Pagina 69 #145 Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald, La Feltrinelli 2010. Il mito americano, il suo sfavillio di facciata, il ventre molle della sua fragilità.
Non ebbi nemmeno il tempo di comprendere cosa intendesse dire che si sentì il palpito di un vestito e lo scricchiolio degli stivali di pelle, e Tom e Daisy tornarono a tavola.
"Non si poteva proprio farne a meno!" esclamò Daisy con allegria piena di tensione.
Si sedette, cercò con lo sguardo prima Miss Baker poi me, e continuò: "Ho guardato fuori per un attimo, e fuori è molto romantico. Sul prato c'è un uccello, credo sia un usignolo arrivato su un transatlantico della Cunard o della White Star Line. Sta cantando...". La sua voce cantò: "È romantico, vero Tom?".
"Molto romantico", disse lui. E poi con aria infelice rivolto a me: Se dopo cena c'è abbastanza luce ti porto alle scuderie".
Il telefono squillò dentro casa facendoci trasalire, e mentre Daisy scuoteva la testa rivolta a Tom, l'argomento delle scuderie, e con esso qualsiasi altro argomento, svanì nell'aria. Tra i frammenti degli ultimi cinque minuti a tavola ricordo che le candele vennero riaccese, senza ragione; mi rendevo conto di voler guardare in faccia ciascuno dei presenti, ma al tempo stesso evitavo gli occhi di tutti. Non riuscivo a immaginare cosa pensassero Daisy e Tom, ma dubito che persino Miss Baker, sebbene in grado di padroneggiare un certo audace scetticismo, fosse in grado di togliersi del tutto dalla mente la stridula, metallica importunità di questo quinto ospite. Per un certo temperamento la situazione avrebbe potuto essere invitante: il mio impulso fu quello di telefonare subito alla polizia.
Dei cavalli, inutile dirlo, non si fece più parola. Tom e Miss Baker, con varie misure di luce vespertina tra loro, tornarono in biblioteca a passo lento, come a una veglia funebre accanto a un corpo ben tangibile, e io, cercando di mostrarmi piacevolmente interessato e un tantino sordo, seguii Daisy lungo una successione di verande fino al portico sul davanti della casa. Nella sua intensa penombra ci sedemmo l'uno accanto all'altra su un divanetto di vimini.
Daisy si prese il viso tra le mani come a sentirne la forma leggiadra, e i suoi occhi a poco a poco cominciarono a guardare sempre più lontano nel crepuscolo di velluto.
Quarta di copertina
Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald
Il grande Gatsby ovvero l'età del jazz: luci, party, belle auto e vestiti da cocktail, ma dietro la tenerezza della notte si cela la sua oscurità, la sua durezza, il senso di solitudine con il quale può strangolare anche la vita più promettente. Il giovane Nick Carraway, voce narrante del romanzo, si trasferisce a New York nell'estate del 1922. Affitta una casa nella prestigiosa e sognante Long Island, brulicante di nuovi ricchi disperatamente impegnati a festeggiarsi a vicenda. Un vicino di casa colpisce Nick in modo particolare: si tratta di un misterioso Jay Gatsby, che abita in una casa smisurata e vistosa, riempiendola ogni sabato sera di invitati alle sue stravaganti feste. Eppure vive in una disperata solitudine e si innamorerà insensatamente della cugina sposata di Nick, Daisy... Il mito americano si decompone pagina dopo pagina, mantenendo tutto lo sfavillio di facciata ma mostrando anche il ventre molle della sua fragilità. Proprio come andava accadendo allo stesso Fitzgerald, ex casanova ed ex alcolizzato alle prese con il mistero di un'esistenza ormai votata alla dissoluzione finale.
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