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Cina: il lavoro forzato e il genocidio demografico degli Uiguri

Cina: il lavoro forzato e il genocidio demografico degli Uiguri

Di Alessandra Nitti. Cina, lavoro forzato e genocidio demografico: le sterilizzazioni coatte per prevenire le nascite nella minoranza musulmana cinese degli Uiguri e il loro sfruttamento come manodopera a basso costo.

Sin dalla sua fondazione, il Partito Comunista Cinese (PCC) si è definito il protettore di tutte le 56 etnie raccolte sotto la sua bandiera. Mille colori, un unico stato.
Il 92% della popolazione del Regno del Centro è composta dagli Han 汉, i cinesi come li conosciamo. Quando si è in Cina le agenzie turistiche propongono tour nei villaggi delle minoranze etniche – siano esse i Miao dai grandi copricapo d’argento o gli Yao con i capelli lunghi fino a terra che vivono sui monti del Guizhou. Queste etnie sono così piccole e così abituate a essere oramai solo un gioco per turisti che non cercano di ribellarsi. O, almeno, non tutte. Tibetani e Hongkongesi ci hanno insegnato che non è bello essere una minoranza in Cina, oggi.

Immaginiamo cosa significhi essere un’etnia di lingua turca dai lineamenti quasi occidentali e di religione islamica sotto la morsa del PCC. È questa la situazione in cui versano gli Uiguri.

Essi costituiscono solo lo 0,6% dell’intera popolazione cinese ma sono una delle principali fonti di preoccupazione per Pechino.
Nel Nord Ovest della Cina si estende la più vasta provincia, lo Xinjiang 新疆维吾尔自治区, che comprende il bacino del Tarim con il deserto del Taklamakan e il bacino Dzungariam divisi dal monte Tianshan. In esso si raggiungono il punto più basso sotto livello del mare (-155 m) e quello più alto (8611 m).
I suoi confini sono delimitati da una ricchezza che spetta a pochi fortunati: il Tibet a Sud, le regioni cinesi dello Qinghai e del Gansu a Est, la Mongolia a Nord Est, la Russia a Nord, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan a Nord Ovest, il corridoio del Vacan (Afghanistan), il Karakorum (Pakistan) e il Kashmir indiano a Sud Ovest.
Nei vecchi libri di scuola qualcuno lo ha sentito chiamare “Turkestan Cinese”. Il nome Xinjiang fu dato dalla dinastia Qing e significa “Nuova frontiera”.
Questo luogo arido, caldissimo d’estate e freddissimo d’inverno, attraversato in passato dalle carovane della via della Seta è la patria degli Uiguri. Costituiscono almeno la metà dei 22 milioni di abitanti della regione, eppure si stima che fino a un milione potrebbero essere detenuti in campi “rieducativi”.

I centri di detenzione per gli Uiguri.

Sono ormai più di due anni che un’inchiesta del New York Times ha portato alla luce le problematiche dei centri di detenzione dello Xinjiang, tenute nascoste per – si stima – quattro anni, secondo l’istituto di geopolitica Jameson Foundation.
Nei campi si praticano diverse torture, dalla violenza fisica al waterboarding, dall’isolamento alla privazione del sonno. I detenuti sono inoltre costretti a cantare inni nazionali cinesi, è vietato loro pregare e farsi crescere le barbe
Anche chi non è detenuto deve partecipare periodicamente a delle cerimonie in onore del PCC e a condannare come “fanatici” amici e familiari accusati di estremismo.

L’obiettivo del PCC è quello di cancellare la cultura degli Uiguri, la loro storia, la loro dignità?

Una detenuta trentenne è stata deportata per aver indossato un velo e letto libri sulla storia uigura. Uno degli intervistati del New York Times racconta di essere stato incarcerato per aver letto un versetto del Corano durante un funerale. Spesso, però, vengono compiuti arresti al solo scopo di raggiungere la quota prefissata dal governo.
Nelle città dello Xinjiang – Hotan, la più religiosa di tutte, il capoluogo Urumqi, la mitica Kashgar – non si vedono più barbe lunghe e le moschee sono vuote.
Quella che Xi Jinping chiama “lotta al terrorismo” è una vera e propria repressione etnica messa in atto sin dall’infanzia, o prima: infatti i bambini vengono separati dei genitori per crescere ignari della propria cultura e molte donne vengono costrette ad abortire o a essere sterilizzate.

Genocidio demografico: le sterilizzazioni forzate delle donne uigure.

Grazie a un’inchiesta dello scorso giugno di Associated Press è venuto alla luce il problema delle sterilizzazioni forzate delle donne uigure. Si va dall’iniezione di contraccettivi all’inserimento di una spirale posizionata in modo da essere impossibile estrarla senza un’operazione chirurgica – pratica che può portare all’infezione. Secondo l’antropologo tedesco Adrian Zenz, il 2,5 per mille delle donne uigure è stato sterilizzato nel 2018. Il tasso di natalità in Xinjiang, che fino al 2015 era il più alto dell’intera Cina, tre anni dopo era il più basso – complice anche la fuga di molti uiguri all’estero.
Fino al 2016 – anno dell’abolizione della legge del figlio unico – le minoranze etniche non avevano alcun limite sulla procreazione al contrario dei cinesi Han. Da allora le cose si sono capovolte: se i cinesi dell’etnia maggioritaria possono avere fino a due bambini, tutti gli altri al massimo tre. Ricordiamo che gli Han costituiscono il 92% della popolazione cinese.

Il lavoro forzato.

I campi di detenzione si sono, inoltre, trasformati in luoghi di lavoro forzato da parte delle aziende cinesi. È qui che vengono lavorati cotone, tessuti, petrolchimici e viene soddisfatta l’alta richiesta di mascherine di questi tempi. Ciò ha condotto Trump a sanzionare, lo scorso luglio, le aziende che vendono prodotti e componenti alle aziende cinesi accusate di sfruttare la manodopera uigura.
Tornata in Italia per l’estate, ho notato come gran parte dei prodotti anti-covid – mascherine usa e getta, termometri, guanti in lattine – fossero prodotti in Cina. Da anni il “made in China” non ci sorprende più: ma se esso fosse, in realtà, “made in Xinjiang”?
Una nuova indagine del New York times ha svelato come almeno 17 delle 51 aziende di prodotti di protezione sanitaria in Xinjiang si occupino del trasferimento coatto dei “dipendenti” nelle altre provincie, dove sono costretti a imparare il mandarino e a omaggiare il Partito con varie cerimonie.
Amy K. Lehr, direttrice dell’Iniziativa dei diritti umani dello Center for strategic and International studies, dichiara che «Queste sono misure coercitive che obbligano le persone a stare in fabbrica contro la propria volontà. Secondo la legge internazionale ciò può essere considerato lavoro forzato».
In breve, il partito comunista cinese coarta una minoranza etnica e religiosa a divenire un esercito di lavoratori a bassissimo costo. I prodotti di queste industrie non sono solo per uso domestico ma anche mondiale. Una mossa economica e, soprattutto, politica: in questo modo gli Uiguri sono costretti a stare tutto il giorno in una fabbrica, senza la possibilità di ribellarsi, trasformati in ubbidienti robot che adorano il Partito dopo un buon lavaggio del cervello.

Controllo tecnologico costante.

Il Xinjiang è una delle aree più sorvegliate al mondo. Oltre alle telecamere per strada, nei taxi e nei locali pubblici, come nel resto della Cina, gli abitanti di questa provincia sono sottoposti al riconoscimento facciale prima di poter usufruire dei servizi pubblici, come fare la benzina, e a un controllo quotidiano da parte della polizia, che ha il diritto di fare irruzione nelle case. Tutte le chiamate in entrata e in uscita sono registrate dal governo centrale e un’app installata obbligatoriamente permette alle forze dell’ordine di esaminare con facilità il traffico dei cellulari.

L’importanza dello Xinjiang per la Cina.

Perché Pechino si accanisce così tanto contro questo angolo di mondo? Storicamente esso è sempre stato il confine occidentale dell’Impero, prima di divenire una zona cuscinetto tra la Cina e l’Unione Sovietica. Inoltre questa vasta area poco popolata ha un sottosuolo estremamente ricco: 13.000 trilioni di m3 di gas naturale, 2190 di carbone e altre risorse fossili rappresentano il 20% del potenziale energetico cinese insieme ai 23,4 miliardi di tonnellate delle riserve petrolifere.
Nel 2009 le tre aziende di oro nero PetroChina, Gazprom e Shell hanno firmato un accordo per la costruzione di un gasdotto attraverso lo Xinjiang per fornire gas ai diversi paesi dell’Asia centrale.
Oltre alle risorse energetiche, lo Xinjiang è l’unico sito dove la Cina può condurre test nucleari nell’aerea disabitata di Lop Nor, un antico lago salato ora prosciugato.
Se secoli or sono il Turkestan Orientale era attraversato dalla Via della Seta, allo stesso modo oggi è di importanza strategica per la Nuova Via della Seta, la Belt and Road initiative che collega il commercio cinese al resto del mondo.

La risposta di Pechino alle accuse mondiali.

Ufficialmente Pechino si impegna a sradicare i terroristi che negli anni passati hanno provocato disordini in alcune città cinesi, come Kunming, Hotan, Kashgar e addirittura in Piazza Tiananmen sotto la sacra immagine di Mao Zedong.
Diverse organizzazioni internazionali hanno accusato il governo cinese di violare i diritti umani, alle quali è stato risposto che la loro è solo una lotta contro il terrorismo e che le indagini non sono altro che fake news – nel seguente video un giornalista della BBC chiede all’ambasciatore cinese del Regno Unito, Liu Xiaoming, di rendere conto di un gruppo di persone bendate mentre vengono fatte salire su un treno e della testimonianza di una donna uigura.


Alessandra Nitti
Sinologa, viaggiatrice, appassionata lettrice, yogini e scrittrice. Trascorro le giornate nel mio mondo di poesia inventando trame di racconti, progettando viaggi intorno al mondo o in posizioni yoga a testa in giù. Laureata in lingue e letteratura straniere solo per il gusto di conoscere lingue difficili. Vivo a Canton, nel sud-est della Cina, per insegnare italiano a giovani cinesi. Tra una lezione e l’altra gestisco Durga – Servizi editoriali.
L’amuleto di giada, Arpeggio Libero Editore.
Faust – Cenere alla cenere, Arpeggio Libero Editore.
Esilio, Arpeggio Libero Editore.


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