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Recensione: Dichiarazione universale dei diritti umani commentata da Antonio Papisca

Recensione: Dichiarazione universale dei diritti umani commentata da Antonio Papisca

Libri Recensione di Davide Dotto. La Dichiarazione universale dei diritti umani commentata da Antonio Papisca (Castelvecchi): non è sufficiente dichiararli, troppi sono ancora gli ostacoli, di natura culturale, storica, politica ed economica, alla loro piena realizzazione.

Anche una persona singola, se particolarmente potente, può distruggere la meravigliosa costruzione dei diritti.
- Antonio Papisca
Quale utilità ha, oggi, un commento della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948? Di certo quella di comprendere a che punto ci troviamo settant'anni dopo, quali progressi si sono raggiunti nella loro concreta realizzazione.
Ciò sul presupposto che i diritti umani, inalienabili e originari, pur preesistendo a qualunque dichiarazione sul loro conto, hanno necessitato più di una formulazione. Quella del 1948 compendia quel che a stralci è stato detto o scritto in passato in maniera non organica né compiuta: si considerino la Magna Carta Libertatum del 1215, lo Habeas Corpus Act del 1679 e il Bill of Rights del 1688; quindi la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America (1776) e la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino (1789).
Non si deve nascondere che si è trattato (e si tratta) di un percorso non breve e irto di ostacoli. Non sono mancati, a vario titolo, intoppi e freni al momento di dare concreta attuazione a principi in apparenza manifesti e indubitabili. E non si parla solo di convincere di essi le nazioni non occidentali.
A dire il vero, ai nostri giorni le cose si complicano perché gli stessi non sembrano così scontati nemmeno in Europa. Non è sufficiente dichiararli e riconoscerli, i diritti umani, perché non posseggono in sé la forza di farsi valere. L'aver ricevuto una veste giuridica, ed essere introdotti nelle costituzioni e nelle leggi dei singoli paesi, lo dimostra, come il fatto che entrano in gioco dinamiche di diversa natura (sociali, economiche, storiche, politiche), e con esse ineludibili scontri.

I diritti umani hanno almeno due anime che li rappresentano: la libertà e l'uguaglianza.

Luciano Canfora ne Il presente come storia ha messo in luce la difficoltà di farle coesistere: ponendosi sul medesimo piano, alimentano nel migliore dei casi il confronto politico e la dialettica che ne consegue, capire quali materie debbano essere regolate giuridicamente (al fine di garantire l'uguaglianza) e quali ammettano un allentamento delle prescrizioni normative (c.d. deregulation). In mancanza, cioè quando ciascun piano vuole sopraffare l'altro sul terreno delle ideologie più estreme, si producono sistemi paradossalmente antidemocratici. Il riferimento è anche al regno della libertà instaurato nella Francia del 1789 (anno della Rivoluzione Francese e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino) e il tragico affermarsi dell'uguaglianza nel periodo del Terrore, sempre in Francia, nel 1793.


Libertà e uguaglianza è una dicotomia collegata a molte altre: a privato e pubblico; a diritti e doveri; a liberismo e stato sociale (welfare). 

La libertà si deve confrontare con la necessità di riconoscere a ciascuno uguali possibilità. Ai diritti fondamentali dell'uomo devono corrispondere doveri impellenti, da cui l'importanza dell'art. 30 della Dichiarazione Universale:
Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.
Stato, gruppi e persone sono chiamati in causa per la attuazione di un punto fermo: la centralità della persona umana, al di sopra delle ideologie e della stessa sovranità degli stati. Quest'ultima è tenuta a debellare quanto possa pregiudicare la dignità della persona umana, da cui il venir meno del diritto di fare la guerra (jus ad bellum) e di disporre della vita degli individui ( jus vitae ac necis).

Ne La dichiarazione universale dei diritti umani commentati da Antonio Papisca l'analisi è fin troppo chiara: le esigenze della sicurezza non possono prevalere sulla vita e la libertà delle persone.

Né giustificano le violazioni dei diritti fondamentali se non in presenza di un pericolo pubblico che minacci l'esistenza di una nazione. Anche in questo caso (per esempio nella lotta contro il terrorismo), non sono ammessi trattamenti crudeli e inumani.
Questo è messo nero su bianco: è da intendere che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non è un testo normativo come gli altri. Anzi: il fatto di essere fluita in un testo giuridico porta con sé una serie di questioni irrisolte. Una fra tutte: c'è modo di obbligare ciascun ordinamento a porre in essere misure e provvedimenti (non solo di politica economica o di welfare) che rendano effettiva la centralità della persona umana? No. Semplicemente perché ogni ordinamento sovrano stabilisce, ahimè, quello che vuole: può cambiare direzione, mutare le leggi, rivedere i principi, stabilire eccezioni, rimodulare a colpi di forbice lo stato sociale (il welfare); può emanare norme incostituzionali e però valide ed efficaci finché non intervenga una sentenza della Corte Costituzionale.
È data tuttavia la possibilità di adire la giurisdizione internazionale (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) qualora quella "domestica"(e quindi i tre gradi di giudizio) sia renitente ponendo il proprio Stato nel banco degli imputati. Il procedimento, per la sua funzione sussidiaria, non è semplice. Però è importante che vi sia, a riprova della globalizzazione dei diritti umani, la cui tutela avviene a più livelli: all'interno dei singoli ordinamenti e in ambito sovranazionale.

C'è da dire che anche la concreta operabilità dei diritti umani incontra resistenze e difficoltà multilivello.

Sul piatto vi è la sovranità dei singoli stati ai quali si contesta il diritto di fare la guerra e il dovere di promuovere rapporti amichevoli tra le nazioni: non basta una volontà qualsiasi, occorre una buona volontà e tale da mettere in secondo piano la logica di interessi insiti nella globalizzazione economica. Quella di cui il cinema, negli anni Settanta, prima ancora che il termine fosse in uso, ci ha offerto un'inaspettata e cruda definizione:
Lei è un vecchio che pensa in termini di "nazioni" e di "popoli"… Non vi sono nazioni, non vi sono popoli; non vi sono russi, non vi sono arabi; non vi sono Terzi Mondi, non c'è nessun Ovest. Esiste soltanto un Unico, un Solo Sistema di Sistemi: uno, vasto e immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale dominio dei dollari: petroldollari, elettrodollari, multidollari, reichmark, sterline, rubli, franchi e schekel! È il Sistema Internazionale Valutario che determina la totalità della vita su questo pianeta. Questo è l'ordine naturale delle cose, oggi. Questa è l'atomica e sub–atomica e galattica struttura delle cose oggigiorno. E lei ha interferito con le primordiali forze della Natura! E lei dovrà espiare.
- dal monologo di Arthur Jensen nel film Quinto potere, 1976

Si aggiunge quindi un'ulteriore e inedita dicotomia a quelle citate sopra: la globalizzazione del riconoscimento e della difesa dei diritti umani fa da sfondo alla globalizzazione economica che la contraddice. 

Da questo scaturisce un braccio di ferro estenuante, cui si sommano implicazioni di varia natura: per esempio che i diritti umani sono un'invenzione (e non una scoperta) dell'Occidente, che essi risultano incomprensibili in diverse culture. Nei medesimi paesi occidentali non vengono dati per scontato ma richiedono più di una ridiscussione. A tal proposito sono illuminanti le riflessioni di Gustavo Zagrebelsky (Fondata sul lavoro. La solitudine dell'art.1, Einaudi), e di Stefano Rodotà (Il diritto di avere diritti, Laterza).
La conclusione è sconsolante, di ogni cosa, insegna la storia ma anche l'esperienza (e soprattutto la cronaca) di ogni giorno, occorre considerare entrambi i lati: il giusto e il torto, il diritto e il rovescio, l'opportuno e l'inopportuno. Da qui il dubbio che l'umanità si trovi da secoli nello stesso punto: ogni passo avanti ne contempla uno indietro. Spesso a una civiltà di facciata corrispondono principi encomiabili e meravigliosi di cui ci si fa scudo e che diventano alibi e spade. Non è più questione di volontà se essa si scontra - come sembra - con la natura di quel che siamo.


Dichiarazione universale dei diritti umani commentata da Antonio Papisca

Dichiarazione universale dei diritti umani
commentata da Antonio Papisca

di Antonio Papisca
Castelvecchi
Saggio
ISBN 978-8832825152
Cartaceo 13,50€

Sinossi

La Dichiarazione universale dei diritti umani, proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunita a Parigi il 10 dicembre 1948, è stata ed è tuttora un documento fondamentale per l'umanità. In questo testo sono stati infatti enunciati principi innovativi per il sistema delle relazioni internazionali, basati sulla centralità della persona umana, che viene posta per la prima volta al di sopra della sovranità degli Stati nazione. La Dichiarazione contiene il "codice genetico" di una rivoluzione giuridica e culturale ancora in atto. La sua caratteristica essenziale è di avere recepito principi di etica universale e di averli traghettati, con la forza della norma giuridica, in tutti i campi, dalla politica all'economia. Questo libro presenta il testo integrale della Dichiarazione puntualmente commentato da Antonio Papisca, uno dei massimi esperti e dei maggiori difensori dei diritti umani che il nostro Paese abbia mai avuto.

Davide Dotto


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