Libri Recensione di Davide Dotto. Il cielo è rosso di Giuseppe Berto (Neri Pozza). 7 aprile 1944: settantasei anni fa il bombardamento di Treviso. «Tutti dobbiamo patire per il male di tutti, anche quelli che non ne hanno colpa.»
Il racconto inizia negli anni ’30, col ritorno in famiglia di Giovanna, incinta di Giulia. Siamo in una Treviso abitata da gente umile, dura, abituata a sopportare molto, spesso senza sentimento ma profondamente moralista.Nella Treviso del 1944 incontriamo le cugine Carla e Giulia. Conflittuali i rapporti con la nonna, tra liti, recriminazioni e percosse. Spezzano la routine i pesanti bombardamenti del venerdì di Pasqua, quando centinaia di motori si alzano in cielo.
Poi si aggiunsero i rumori delle bombe che cadevano, come qualcosa che succhiasse l’aria orribilmente.
Giuseppe Berto, Il cielo è rosso
Il cielo si colora di rosso. Lo si poteva vedere da paesi distanti, come qualcuno ha testimoniato:
Vedemmo alzarsi alte e smisurate le vampe delle fiamme degli incendi sopra Treviso e cortine enormi di fumo si dilatavano verticalmente; un rosso immenso poi si espandeva dovunque, dalla città lontana, e sembrava lambire perfino la Grasseghella [Ponte di Piave, ndr]
Ferruccio Mazzariol, La mia Treviso, Passeggiate nella Marca
Carla e Giulia si ritrovano sole, le incursioni aeree hanno devastato il centro dentro le mura.
Sant’Agnese, il Duomo, il Palazzo della Signoria, la Stazione. La città è irriconoscibile, le strade non ci sono più.Sono venuti meno i punti di riferimento, ogni possibilità di orientarsi.Non si tratta di essere buoni o cattivi. Ciascuno è quello che è; come si dice, né buono, né cattivo. Le cose si fanno se servono, senza badare ad altro, alla conquista di una disperata quotidianità.
Più avanti, tra le pagine, qualcuno dirà «il male non è in te o in me», ma «in tutti gli uomini insieme». La conseguenza che ne deriva riassume il romanzo nella sua interezza: «Tutti dobbiamo patire per il male di tutti, anche quelli che non ne hanno colpa».
Affiora, tra le righe di Il cielo è rosso di Giuseppe Berto, il male oscuro, rilevante tema di un’opera futura, a rappresentare non tanto un male individuale, ma quello universale e irrimediabile.
Lo stesso male falcidia migliaia di vite senza il minimo pensiero e la minima preoccupazione; ciò avviene meccanicamente, ad alta quota: «Le loro mani hanno un gesto semplice per muovere le leve», protetti all’interno di una carlinga e in volo.
Si pensi a quale tipo di nuova routine si era gettati, quella di una comunità che già viveva con poco e lo stretto necessario.
È una Treviso che fino ai lavori degli anni ’30 era considerata da Comisso «una piccola Venezia della terraferma», grazie alle case settecentesche e affrescate costruite intorno al Duomo, poi abbattute per allargare il viale:E finalmente cominciarono anche i lavori. Fu aperta una strada larga e dritta che collegava la piazza del Duomo con una nuova porta delle mura, e tagliava soltanto una zona periferica del quartiere. Alcuni palazzi medioevali rimasero in piedi ai lati, e furono raschiati e puliti e poi ricoperti di finti affreschi antichi, secondo i suggerimenti degli studiosi.Le cose non cambiano nell'immediato.
Giuseppe Berto, Il cielo è rosso
Era passato un anno e la miseria sovrastava sempre più grande. Ancora la gente non aveva altro scopo di vivere che quello di procurarsi il cibo per non morire. Ognuno doveva lottare per quel cibo, fare in modo che se qualcuno doveva restar senza, non fosse lui a restar senza...
Giuseppe Berto, Il cielo è rosso
Tuttavia anche prima vi era una gerarchia tra poveri, tra chi aveva poco e chi niente. Si cammina in una città totalmente diversa.
Era accaduto che il popolo degli straccioni, che prima erano rimasti confinati nelle strade e nelle piazze dei loro quartieri, aveva invaso a poco a poco tutta la città (…) Forse era accaduto che si sentissero meno a disagio ora in quei posti, ove gli alberghi e i negozi non erano più tanto eleganti, e dove le rovine ad ogni pochi passi arrivavano a mostrarsi sui lati, come nelle loro strade e nelle loro piazze...Non manca l’altra faccia della medaglia: coloro che con il conflitto si sono arricchiti, “mercanteggiando” o approfittando della borsa nera o violando gli obblighi degli ammassi. Il denaro accumulato dai nuovi ricchi, se non serviva nell'immediato, sarebbe stato usato dopo, con la ricostruzione.
Giuseppe Berto, Il cielo è rosso
C’è chi, spiazzato, è al di fuori di queste categorie, come Daniele che proviene dalla media (se non ricca) borghesia, senza mezzi e risorse per affrontare il disastro imperante.
Nonostante il velo di disperazione che lo avvolge, forse è l’unico cui si aprono vere alternative. È troppo giovane, però, per ricoprire il ruolo che il destino - non privo di qualche promessa - gli assegna. C’era solo da aspettare un po’.A ciò si aggiunge la difficoltà di arrangiarsi con la sola forza dei principi, della cultura, dell’intelletto, tanto che i libri, Daniele, è costretto a metterli da parte (sia quelli da leggere, sia quelli da studiare).
Intanto bussa da una porta all'altra delle possibilità, improvvisando. Eppure in lui vi è quello spirito di iniziativa che non guasta, e fa da contraltare alla diffusa rassegnazione: riesce nelle cose. Ciò gli viene detto più di una volta con estrema chiarezza:
«Non è questo» disse Carla. «Dovresti capirmi. Ci sono delle persone che non possono trovar posto in un mondo come il nostro. Non è neanche colpa loro, anzi sono meglio di noi. Ma qui si tratta solo di forti e di deboli. Tu non sei proprio debole, Daniele. Hai le tue idee, e sei ostinato nelle tue idee. Ma non è il genere di forza che ci vuole per arrangiarsi in un mondo come il nostro.»In Daniele, non privo di ingegnosità, domina la paura. Le cose anche se molto faticosamente potrebbero mettersi a posto.
Giuseppe Berto, Il cielo è rosso
Daniele esprime e rappresenta, nel proprio cuore, la distruzione di Treviso, la crisi e la devastazione di un paese uscito dal conflitto.
Il problema vero è uno solo: decidere cosa ripristinare, cosa riedificare tra case, strade, spiriti e persone. Qualcosa rimaneva irrimediabilmente perduto, irrecuperabile, non avrebbe trovato posto alcuno.
Il cielo è rosso
di Giuseppe BertoNeri Pozza
Romanzo storico
ISBN 978-8854514324
Cartaceo 18,00€
Ebook 9,99€
Sinossi
Nel 1944 Berto è «prigioniero di guerra» a Hereford nel Texas, in uno di quei campi americani in cui sono reclusi tutti quelli che si rifiutano di dichiararsi «prigionieri collaboratori». Tra coloro che si aggirano nelle baracche a Hereford figurano futuri rinomati scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati, che affascina non poco Berto con le sue letture di Faulkner, Hemingway e Steinbeck, e pittori come Alberto Burri. Nel campo nascono, e circolano in copia unica, varie riviste letterarie. Al principio dell'estate '44, mosso da «un senso di acuta responsabilità» per la parte di colpa da lui avuta nella catastrofe della guerra, Berto decide di scrivere un romanzo intitolato "La perduta gente". Rientrato in Italia nel febbraio del '46, sottopone il manoscritto a Giovanni Comisso che, entusiasta, lo spedisce subito a Leo Longanesi, accompagnandolo con una lettera in cui non esita ad affermare che il romanzo «rappresenta una svolta nella letteratura italiana». L'opera esce da Longanesi negli ultimissimi giorni del 1946 con il titolo "Il cielo è rosso", un'espressione che l'editore prende dai Vangeli. "Il cielo è rosso" racconta le peripezie di quattro ragazzi, tra i quindici e i diciassette anni, in una città distrutta dai bombardamenti alleati. Quattro ragazzi resi orfani dalle traversie della vita e dalla violenza del conflitto. Carla, figlia di una serva, e Giulia, figlia di una prostituta, sono cugine, cresciute nella stessa casa. Giulia è timida, di salute cagionevole. Carla al contrario è disinvolta, sicura di sé, anche se di «umori volubili, a volte perversi altre volte malinconici» (Domenico Scarpa). Si prostituisce per vivere, ed è innamorata di Tullio, il più adulto con i suoi diciassette anni, a capo di una banda di ragazzi dedita a furti e traffici vari. Una notte Tullio incontra Daniele, appena fuggito da un seminario di Roma e senza più un luogo dove andare, dopo che i bombardamenti hanno ucciso i genitori e demolito la loro casa. I quattro cercano di sfuggire alla miseria, alla fame e alla paura, ma, come tutti coloro cui è toccata in sorte «una parte del male universale», sanno di non potere «più essere gli stessi di prima», poiché si sono «smarriti nella grande guerra» senza più alcuna possibilità di ritrovarsi. Postfazione di Domenico Scarpa. Con un testo di Andrea Camilleri.
Davide Dotto Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie. Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni. |
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