Di Elena Genero Santoro. La cameretta dei bimbi straripa di giochi, spesso nemmeno richiesti. Del resto, siamo una generazione di ingordi e stiamo crescendo i figli a nostra immagine e somiglianza.
Il giorno in cui portammo a casa la mia primogenita dall’ospedale, dopo averla messa al mondo, realizzai che la mia piccina non aveva neanche un giocattolo. La sua cameretta era ancora piena di ciarpame dal recente trasloco, ma in tutte quelle scatole non c’era nulla di adatto a lei. La desolazione. Mandai subito mio marito in farmacia a comprare quanto necessario e così lui, insieme ai pannolini, tornò con un sonaglio di pezza a forma di gatto: il primo gioco di mia figlia.
Ovviamente passarono dei mesi prima che la bambina si accorgesse dell’esistenza del giocattolo in questione. Peraltro il gatto era rimasto da solo molto poco perché nel frattempo parenti e amici avevano colmato in fretta la carenza.
Da allora sono passati quasi dieci anni e a questo punto della mia vita rimpiango l’idea di una stanza essenziale e zen. Invece la cameretta dei bimbi straripa di roba di ogni genere e specie e anche se ogni tanto si fa pulizia di ciò che non serve, gli scaffali sono sempre colmi. Abbiamo di tutto, ogni genere di macchinina, pista dei treni, bambola, pupazzo, peluche, gioco educativo.
Come siamo arrivati a questo?
È una domanda che mi faccio spesso. Le risposte sono tante.
Ma partiamo dall’inizio. Le camerette e i giocattoli dei nostri nonni.
Viviamo non lontano da Castelnuovo don Bosco, dove si trova la cascina che fu la prima abitazione di San Giovanni Bosco. La cascina è visitabile e vengono mostrate le stanze in cui il santo ha trascorso la sua infanzia, compresa la sua cameretta: due letti, una sedia, un comodino, un comò in una manciata di metri quadri, una finestra minuscola. I miei figli che sono rimasti impressionati. Spazio per i balocchi? Nessuno. Nella cameretta si dormiva, mica si giocava. Ed è vero che poi Giovanni Bosco è diventato anche santo, ma credo che la sua condizione da ragazzino fosse molto comune tra i coetanei che in quel tempo - l’Ottocento - vivevano in una cascina (e che non sono nemmeno diventati santi). Spazi angusti, (fossero stati più grandi sarebbe stato difficile scaldarli), l’infanzia era quel periodo di passaggio in cui si doveva rigare diritto, studiare, imparare un mestiere e infine diventare adulti. I giochi, come li intendiamo noi, come mezzo pedagogico, neppure esistevano.
Mia madre, bambina negli anni Cinquanta, nella sua infanzia ha avuto alcuni giocattoli, alcune bambole illustri che ancora oggi ci descrive e che ricorda con una certa nostalgia. Quella con la gonna a quadri, quella vestita da cavallerizza. Non bambole neonate, bambole signorine, quasi delle Barbie, ma fuori scala. E si contavano sulla punta delle dita.
Io e mia sorella, bambine degli anni Ottanta, avevamo la nostra cameretta con ampio pavimento di moquette arancione dove ci rotolavamo senza sosta.
Per riporre i giochi avevamo alcuni cestini, che erano dei vecchi fustini di detersivo cilindrici, ripuliti e foderati con la carta adesiva. Due lettini su due lati della stanza, con i copriletti chiari e i fiorellini gialli e arancioni. Ricordo molto spazio per muoverci. Nonostante l’Italia fosse nel pieno boom economico, l’obiettivo dei miei genitori, cresciuti nel dopoguerra, non era riempirci di giochi. Loro badavano all’essenziale, il divertimento era un di più. Voglio dire, di roba ne avevamo, mia sorella e io non eravamo certo patite, ma non avevamo tutto. Per farmi regalare la Barbie orientale ho dovuto frequentare un intero corso di nuoto e imparare a stare a galla. Per la casa di Barbie evidentemente non sono stata all’altezza perché i miei genitori non me l’hanno mai comprata.E adesso?
Intanto i miei figli hanno una bella cameretta luminosa e colorata, con mobili verdi e arancioni. Inoltre hanno ereditato molti dei miei giocattoli, che ho sempre tenuto con religiosa cura.
Poi, ora i giocattoli sono a disposizione ovunque e probabilmente costano molto meno di trent’anni fa, in proporzione. Motivo per cui, nonostante la crisi, i bambini ne sono pieni. C’è molta più disponibilità di oggetti a basso prezzo.
Un esempio: il supermercato, con la raccolta dei bollini a ogni spesa, offre un peluche. E siccome la promozione va avanti per mesi, e siccome tanto la spesa la faremmo lì in ogni caso, eccoci, in poche settimane, riempire gli scaffali con dieci peluche nuovi. Tanto sono gratis o quasi. E che dire delle edicole e delle cartolerie? Hanno quelle bustine, inventate da una mente perversa e geniale, che costano due o tre euro e che contengono un pupazzetto, un mostriciattolo, una macchinina, un qualunque arzigogolo a sorpresa ma a tema (cavallini che si illuminano, dinosauri gommosi, cuccioli vellutati e via discorrendo). I bambini ne vanno matti e nemmeno i nonni che trent’anni fa erano tanto parsimoniosi riescono a opporsi al loro acquisto all’uscita da scuola. Sono un contentino, un piccolo premio ogni tanto. Cretinate che si accumulano una dopo l’altra nei cassetti, nei cestini, che si mischiano senza seguire un filo logico e con cui, in realtà, non è nemmeno possibile giocare perché sono tutti spaiati. Personalmente li odio.
Un esempio: il supermercato, con la raccolta dei bollini a ogni spesa, offre un peluche. E siccome la promozione va avanti per mesi, e siccome tanto la spesa la faremmo lì in ogni caso, eccoci, in poche settimane, riempire gli scaffali con dieci peluche nuovi. Tanto sono gratis o quasi. E che dire delle edicole e delle cartolerie? Hanno quelle bustine, inventate da una mente perversa e geniale, che costano due o tre euro e che contengono un pupazzetto, un mostriciattolo, una macchinina, un qualunque arzigogolo a sorpresa ma a tema (cavallini che si illuminano, dinosauri gommosi, cuccioli vellutati e via discorrendo). I bambini ne vanno matti e nemmeno i nonni che trent’anni fa erano tanto parsimoniosi riescono a opporsi al loro acquisto all’uscita da scuola. Sono un contentino, un piccolo premio ogni tanto. Cretinate che si accumulano una dopo l’altra nei cassetti, nei cestini, che si mischiano senza seguire un filo logico e con cui, in realtà, non è nemmeno possibile giocare perché sono tutti spaiati. Personalmente li odio.
E poi regali di amici, di parenti, per Natale, per il compleanno, qualunque occasione è buona. Adesso nei supermercati ci sono le confezioni pronte anche per l’Epifania e per Pasqua. Una volta bastavano una calza riempita con del carbone dolce e un uovo di cioccolato, adesso la calza e l’uovo giganti con gioco compreso.
Il problema è che all’inizio uno nemmeno se ne accorge.
Sembra persino ovvio celebrare ogni ricorrenza con un dono. Sembra normale che i nostri figli debbano avere tutto quello che possiamo dare loro, anche quando non lo chiedono. Poi dopo qualche anno uno realizza il meccanismo perverso in cui è entrato e la quantità di roba che si è portato in casa. E qui scatta il pentimento tardivo.
Devo dire, a onore del vero, che i miei figli hanno sempre giocato con tutto e hanno sempre avuto il massimo rispetto delle loro cose. Sanno di aver ricevuto molto. Ma il mio pentimento arriva lo stesso. Non sono pentita di aver fatto ai miei figli dei bei regali, ma di averli sommersi di tanta altra roba inutile, che sminuisce il senso dei primi.
Siamo una generazione di ingordi e stiamo crescendo i figli a nostra immagine e somiglianza.
Nonostante la crisi, la quantità di oggetti, per giunta a basso costo, che abbiamo a disposizione (dai vestiti in poi) non è comparabile con ciò che avevano i nostri genitori e alla lunga non è nemmeno sostenibile. Ci dimentichiamo spesso che i nostri acquisti potrebbero essere prodotti da lavoratori sfruttati in altre parti del mondo e anche che quando i nostri figli capiranno che non possono avere tutto dalla vita non reggeranno il colpo. Che quella bolla felice che abbiamo creato per loro è solo un'illusione.
Ma per fortuna anche i bambini crescono e cominciano a capire qualcosa. Mia figlia all’età di sette anni ha intuito da sola che Babbo Natale non poteva essere reale, perché altrimenti anche i bambini molto poveri avrebbero ricevuto dei regali e invece non è così. Credo che questa sia la strada giusta. Andare oltre alle cose materiali, mettersi in testa che il mondo là fuori è più complicato di quello che crediamo è l’unico modo per non essere sopraffatti.
Elena Genero Santoro Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni. Perché ne sono innamorata, Montag. L’occasione di una vita, Lettere Animate. Un errore di gioventù, 0111 Edizioni. Gli Angeli del Bar di Fronte, 0111 Edizioni. Il tesoro dentro, 0111 Edizioni. Immagina di aver sognato, PubGold. Diventa realtà, PubGold. |
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Hanno davvero troppo di tutto. Il bello è che un gioco nuovo cattura la loro attenzione solo per qualche minuto per essere accantonato subito dopo, mentre a volte giocano molto di più con carta e forbici oppure uno scatolone da trasformare in chissà che cosa.
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