Scienza Di Stefania Bergo. Covid-19: quali sono le reali fonti di contagio? Possiamo evitare di ammalarci? Mascherina e distanza sociali sono davvero necessarie? Sono sufficienti?
Ho letto un post interessante, qualche giorno fa, su Internazionale, a sua volta la traduzione di un articolo dell'immunologo Erin Bromage. Trattava degli effettivi rischi di contagio da coronavirus Sars-Cov-2 che corriamo ora che il lockdown è quasi del tutto terminato e possiamo uscire di casa.Le misure restrittive si sono ormai allentate e dalla prossima settimana potrebbero farlo ulteriormente consentendo gli spostamenti tra regioni. Queste nuove libertà si basano sulla previsione della curva epidemiologica che ormai è in fase discendente. Tuttavia tale previsione non tiene conto delle nuove occasioni di diffusione del virus dovute al ripristino di quasi tutte le nostre attività. È abbastanza intuitivo: chi finora è rimasto in casa, protetto da eventuali fonti di contagio, ora può uscire ed entrare in contatto col vicino e, tra poco, con gli abitanti di altre regioni, quindi con molte fonti di probabile contagio. Quindi sarà fisiologico vedere un nuovo aumento della curva epidemiologica, sebbene la virulenza del Sars-Cov-2 pare essersi attenuata.
Ma quali sono le reali fonti di contagio? Quali sono i comportamenti a rischio?
Ormai è stato confermato che la maggior parte dei contagi si verifica in famiglia, dove chi è stato contagiato può portare inconsapevolmente il virus a casa e avere tutto il tempo di trasmetterlo, dati i contatti prolungati. Per contrarre il Covid-19, infatti, è necessario essere esposti a una dose infettiva di virus. E, in base a studi statistici non sperimentali sugli altri coronavirus, sappiamo che per trasmettere la malattia sarebbero sufficienti mille particelle infettive di Sars-cov-2 inalate o entrate in contatto con i nostri occhi. A questo punto interviene anche il fattore tempo, dal momento che la dose infettiva che entra nel nostro corpo non necessariamente lo deve fare in un'unica tranche ma si può arrivare alla dose minima per il contagio anche inalando le particelle virali a rate, poco per volta, per un periodo continuativo di tempo abbastanza lungo.Tra gli ambienti più a rischio ci sono sicuramente tutti quei locali che presentano molte superfici toccate continuamente da tutti, come le maniglie o i rubinetti nei bagni pubblici, i tornelli della metropolitana, i corrimano delle scale dei luoghi pubblici, i tasti degli ascensori, e così via.
Sarebbe sempre bene, quindi, lavarsi accuratamente le mani o utilizzare gel disinfettanti prima di toccarsi naso e bocca, in modo da uccidere eventuali virus accumulati sulla pelle.
Ma come ci finiscono i virus dal paziente infetto sulle superfici? Ci si può contagiare semplicemente respirando aria contaminata?
Il contagio avviene attraverso le famose droplet, le goccioline di saliva che sputiamo mentre respiriamo, parliamo o quando tossiamo e starnutiamo, perché in esse si trovano i virus che infettano il nostro apparato respiratorio. In particolare, un colpo di tosse può disperdere nell'ambiente circa tremila goccioline, che possono viaggiare a ottanta chilometri orari. Avendo dimensioni relativamente grandi, per gravità queste goccioline tendono a cadere sulle superfici senza percorrere grandi distanze, quindi contaminano solo l'area a stretto raggio intorno alla persona malata. Nel caso degli starnuti, invece, le goccioline emesse possono arrivare fino a 300 chilometri orari, fino a duecento milioni di particelle tutte insieme e coprire distanze ben superiori al metro, essendo più piccole e risentendo meno della gravità. In questo caso, quindi, l'area infettata da un singolo starnuto è maggiore.Il semplice respirare, invece, secondo studi condotti sulle sindromi influenzali stagionali, rilascia in ambiente tra le cinquanta e le cinquemila goccioline che risultano essere anche molto lente, quindi decadono quasi subito nell'area intorno alla persona infetta. Inoltre, l'espirato non proviene dall'apparato respiratorio inferiore – i polmoni – ma solo dalle vie aeree superiori, quindi nelle goccioline di saliva ci sarà un numero notevolmente più basso di virus. Sempre riferendosi a questi studi si può affermare che in un minuto, semplicemente respirando, emettiamo in ambiente circa 30 particelle virali.
Come facciamo a sapere se abbiamo contratto il coronavirus e siamo quindi potenzialmente infetti?
In effetti, a meno che non ci facciamo il famoso tampone, non possiamo saperlo, se non quando si presentano i sintomi evidenti della malattia, a maggior ragione nei casi più gravi, in cui si necessita di cure domiciliari o addirittura ospedaliere. C'è però una larga fetta di malati asintomatici o con sintomi lievi, come tosse e raffreddore, che possono essere facilmente confusi con altre sindromi influenzali. Va da sé che, nel dubbio, chi ha tosse o starnutisce frequentemente farebbe bene a stare a casa o quanto meno evitare gli ambienti chiusi in cui ci sia promiscuità.E le persone asintomatiche? Statisticamente, almeno il 44 per cento dei casi di contagio nelle comunità è provocato da persone che non presentano sintomi o che ancora non li hanno sviluppati – nel periodo di incubazione, ad esempio. Si calcola che un individuo positivo al coronavirus possa disperdere il virus in ambiente per almeno cinque giorni prima di manifestare i sintomi della malattia e di essere quindi cosciente di poter infettare qualcuno. Un dato che fa riflettere è che la carica virale aumenta progressivamente fino alla comparsa dei primi sintomi ed è massima proprio subito prima che si manifestino, cioè quando siamo ancora all'oscuro di essere ammalati.
Per contaminarsi non si deve tenere in considerazione solo la quantità di virus inalati ma anche il tempo in cui siamo esposti al virus.
Come dicevo, se da un lato servono grandi quantità di virus in poco tempo per infettarci, dall'altro si può facilmente intuire che la stessa quantità può essere raggiunta anche inalando un minor numero di particelle virali istantanee ma per un tempo più prolungato.Le particelle di saliva infetta restano nell'aria solo qualche minuto, se emesse semplicemente con la respirazione, ma possono restarvi più a lungo nel caso siano state emesse starnutendo, oltre ad essere presenti in misura notevolmente maggiore. Se si entra in una stanza in cui una persona infetta ha appena starnutito, ad esempio, possono bastare pochi minuti per respirare una quantità sufficiente di virus per contaminarsi. Mentre per contaminarsi semplicemente con l'espirato di una persona ammalata ne servono almeno cinquanta.
Parlare, poi, aumenta il numero di agenti patogeni emessi in aria di circa dieci volte rispetto alla semplice respirazione. In questo caso, la quantità di goccioline virali rilasciate arriva fino a circa duecento al minuto quindi possono bastare anche cinque minuti per respirare una quantità di agenti patogeni sufficiente per contaminarci.
Ecco perché i rischi maggiori si corrono negli ambienti chiusi in cui si sta a lungo o in cui si interagisce e in cui gli impianti di climatizzazione non sono adeguati.
Come i reparti ospedalieri, le scuole, gli uffici, le fabbriche, i call center, gli impianti di macellazione, i pub, i ristoranti, i parrucchieri, le palestre, le chiese, i mezzi pubblici, solo per fare qualche esempio. Ambienti in cui le persona necessariamente devono avvicinarsi per comunicare o in cui gli impianti di climatizzazione non funzionano correttamente o non sono adeguati. Anzi, spesso gli impianti di climatizzazione sono i principali imputati della diffusione del virus, non solo perché possono accumulare agenti patogeni se non frequentemente e accuratamente sanificati, ma anche perché movimentano l'aria interna spostandola da una persona all'altra, trasportando quindi l'espirato. In questi ambienti, quindi, se si permane a lungo, anche la distanza di un metro pare non essere sufficiente a garantirci di non entrare in contatto con possibili virus dispersi in aria.Riassumendo: la permanenza prolungata in spazi chiusi e affollati, in cui ci sia un ricambio d'aria insufficiente o addirittura solo un ricircolo – gli impianti non pescano di continuo aria esterna ma rimettono in circolazione quella interna, movimentandola semplicemente senza cambiarla – presenta un rischio elevato di trasmissione del virus. In questi casi, è necessario indossare la mascherina di tipo chirurgico che trattiene le goccioline di saliva infette all'interno – la saliva, non l'anidride carbonica! – e abbatte del 90% circa la loro presenza nell'aria.
All'aperto corriamo meno rischi: gli spazzi maggiori ostacolano la trasmissione del virus. Ma è importante mantenere la distanza sociale e indossare la mascherina quando ci si ferma a parlare con gli altri.
L'interazione con gli altri dovrebbe avvenire a distanza di sicurezza. Non dimentichiamo che per il contagio sono sempre indispensabili quantità di carica virale e tempo di esposizione. Il semplice incrocio tra corridori non è sufficiente per la trasmissione di eventuali virus, ma parlare per più di cinque minuti a distanza ravvicinata con qualcuno di infetto che non indossi la mascherina potrebbe essere sufficiente a inalare la quantità di virus necessaria per ammalarci. Oppure potrebbe bastare il contatto tra le sue goccioline di saliva e le nostre mani – sappiamo quanto noi italiani gesticoliamo parlando, quindi le mani sono perennemente nello spazio tra noi e l'interlocutore – con cui poi, dimenticandoci di disinfettarle, ci potremmo toccare gli occhi.In definitiva, nel dubbio di essere infetti, indossiamo sempre la mascherina negli ambienti chiusi e affollati e quando ci fermiamo a parlare all'aperto con altre persone, laviamoci o disinfettiamoci spesso le mani, manteniamo le distanze di sicurezza.
Proteggiamo gli altri e di conseguenza anche noi stessi, i nostri cari, perché anche gli altri faranno lo stesso. Non ribelliamoci a queste semplici, banali regole, diamo prova di civiltà. Ricordate l'insofferenza alle cinture di sicurezza, all'inizio? Abbiamo imparato a suon di multe che spesso sono proprio quelle a salvarci la vita. A maggior ragione ora, che si tratta di regole momentanee, non sarà per sempre. Le guerre da combattere sono altre. Dimostriamoci insofferenti alla crisi economica, se vogliano, alle ingiustizie del mondo – e ce ne sono, oh se ce ne sono – non a un pezzo di stoffa con gli elastici. Diamo il buon esempio ai nostri figli. Altrimenti il virus non se ne andrà mai. E non mi riferisco al Sars-Cov-2...Stefania Bergo Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro. Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione). Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni. La stanza numero cinque, PubMe – Collana Gli scrittori della porta accanto. |
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