendevo il traghetto che attraversava il Solent diretto verso l’Isola di Wight, doveva ero venuta a conoscenza dell’esistenza del misterioso Abdul Karim.

Quarta di copertina
"Vittoria e Abdul" di Basu Shrabani, Piemme, 2017.

Abdul Karim ha solo 24 anni quando da Agra, la città indiana del Taj Mahal, arriva alla corte della regina Vittoria a Londra. È un "dono" dell'India alla sua imperatrice e sovrana d'Inghilterra in occasione dei festeggiamenti del suo giubileo d'oro. È il 1887, Vittoria è anziana e triste dopo la morte del suo fedele servitore - e amante - John Brown. Abdul è bello e aitante e in breve tempo, da servitore al tavolo della regina, ne diventa attendente personale e Munshi, cioè insegnante di lingua urdu. Vittoria si affeziona a lui, apprezza i curry che Abdul le prepara, è curiosa del suo mondo. In un momento di rivolte indipendentiste delle colonie indiane, il giovane diventa anche consigliere e confidente per le faccende del suo Paese. Il suo prestigio aumenta, tanto che nei viaggi ufficiali in cui accompagna la regina, viene spesso scambiato per un principe.
Tanta fortuna e influenza non possono che alimentare l'odio di quanti, a corte, guardano con sospetto e preoccupazione a quel legame. Un legame che la regina difenderà caparbiamente da tutto e tutti.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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