Di Elena Genero Santoro. La violenza sulle donne è solo la parte visibile di un iceberg sommerso: la mentalità maschilista è una piovra infiltrata nelle coscienze e gli stereotipi di genere sono ben radicati in tutti noi.
La prima volta che entrai in contatto con una questione di violenza di genere avevo ventisette anni e lavoravo nell’ufficio tecnico del comune di Chieri, vicino Torino, nel settore delle opere pubbliche. In quel periodo il grosso lavoro in ballo era nientemeno che l’ampliamento del cimitero. Ero là praticamente tutti i giorni, tra lapidi, foto e nomi di sconosciuti. Roba da far diventare matto chiunque. Comunque, il settore su cui stavamo lavorando era più o meno terminato quando un disgraziato decise di sterminare la famiglia. Ammazzò la ex moglie, la suocera, il cognato e la cognata, un paio di vicini di casa e una loro operaia e alla fine si suicidò. Otto morti, compreso se stesso. Aveva deciso di risparmiare solo figlia e nipoti e infatti aveva agito dopo essersi sincerato che fossero tutti a scuola.
Correva l’anno 2002. Otto morti, dicevo, di cui quattro senza loculo per seppellirli. E qui entrammo in ballo noi, che dovemmo deliberare l’agibilità dell’ampliamento e accelerare la burocrazia per seppellire quattro delle vittime, le quali poi rimasero sotto i miei occhi fino alla fine del mio mandato presso il comune di Chieri.
Negli articoli sui giornali nazionali, che ancora oggi si trovano online, si parlava di brusca separazione, violenza domestica, un lavoro che andava male (erano i primi anni della crisi). Un mix di fattori che avevano portato il futuro assassino a diventare un invasato e a crearsi un vero arsenale di armi (tutte regolarmente registrate, però).
Col senno di poi, non saprei dire se quindici anni fa ci fosse meno percezione di adesso della violenza contro le donne come fenomeno diffuso.
Io però, giovane e inesperta, interpretai quanto accaduto come l’exploit di un pazzo, di un esaurito, che a un certo punto, coltivando le proprie ossessioni, si era bevuto il cervello. Non ascrivevo il delitto a una specifica categoria (la violenza verso una donna e tutta la sua famiglia).
In seguito ebbi a che fare con altri uomini violenti, con persone che non si comportavano bene con la propria compagna. C’era un tale, amico di amici, che aveva sempre un sorrisetto idiota stampato sulla faccia. Mi sembrava un perfetto cretino. Un giorno la nostra amica comune mi disse che non lo avrebbe più invitato alle sue cene perché aveva scoperto che picchiava la fidanzata con cui conviveva (e lei non si muoveva dalla palude in cui era sprofondata).
Non so come sia andata a finire, nel frattempo però iniziai a realizzare che gli uomini violenti erano più di quelli che avrei immaginato, che non tutti i fidanzati erano buoni e comprensivi. Eppure nella mia testa i “cattivi” erano solo una percentuale, erano casi estremi, erano dei poveretti che non sapevano rapportarsi con il gentil sesso, erano dei frustrati, erano affetti da disturbi di personalità, insuccessi sessuali e dipendenze, avevano carenze culturali. Insomma, erano tutta una casistica di individui sbagliati in un mondo di giusti. Vedevo o bianco o nero.
La mia scoperta che le cose non stavano proprio così è qualcosa di ancora più recente. Sarà che adesso se ne parla di più, che certi meccanismi ormai sono stati studiati e portati alla luce. Sarà che adesso mi è più chiara la storia della nostra legislazione e il peso dello Ius Corrigendi nella cultura del nostro paese.
A un certo punto, però, negli anni, mi sono accorta che i fenomeni eclatanti in cui si arriva alle percosse, allo stalking, allo stupro e persino all’omicidio, come in un’escalation, sono solo la parte visibile di un iceberg molto più grosso e sommerso.
Ho realizzato che la mentalità maschilista e machista è una piovra infiltrata nelle coscienze e che tra il bianco e il nero ci sono tante gradazioni di grigio. Che gli stereotipi di genere sono radicati nella testa di tutti noi. Che non tutti comprerebbero le Barbie al proprio figlio maschio. Che in certi ambienti di lavoro ti chiamano signora anche se sei ingegnera. Che da una bambina ci si aspetta che impari a fare le faccende di casa, la carriera va bene per il figlio maschio. Siamo tutti talmente assuefatti che non ci facciamo nemmeno caso. Invece non è normale che un fidanzato ti chiami puttana, o che, anche ridendo, dica che la donna è meno intelligente dell’uomo (Gli scrittori della porta accanto - L'insicurezza delle donne).
Non sempre un uomo possessivo, geloso, che ha bisogno di marcare il territorio e di sentirsi più forte della compagna o anche solo della collega di lavoro, arriverà alle botte o all’omicidio. Questo accade quando ai pregiudizi e alla frustrazione si accompagna una forma di psico-labilità. Ma è importante capire che questi atteggiamenti, a tutti i livelli, anche molto sfumati, fanno parte di un’unica mentalità, di un solo substrato che diventa poi terreno fertile per gli episodi che poi finiscono sulle pagine della cronaca. Ci sono uomini non violenti e persino miti e buoni, brave persone, che però, tutto sommato, pensano che la moglie debba cucinare e fare le faccende al posto loro perché questo è nell’ordine naturale delle cose. E che se aiutano la moglie nei lavori domestici lo fanno come forma di cortesia, di gentilezza, non perché vivono nella stessa casa.
Sovvertire questo ordine naturale significherebbe ammettere di aver meno potere. Alla fine il nodo è tutto qui.
Sovvertire questo ordine naturale significherebbe ammettere di aver meno potere. Alla fine il nodo è tutto qui.
Elena Genero Santoro Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni. Perché ne sono innamorata, Montag. L’occasione di una vita, Lettere Animate. Un errore di gioventù, 0111 Edizioni. Gli Angeli del Bar di Fronte, 0111 Edizioni. Il tesoro dentro, 0111 Edizioni. Immagina di aver sognato, PubGold. Diventa realtà, PubGold. |
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Il problema del machismo è gravissimo e ha rupercussioni in tanti campi (per esempio anche l'omofobia nasce dal machismo, perché "l'uomo etero virile" si sente minacciato dagli "uomini gay" e si sente "in dovere di convertire" le donne omosessuali all'eterosessualità)e nasce secondo me da un'educazione errata.
RispondiEliminaSono le madri e le famiglie a creare il maschio violento, che si crede superiore a tutti e pensa di potersi comportare come vuole.
Il resto sono conseguenze.
Verissimo Francesca, il machismo ha ripercussioni in tutti i campi e anche l'omofobia è un frutto amaro che nasce da esso. Quanto a creare il maschio violento, o anche solo il maschio che si crede padrone, la colpa non è solo delle madri, ma anche dei padri. Anzi, ultimamente sto pensando che il padre abbia il suo bel peso. Basta un padre che si dedica troppo al lavoro, che delega alla moglie tutto l'accudimento dei figli e che se si carica di un compito domestico in prima persona lo fa sempre come se fosse concedesse una grazia (magari col muso lungo perché non ne avrebbe alcuna voglia). Basta anche solo questo a mettere in testa a un figlio che papà è gentile e aiuta la mamma, ma certe cose non rientrerebbero nel suo ruolo. E la frittata è fatta.
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