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Volontariato nei paesi in via di sviluppo: qualche consiglio

Volontariato nei paesi in via di sviluppo: qualche consiglio

Di Stefania Bergo. Ho iniziato nel 2004 ad andare in Kenya. Poi ci ho vissuto due anni. Sulla base della mia seppur breve esperienza, ecco qualche semplice consiglio per muovere i primi passi di volontariato nei paesi in via di sviluppo.

Ho ricevuto, proprio ieri, un messaggio da una mia ex studentessa, ora laureanda. Mi ha confidato di avere da un po' un profondo desiderio di andare a fare volontariato in Africa per qualche mese, subito dopo la laurea. E nutrendo comprensibili timori – «non ho mai fatto viaggi lunghi e non sono mai stata via di casa per più di una settimana» – si chiedeva se mai avrebbe trovato il «coraggio di partire per un'esperienza del genere», pur sentendo chiaramente il bisogno di andare. E ha chiesto a me qualche consiglio.
Ho iniziato a risponderle, ma poi mi sono accorta di essermi dilungata un po' troppo. Ed è giusto così, perché una richiesta del genere, fatta con il cuore in mano, aspettandosi delle risposte, non va presa alla leggera.
Ho pensato, quindi, di scrivere questo articolo, perché forse c'è più di qualche Emma – uso il nome di mia figlia – che sente lo stesso bisogno, in questo momento. E magari può trovare utile una chiacchierata con chi in Africa ha iniziato ad andarci sedici anni fa. Da sola. Senza esperienza.
Specifico che in tutto l'articolo parlo di volontariato internazionale, non di cooperazione allo sviluppo.

Andare in Africa a fare volontariato, non è un desiderio che ho sempre avuto dentro, come dicono molti.

Non ci avevo mai pensato prima di quel memorabile 2004, quando nel giro di una ventina di giorni ho sentito il bisogno di partire, ho preso la decisione e ho prenotato il volo, tutto d'un fiato! E sono arrivata in Kenya, a Matiri, con l'Associazione Un ospedale per Tahraka, per progettare un'ala Pediatrica.
E da allora, a chiunque mi parli del proprio desiderio di fare un'esperienza di volontariato in Africa dico: vai, se ne senti il bisogno vai! Perché è davvero un'esperienza formativa non indifferente, che ti segna profondamente e può cambiare la tua percezione della vita.
Questo non significa che lo faccia sempre e necessariamente in senso positivo, dipende anche dalle "condizioni al contorno" e da come è la persona che vuole fare suddetta esperienza.
Mi spiego meglio.


Alcuni animi sono terreno fertile per qualsiasi buona intenzione e le cose belle, come il voler fare qualcosa per gli altri, non possono che attecchire e dare buoni frutti. 

È il caso di Emma – la mia studentessa e, mi auguro, mia figlia. Ed è a loro che è dedicato questo articolo, è a loro che mi rivolgo.
Ma, di contro, ci sono tante persone superficiali che vogliono fare “terzomondismo” solo per darsi un tono o peggio ancora per sperimentare la loro professione. Ecco, per loro un’esperienza di questo tipo potrebbe essere indifferente, lasciarli esattamente come prima. O nausearli.
Perché, sebbene di bisogno personale si tratta – non lo nego e non voglio prendervi in giro – è bene distinguere tra bisogno di mostrarsi, come su un piedistallo o quando si indossa un vestito alla moda, e bisogno di mettersi alla prova, di fare qualcosa di concreto per gli altri, al di là delle chiacchiere.

Matiri e Kathwana - Kenya - PH Stefania Bergo

Sull'esperienza di volontariato gravano, come dicevo, anche le "condizioni al contorno".

Come la si vivrà dipende anche dalla realtà che si trova in loco – ospedale missionario, casa famiglia, scuola, supporto per bambini di strada, e via dicendo – dall'associazione con cui si parte, da altri volontari con cui si condivide l’esperienza, dal paese in cui ci si trova, dall'ospitalità della gente locale, pure dalla stagione che si incontra o dagli incidenti che possono accadere, grandi o piccoli che siano. Può capitare di trovarsi come compagni di viaggio le suddette persone superficiali, ad esempio, un’associazione non ben organizzata o addirittura farlocca, una realtà troppo dura da affrontare per la prima volta, una stagione delle piogge imprevista, avvertire di non essere accettati dalle persone del luogo, confrontarsi con tradizioni e usanze talmente lontane dalla nostra realtà da non riuscire non solo ad accettarle ma nemmeno a comprenderle, ammalarsi o trovarsi involontariamente a vivere situazioni spiacevoli. E questo può inficiare un’esperienza meravigliosa come quella del volontariato in paesi in via di sviluppo.

Non dico questo per scoraggiare, anzi.

Non sono in grado di garantire che sarà senza dubbio tutto positivo. Posso però promettere che non sarà tutto negativo, perché viaggiare da soli, imparare a cavarsela in situazioni a volte anche non piacevoli, è un’esperienza formativa che non ha prezzo. Anche io non avevo mai messo il naso fuori dall'Italia prima di quel 2004, mai fatto un viaggio così lungo da sola, mai preso un aereo da sola, mai dovuto parlare una lingua diversa dalla mia per farmi comprendere. Ma è stata senza dubbio l'esperienza più bella ed emozionante della mia vita – assieme a quella di conoscere mia figlia. Poi è successo altre volte, ovviamente, ma la prima non si scorda mai, è proprio vero, si avverte di crescere in un secondo di mille anni!
Forse non è il momento migliore per partire. Ma questo significa che avete un sacco di tempo a disposizione per organizzare per bene la vostra prima missione come volontari in paesi in via di sviluppo.


Sulla base della mia esperienza di volontariato in paesi in via di sviluppo, vi suggerisco di non essere sprovveduti e non confidare solo ed esclusivamente nella vostra buona stella.

Non andate allo sbaraglio, come ho fatto io, anche se poi è andato tutto meravigliosamente bene e forse non aver preparato il viaggio nei minimi dettagli ha fornito a tutta l'esperienza proprio la sua patina di indimenticabile prima volta.
Rivolgetevi ad Associazioni, Onlus o ONG che siano, grandi o piccole, che possano garantire assistenza nei vostri spostamenti, in modo che ci sia sempre qualcuno informato su dove siete e con chi, su quando arrivate/partite. Un'Associazione di volontariato che organizza missioni in paesi in via di sviluppo dovrebbe dare a chi parte la garanzia di supporto continuo. Non può scaricare il volontario che si trova ad affrontare situazioni sgradevoli o di pericolo, prendere da questo le distanze. Anzi, dovrebbe per prima cosa impegnarsi a evitarlo, con formazione preventiva e sistema organizzativo capillare in loco. Ma siccome l'imprevisto è sempre dietro l'angolo, dovrebbe avere solide spalle e (r)assicurazioni che supportino il volontario, senza mai abbandonarlo al suo destino. Quindi scegliete accuratamente un'associazione che vi garantisca quanto meno questi presupposti.

Fatevi sempre un’assicurazione di viaggio, iscrivetevi a Dove siamo nel mondo, comunicate la vostra missione all'ambasciata italiana locale.

Non esiste il «se l'è andata a cercare», perché anche nel paese in via di sviluppo più tranquillo la situazione può cambiare da un momento all'altro – chi viaggia e fa certe esperienze lo sa, meno quelli che se ne stanno sempre sul divano ma sembrano avere la verità in tasca; il Kenya, ad esempio, non è il paese pericoloso che hanno provato a descrivervi recentemente, anzi, è molto battuto dai turisti italiani da sempre, eppure gli imprevisti accadono, come abbiamo visto. È sempre bene comunicare la propria posizione e i propri spostamenti all'ambasciata italiana in loco e può essere utile iscriversi a Dove siamo nel mondo. Vi consiglio soprattutto di farvi una buona assicurazione sanitaria per eventuali problemi di salute o d'ordine interno del paese in cui vi trovate, per garantirvi assistenza o un rientro in patria in sicurezza. Ce ne sono moltissime tra cui scegliere, alcune anche con pacchetti su misura per viaggi di volontariato. Un'associazione seria dovrebbe pensarci per voi o almeno consigliarvi, ma se proprio volete fare per conto vostro, vi consiglio di leggere Assicurazione di viaggio sì o no? I consigli e le testimonianze.
Inutile dire che la prima volta non ho fatto nulla di tutto questo, purtroppo, ma l'esperienza insegna e ora che viaggio con mia figlia non manco mai di avere questi minimi accorgimenti.


Matiri e Clinic mobile - Kenya - PH Stefania Bergo

Informatevi sulle norme igieniche e sulle vaccinazioni necessarie.

Informatevi, presso le strutture sanitarie o sul sito del Ministero della Salute, sulle norme igieniche del luogo e a eventuali epidemie in atto. Oltre ai vostri farmaci abituali e quelli che vi possono servire in caso di dissenteria, febbre e vomito, che porterete con voi, provvedete alle vaccinazioni obbligatorie e alla profilassi antimalarica, se consigliata. In genere le associazioni hanno delle agevolazioni e possono venirvi incontro con richieste specifiche presso le ASL o rimborsando i costi sostenuti.
Io, ad esempio, ho fatto la vaccinazione contro il tifo e l'epatite A – che proteggono dall'ingestione di cibo e acqua contaminati nei locali lungo la strada, ad esempio, dove non ci sono garanzie di igiene – contro la febbre gialla, per chi vuole fare anche qualche safari, e la profilassi antimalarica – solo per viaggi della durata inferiore al mese.

Se possibile, anche se il viaggio per arrivare in loco lo farete in solitaria, per la prima volta cercate realtà dove potete incontrare altri volontari con cui condividere timori ed emozioni.

Soprattutto se avete intenzione di fermarvi a lungo. Capita, a volte, di sentirsi troppo soli  lo so bene, mi è capitato molte volte di sentirmi sola nei due anni in cui ho vissuto in Kenya, come direttore dell'ospedale che ho aiutato a costruire negli anni precedenti. Il che non è necessariamente negativo, ma, soprattutto se siete persone sensibili, il non aver qualcuno con cui confrontarsi potrebbe essere un peso che rischia di rovinare la vostra prima esperienza. Anche se la condivisione non dovrebbe mai essere forzata, o rischia di infastidire, invece di essere preziosa valvola di sfogo.

Sarebbe meglio partire con le idee chiare su cosa si potrebbe fare una volta arrivati, il che non necessariamente coincide con la propria professione. In ogni caso non dimenticate di farvi fare un visto per lavoro.

Partiamo dal presupposto che l'Africa, come gli altri paesi in via di sviluppo, non ha bisogno di essere salvata da noi. Anzi, forse dovremmo farci da parte e smetterla di sfruttare le sue ricchezze.
Detto questo, è lapalissiano che certe figure professionali, come i medici e gli ingegneri, ad esempio, possano intervenire laddove l'assistenza e le strutture dello stato siano carenti e dove manchino le possibilità. Ben vengano, quindi, i chirurghi che operano in ospedali missionari persi nel bush o in tende da campo tra le macerie di un paese distrutto dalla guerra. Ben vengano gli ingegneri che costruiscono ponti, strade, strutture sanitarie, opere idrauliche, impianti elettrici. Questo non significa che in Africa non ci siano medici e ingegneri o che siano meno bravi. Ma ce ne sono decisamente di meno e, soprattutto, chi non ha possibilità economiche viene dimenticato. Quindi i volontari si innestano in questi immensi strappi assistenziali degli stati e assicurano una più equa suddivisione delle risorse favorendone l'accesso anche ai meno abbienti. E per lo stesso motivo, dunque, sono parimenti preziosi gli insegnanti, gli educatori, gli idraulici, gli elettricisti, chiunque abbia esperienza di avviamento al lavoro, e così via.
Non sempre si riesce a mettere la propria competenza al servizio delle necessità. Se si riesce a farlo almeno in parte è meglio, altrimenti si rischia di non riuscire a trovare una collocazione. Una buona associazione dovrebbe formare i volontari, soprattutto quelli alle prime armi, e cercare di impiegarli in mansioni che siano in linea con le loro competenze o attitudini. Ma non si necessita solo di skills, in certi luoghi, è prezioso anche chi sa mettersi in gioco, al servizio della corrente contingenza e si sappia inventare, con umiltà, a seconda del bisogno.
In ogni caso, assicuratevi che l'Associazione con cui partite vi faccia avere un visto d'ingresso per lavoro della durata adeguata – e comunque superiore alla vostra permanenza prevista, non si sa mai dobbiate prolungarla – altrimenti avrete solo il permesso turistico e non potrete fare nulla se non il turista, appunto. In alcuni paesi i visti si richiedono direttamente nell'aeroporto di arrivo, altri devono essere richiesti prima della partenza e hanno lunghi tempi d'attesa. Assicuratevi di avere tutto in ordine prima di partire, che sia il timbro sul passaporto o l'informazione corretta.

Ospedale St. Orsola - Kenya - PH Stefania Bergo

Scegliete con cura il paese dove vorreste fare la vostra esperienza di volontariato e non scordate mai che siete gli ospiti, non i padroni di casa.

Ci sono paesi segnalati a rischio dalla Farnesina – che vi consiglio di consultare – alcuni solo parzialmente, altri nel loro complesso. Per esperienza posso dirvi che in genere le situazioni più critiche che ho incontrato si riferivano a zone di confine: tra due paesi, tra due etnie, tra due religioni. Ma non necessariamente questo accade. Togliendo alcuni pesi inseriti nelle liste nere mondiali, quelli ad esempio in cui ci sono guerre e genocidi in corso, in ogni paese a ben guardare ci sono luoghi in cui è meglio non andare o situazioni in cui è meglio non mettere il naso. Quindi è bene informarsi prima di partire. Spesso solo chi ne ha esperienza può riferire certe informazioni utili. Tenendo presente che non c'è nulla di assolutamente vero o falso, che anche il paese più tranquillo può risvegliarsi in preda a una guerra civile e che si può incorrere in situazioni pericolose sia che siamo volontari sia che siamo semplici turisti da villaggio all inclusive – non diamo colpe per eventi che esulano dalla nostra volontà, per cortesia, e pensiamo sempre che potrebbe capitare anche a noi.
È bene informarsi anche sulle usanze della gente del luogo, per evitare un abbigliamento o di fare qualcosa di involontariamente sconveniente o che ci metta in situazioni spiacevoli. Mai dimenticare che siamo ospiti in casa d’altri, quando viaggiamo all'estero, quindi entriamo chiedendo permesso e aspettando che ci venga concesso di avanzare. Non dovremmo mai recarci in qualche luogo con la presunzione di essere modelli da imitare o la pretesa di sradicare tradizioni e cambiare le usanze secolari in pochi giorni semplicemente imponendo la nostra volontà, dimenticando che anche da noi, in Italia, certe tradizioni e atteggiamenti non condivisibili sono duri a morire. Possiamo però portare il nostro punto di vista, il confronto e l'esempio: sono catalizzatori di cambiamento potentissimi.


C’è ancora un’altra cosa che vorrei aggiungere, e fa il paio con tutte le polemiche, e soprattutto le cattiverie, sentite su Silvia Romano. 

Non fatevi dire mai dagli altri in quale modo fare volontariato e soprattutto non fate mai sminuire le vostre buone intenzioni. Quegli stessi per cui il massimo del “fare qualcosa per gli altri o per il pianeta” il più delle volte significa condividere un meme su Facebook standosene sul divano non hanno alcuna voce in capitolo e non si dovrebbero mai permettere di criticare, soprattutto aspramente, la vostra scelta. Non esiste alcuna esperienza di volontariato fatta esclusivamente per il bene altrui. Pure aiutare i senzatetto alla Caritas qui in Italia, per dire, è comunque un atto che fa stare bene, appaga, anche noi stessi, nessuno lo fa esclusivamente per gli altri, non siamo santi.



Che male c’è se, oltre ad avere voglia di aiutare qualcuno, vogliamo anche fare un’esperienza per noi stessi? 

Se fatto nel modo giusto questa non è speculazione, anzi. Perché si potrebbe benissimo fare un viaggio in qualsiasi altro modo, se si cercassero solo emozioni forti ed esperienze di condivisione con la gente del luogo, ci sono moltissime realtà di turismo equo e solidale valide e autentiche. Se siete donne, poi, non fatevi mai – m a i – dare della «sciacquetta che vuole farsi una vacanza» per il vostro desiderio di aiutare! Magari dagli stessi che poi si scaricano la coscienza, quando si voltano dall'altra parte, con la cantilena sgraziata e petulante dell'«aiutiamoli a casa loro».

Ci sono motivazioni impossibili da far comprendere. 

Io stessa, che ho scritto due libri sulla mia esperienza – Con la mia valigia gialla e Mwende. Ricordo di due anni in Africa – fatico a raccontare le mie. Si tratta di sensazioni che nascono dal profondo, magari solleticate e riportate in superficie da qualcosa che abbiamo visto, dal racconto di qualcun altro, da un'emozione effimera. Il fatto è che non ha importanza. Sarebbe come voler giustificare perché si sceglie un corso di laurea o un certo genere letterario o il colore di un vestito. In ogni caso, di fronte a chi sa mettersi in gioco e spesso buttare all'aria carriere avviate o posizioni sociali invidiabili per un futuro incognito, sia esso una scelta di vita, una battaglia ideologica, una nuova impresa lavorativa o di volontariato in paesi in via di sviluppo, io mostrerei rispetto. Perché in mezzo a tanto menefreghismo e superficialità, avere ancora il desiderio di fare un'esperienza formativa e di volontariato, per se stessi e per gli altri, è da ribelli, di quelli che alle proteste fanno seguire le azioni. E questo lascia in bocca il sapore amabile della speranza in un futuro migliore.


Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione).
Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
La stanza numero cinque, PubMe – Collana Gli scrittori della porta accanto.


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