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La madre perfetta, di Gin Phillips: incipit

La madre perfetta, di Gin Phillips: incipit

Incipit #159 Per un bel po’ Joan è riuscita a tenersi in equilibrio sulla parte anteriore delle piante dei piedi nudi, le ginocchia piegate, la gonna che sfiora il terreno.


La madre perfetta

di Gin Phillips
Narrativa
Piemme
ebook 9,99€
cartaceo 15,72€



Ma ora le gambe cominciano a cedere, quindi abbassa una mano e si lascia andare lentamente sulla sabbia.
Qualcosa le punge un fianco. Allunga la mano sotto la gamba e pesca un’asticella di plastica, lunga non più di un dito, e la cosa non la stupisce, perché trova di continuo minuscole armi in posti inaspettati.
«Hai perso una lancia?» domanda. «O è uno scettro?»
Lincoln non le risponde, ma le prende il pezzo di plastica dalla mano aperta. A quanto pare aspettava di potersi rifugiare nel suo grembo: si fa indietro e si sistema comodamente sulle sue cosce. Non ha neppure un granello di sabbia addosso: è un tipetto schizzinoso, non gli è mai piaciuto dipingere con le dita.
«Vuoi un naso, mamma?» domanda.
«Ce l’ho già, un naso» dice lei.
«Ne vuoi un altro?»
«E chi non lo vorrebbe?»
I riccioli scuri del bambino hanno di nuovo bisogno di una sforbiciata, lui se li scosta dalla fronte. Le foglie cadono intorno fluttuando. Il tetto di legno, sorretto da ruvide travi rotonde, li ripara completamente dalla luce, ma fuori il sole disegna sulla ghiaia grigia ombre che mutano a ogni soffio del vento tra gli alberi.
«Dove li prendi, quei nasi in più?»
«Dal nasivendolo.»
Lei ride, tornando ad appoggiarsi sulle mani che affondano nella terra appiccicosa. Si toglie qualche granello bagnato da sotto le unghie. La Fossa dei Dinosauri è sempre umida e fredda, mai sfiorata dal sole, ma nonostante la sabbia sulla gonna e le foglie attaccate al maglione, questa è forse la sua parte preferita dello zoo: lontano dal percorso principale, dopo la giostra e la fattoria didattica e le gabbie dei galli, in quella zona defilata in mezzo alle erbacce contrassegnata solo dal cartello BOSCO. Qui, lungo gli stretti sentieri di ghiaia, puoi trovare più che altro alberi, rocce e pochi animali solitari: c’è un avvoltoio che, chissà perché, ha un pick-up arrugginito dentro il recinto. Un gufo che guarda con occhio torvo un giocattolo da masticare penzolante. Tacchini selvatici che se ne stanno sempre seduti immobili. Joan non è neanche sicura che abbiano le zampe. S’immagina la burla di un cacciatore crudele, una collana impregnata di sudore con una sfilza di zampe di tacchino appese.
Le piace la stravaganza casuale di questo luogo, che sembra sempre tentare svogliatamente di trasformarsi in una vera attrazione. C’è un cavo d’acciaio sospeso tra gli alberi a cui agganciarsi per “volare”, ma Joan non ha mai visto nessuno usarlo. Ricorda che, un paio d’anni prima, qui c’erano i dinosauri in animatronica, e una volta c’era un percorso stregato. Ci sono indizi di ambientazioni ancora precedenti: grossi massi che le sembrano veri ma forse non lo sono, e poi uno steccato di tronchi e una capanna da pioniere. Nulla di tutto ciò ha uno scopo evidente. Ci sono piscine di cemento vuote, forse abbeveratoi per grandi mammiferi. Ogni tanto c’è un tentativo di percorso naturalistico, una segnaletica caotica che serve solo a far perdere ancora di più l’orientamento. Su un albero spicca l’etichetta “Sassofrasso” mentre gli altri venti alberi intorno non hanno nome.
«Senti una cosa» comincia Lincoln posandole una mano sul ginocchio. «Lo sai che cosa farebbe comodo a Odino?»
In effetti, ultimamente lei ha imparato un sacco di cose sulle divinità scandinave.
«Un occhivendolo?»
«Sì, proprio. Così potrebbe togliersi la benda.»
«A meno che la benda non gli piaccia.»
«A meno che» conviene Lincoln.
Sulla sabbia sparsi tutto intorno a loro ci sono piccoli eroi e cattivi di plastica: Thor, Iron Man e Loki. Capitan America e Lanterna Verde. In questo periodo si torna sempre ai supereroi. Nella sabbiera sotto di loro ci sono finti scheletri: spuntano vertebre di animali estinti e c’è un secchio di vecchi pennelli per spazzolare la sabbia. Nella vita precedente di Lincoln, quando aveva tre anni, venivano spesso a scavare in cerca di ossa di dinosauro. Ma ora, a quattro anni e due mesi, l’archeologo che era in lui è stato superato da diverse altre incarnazioni.
Adesso la Fossa dei Dinosauri è diventata l’Isola del Silenzio, la prigione in cui è rinchiuso Loki, il fratello burlone di Thor, e – quando non si pongono questioni di nasi in più – nell’aria echeggiano i rumori di epiche battaglie, con Thor che cerca di far confessare a Loki di aver creato un demone di fuoco.

Lincoln si piega in avanti e riprende il suo racconto epico.

«Il malvagio sghignazzò» racconta Lincoln. «Ma poi a Thor venne un’idea!»
Lui dice che quelle sono le sue storie, e possono andare avanti per ore, se Joan lo lascia fare. Lei preferisce i racconti in cui lui inventa i personaggi. Si è immaginato un cattivo che si chiama Horse Man che trasforma le persone in cavalli. La sua nemesi è Horse Von, che le ritrasforma in persone. Un circolo vizioso.
Con un orecchio, Joan sente la voce di Lincoln che cambia toni e inflessioni, mettendo in scena le vicende dei suoi personaggi. Ma lei è piacevolmente persa tra i suoi pensieri. Al mattino questi sentieri sarebbero pieni di gente che va a spasso e mamme in pantaloni da yoga, ma nel tardo pomeriggio i visitatori sono andati via quasi tutti. Qualche volta lei va a prendere Lincoln a scuola e vengono qui; di solito alternano lo zoo alla biblioteca, al parco o al museo delle scienze, ma lei ha un debole per il Bosco e cerca di portarcelo il più possibile. Non si sente nessun rumore umano, solo i grilli o qualcosa di simile, richiami di uccelli e fruscio di foglie. E c’è Lincoln, che recita il suo dialogo ad alta voce; ha assimilato il gergo dei supereroi e sa rigurgitarlo e farlo proprio.
«Aveva un’arma segreta nella cintura!»
«Il suo piano malvagio è fallito!»

Sta letteralmente vibrando di eccitazione. Trema dappertutto, dalle punte dei piedi ai pugnetti paffuti. Thor ballonzola per aria e Lincoln saltella, e lei si chiede se a suo figlio piaccia l’idea del bene che trionfa sul male o se si goda solo una battaglia emozionante, e si domanda quando dovrà cominciare a spiegargli che tra il bene e il male c’è una via di mezzo e che la gente sta quasi tutta lì, ma lui è tanto felice e lei non vuole complicare le cose.
«Lo sai che cosa succede dopo, mamma?» chiede. «Dopo che Thor lo ha preso a pugni?»
«Che cosa?» fa lei.
Ha perfezionato l’arte di usare una metà di sé per ascoltarlo, mentre l’altra metà gira come una trottola.
«Loki controllava la mente di Thor. E il pugno gli fa perdere i suoi poteri!»
«Oh!» dice lei. «E poi?»
«Thor salva la situazione!»
Lui va avanti a parlare – ma c’è un nuovo cattivo in città, ragazzi! – mentre lei piega e stende le dita dei piedi. E pensa.
Pensa che deve ancora inventarsi un regalo di nozze per il suo amico Murray... C’è quell’artista che dipinge cani, sembra un’idea azzeccata, dovrebbe mandargli un’email e fare un’ordinazione, però forse “ordinazione” è una specie di insulto, per un artista. Si ricorda che stamattina aveva intenzione di telefonare alla prozia e pensa che forse invece – sta risolvendo problemi a destra e a manca, in un’esplosione di efficienza mentale mentre Loki viene sepolto nella sabbia – forse invece spedirà alla prozia quella buffissima scimmia di carta fatta da Lincoln a scuola. La creazione artistica sarà certo meglio di una telefonata, anche se l’idea ha qualcosa di egoistico, visto che lei odia parlare al telefono, e d’accordo, è un modo per sfangarla – lo sa benissimo – ma comunque opta per la scimmia di carta. Pensa alla salsa di zucca che fa la prozia. Pensa alle fettine di banana fritte avanzate nell’armadietto della cucina. Pensa a Bruce Boxleitner. Alle scuole medie era un po’ ossessionata dal suo personaggio nella serie Top Secret e ha scoperto che ora si può vedere tutta online, quindi la sta riguardando, puntata per puntata – resiste bene per essere un programma degli anni Ottanta, con tutte quelle spie da Guerra Fredda e le pettinature orrende – e non si ricorda se Lee e Amanda si sono finalmente baciati alla fine della seconda o della terza stagione e le mancano sei puntate della seconda stagione, ma può sempre saltare direttamente alla terza.
Da qualche parte lì vicino un picchio martella, riportandola di colpo al presente. Nota che la verruca sulla mano di Lincoln si sta ingrossando. Sembra un anemone. C’è quel bellissimo movimento di ombre sulla ghiaia e Lincoln sta facendo ridere il suo cattivo, e di colpo le viene in mente che in questi pomeriggi col peso di suo figlio sulle ginocchia e il Bosco tutt’intorno c’è qualcosa nell’aria che somiglia all’euforia.

Quarta di copertina
"La madre perfetta" di Gin Phillips, Piemme, 2018.

È un pomeriggio come molti altri, e Joan, dopo essere andata a prendere Lincoln all'asilo, come sempre s'inventa qualcosa per far passare più in fretta il pomeriggio. Il museo della scienza, la biblioteca, lo zoo. Oggi la scelta cade su quest'ultimo. È la passione di Lincoln, stare sulla sabbia nella Fossa dei Dinosauri e inscenare battaglie e avventure, cattivi contro buoni, vita contro morte. Joan lo guarda e intanto pensa che se li ricorderà, questi pomeriggi col peso di suo figlio sulle ginocchia e intorno una sensazione che somiglia all'euforia. Intanto le ore passano e presto è l'imbrunire. Lo zoo sta per chiudere. Gli animali vanno a dormire. Ma i loro versi non sono l'unica cosa che si sente. All'improvviso, nell'aria immobile, c'è un rumore secco. Uno schiocco, seguito da un altro subito dopo. Sembrano palloncini che scoppiano. Invece sono spari. E in un momento, tutte le paure più remote diventano concrete: il terrore per il suo bambino, la paura di perderlo. Lo zoo è in mano ai terroristi, con dentro tutti gli animali, e Joan, col suo bambino di quattro anni, dovrà nascondersi, e allo stesso tempo preservare suo figlio da tutto ciò che li aspetta, fargli credere che si tratti solo di un gioco. Perché essere madre è anche vedere il mondo con gli occhi dell'unica creatura al mondo che sarà per sempre parte di te.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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