Pagina 69 #157 Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini (Piemme). Dall’intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.
Per i primi giorni Miriam quasi non uscì dalla sua stanza. All’alba la svegliava il lontano richiamo dell’azan e, dopo la preghiera, si trascinava nuovamente a letto. Sentiva Rashid che si lavava in bagno ed era ancora a letto quando lui entrava nella sua stanza per controllare che tutto fosse a posto prima di andare in bottega. Dalla finestra, lo osservava attraversare il cortile, assicurare la colazione al portapacchi della bicicletta che conduceva a mano fuori, sulla strada. Lo guardava allontanarsi pedalando, finché la sua massiccia figura spariva dietro l’angolo in fondo alla via.
Trascorreva intere giornate a letto, sentendosi disperatamente alla deriva. A volte scendeva in cucina e faceva scorrere le dita sul bancone appiccicoso e macchiato d’unto. I tendoni di nylon a fiori puzzavano di cibo bruciato. Apriva i cassetti sbilenchi e osservava i cucchiai e i coltelli scompagnati, il colino e le spatole di legno scheggiate, presunti strumenti della sua nuova vita. Tutto le ricordava la sciagura che l’aveva colpita, facendola sentire fuori posto, sradicata, come un’intrusa nella vita di un’altra persona.
Alla kolba il suo appetito era stato regolare. Qui, il suo stomaco raramente reclamava del cibo.
Quarta di copertina
Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa di Herat, dove il padre non la porterà mai perché lei è una harami, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra.
Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile.
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