Gli scrittori della porta accanto

A Natale compro su Zalando, racconto di Claudia Gerini

A Natale compro su Zalando, racconto di Claudia Gerini

Inediti d'autore Racconto di Claudia Gerini. A Natale compro su Zalando: quando gli angeli custodi indossano il camice bianco e strappano sorrisi.

L’ultimo ricordo che ho prima di crollare come un sasso per l’anestesia è il chirurgo che mi chiede: «Buongiorno, preoccupata?».
Lo guardo, con le palpebre calanti che faticano a restare aperte.
«Eh, parecchio.». Il chirurgo si sposta sulla mia sinistra, e mentre traffica con fili, tubi e monitor vari mi dice: «Beh, fa bene!».
Io ho appena il tempo di realizzare che forse se fossi in una situazione normale lo avrei di certo mandato a quel paese ma non faccio in tempo…

Sono stata fortunata nella mia vita perché ho avuto bisogno di fare l’anestesia totale solo due volte per motivi non gravi. A sei anni mi hanno tolto tonsille e adenoidi e non ho nessun ricordo del prima e del dopo. L’appendice a 16 anni invece me la ricordo molto bene. L’anestesia non fu per niente una cosa simpatica. Freddo, caldo di nuovo freddo, nausea, febbre e totale incoscienza per diverse ore. Ed è con questo ricordo che mi apprestavo ad affrontare la mia terza anestesia. E questa volta lo avevo anche scelto io! Chi si è trovato ad affrontare operazioni non per scelta, ma per forza, magari può anche prendermi per scema. Ma io lo sapevo. Anche la mia era una necessità. Ci ero arrivata piano piano, nel corso degli ultimi anni ma alla fine avevo alzato le mani. Ok, da sola non ce la faccio. Perché non sempre, anche con tutta la forza che ci possiamo mettere, otteniamo il risultato sperato. E quando, oltre allo specchio che rimandava un’immagine di me che non riconoscevo affatto, erano iniziati i problemi di salute avevo detto STOP. Allora mi ero seduta un attimo, avevo chiuso gli occhi e avevo aspettato che la testa facesse pace col cuore e gli dicesse che era la cosa migliore da fare. Ne avevo proprio bisogno perché così non poteva andare.
Quando testa e cuore avevano finalmente fatto pace ero andata dritta per la mia strada, come un treno. Qualcuno mi aveva detto che dovevo essere davvero scema per sottopormi a questa operazione, riduzione dello stomaco? Fossi matta! Altri, quelli che per me contano davvero, mi hanno abbracciato, mi hanno guardata dritto negli occhi e mi hanno detto: sono con te.

E così eccomi su quel lettino della sala operatoria, con addosso solo la vestaglia verde leggera che ti fanno indossare prima degli interventi.

A cercare di rispondere alla battuta del chirurgo che ha in mano il destino della mia pancia, anzi, del mio stomaco, per essere più precisi. Mi sono fidata di lui fin dal primo momento, quando tutto serio seduto alla sua scrivania, mi spiegava le varie possibilità e quello a cui sarei andata incontro. Mi sono fidata di lui perché aveva saputo essere preciso, esaustivo e anche simpatico. Aveva sorriso spesso, anzi aveva anche riso quando ingenuamente gli avevo chiesto se dovevo per forza fare l’anestesia totale. «Se vuol fare da cavia, potremmo anche provare a farlo in anestesia locale, che dice?» Aveva risposto così, con una battuta mettendomi a mio agio e facendomi capire che lui era quello giusto. Solo lui avrebbe potuto aprire la mia pancia, lui e nessun altro!
La notte prima dell’operazione non passava mai. Sola in quella stanza di ospedale mi ero ritrovata a pensare a mille cose, immagini, paure che mi affollavano la testa. Avevo paura. Una tremenda, maledetta paura. Non era tanto il dolore, a quello non pensavo, ci avrei pensato poi. Ma avevo una enorme paura di non svegliarmi. Quella maledetta anestesia mi spaventava a morte. E se l’ultima cosa che avessi visto in vita fosse stata l’enorme lampada al neon sopra al mio lettino? Se non avessi più rivisto i miei bimbi, mio marito, le persone che amavo? Facile intuire che con questi pensieri in testa non ero riuscita a chiudere occhio durante tutta la notte. Di certo se non per l’anestesia mi sarei addormentata dal sonno!
Ed ora eccolo lì il mio dottore che mi dice che faccio bene a preoccuparmi! Questo è il suo modo di farmi coraggio. Lo capisco e mi addormento quasi col sorriso.

Apro gli occhi, o per lo meno ci provo. Sento le palpebre pesanti. Vincono loro. Chiudo gli occhi. Faccio in tempo a veder sopra di me il viso di Marco, forse accenno un sorriso. Crollo di nuovo.
Mi guardo la pancia e i quattro cerotti che la coprono in ordine sparso. Non provo dolore, non ancora. So che arriverà. Ma so che ci saranno delle persone che si prenderanno cura di me. Ho ricordi sbiaditi di quella giornata. Dormiveglia, nausea, freddo e caldo. Sensazioni che ricordavo bene. Flebo di antidolorifici e antibiotici. Mio marito accanto a me che mi veglia come un guardiano gentile.

È strano l’atmosfera che si crea in ospedale tra te e chi si prende cura di te. 

Non ricordo i nomi dei miei angeli custodi. Ma ricordo i visi, le voci sempre gentili e le mani sulla spalla. Ma una in particolare mi è rimasta nella mente e nel cuore. L’ultimo giorno di degenza, quando ero davanti al mio piatto di brodo insipido che non voleva sapere di andare giù, quasi fosse un cosciotto di cinghiale intero, entrò nella mia stanza l’infermiera più simpatica di tutte, quella che ogni volta mi faceva fare una risata. Mi coccolava ma allo stesso tempo mi dava tanta forza. Avevo le lacrime agli occhi. Perché mi avevano detto DEVI mangiare. Ma il cibo non andava giù. Non entrava dove doveva entrare, quasi ci fosse stato un tappo. Non riusciva a passare neanche l’acqua. Lei mi vide, vide le mie lacrime. E così, senza però dargli molto peso, disse: «Vai tranquilla che a Natale compri su Zalando!»

Da quel momento in poi è iniziato un nuovo percorso della mia vita. Dovevo ripartire da lì. Rimboccarmi le maniche e guardare oltre. La meta era lontana, lo è tutt’ora, ma non potevo farmi distrarre, non potevo più sbagliare strada. E in fondo a questa tortuosa salita, fatta di brodini, yogurt e pappine, c’era la nuova me che mi aspettava.
Ed ero sicura che alla fine di quella strada, dietro una curva ci sarebbe stata una grossa insegna con su scritto ZALANDO, proprio come mi aveva detto uno dei miei angeli custodi.


Claudia Gerini
Claudia Gerini nasce a Pontedera negli anni ’70. Completa il liceo linguistico e collabora saltuariamente con un’importante testata giornalistica. Poi abbandona gli studi e le passioni per un impiego fisso. Da più di 15 anni infatti lavora nel reparto gastronomia di un supermercato. Adora la sua famiglia ed è ciò a cui si è ispirata per scrivere il suo primo romanzo, uscito in prima edizione per Lettere Animate.Il sogno di Giulia, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).



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