Di Stefania Bergo. Se da un lato è comprensibile essere preoccupati per il ritorno tra i banchi dei nostri bambini, dall'altro non dobbiamo dimenticare che ci sono luoghi in cui andare a scuola è difficile davvero.
Domani in molte regioni d'Italia gli studenti torneranno tra i banchi di scuola. Banchi anomali, singoli, a rotelle, con tanto spazio intorno. Sarà un inizio difficile, un anno differente, segnato da regole stringenti che renderanno tutto macchinoso, pesante. I nostri figli non si potranno permettere nemmeno un raffreddore, dovranno essere perfettamente in salute per mettere piede in aula. Il che significa che, tra malanni stagionali dei più piccoli e finzioni dei soliti furbetti che vogliono solo saltare compiti e interrogazioni, staranno a casa per la maggior parte del tempo – almeno nelle previsioni. E quando saranno presenti, dovranno indossare la mascherina, disinfettarsi spesso le mani, evitare di stare troppo vicini.È indubbio che sarà un anno gravoso, con difficoltà gestionale e logistica non indifferente, peserà sul corpo insegnanti, che non riuscirà ad avere tutto sotto controllo, e sulle famiglie, che dovranno gestire lunghissime malattie e quarantene.
In altre parole, quest'anno scolastico è una bomba a orologeria.O forse no.
Io lo vedo come un nuovo paio di jeans cui ci si deve adattare, cui dare forma indossandolo, da dentro. Le linee guida eccessivamente restrittive – o meglio, giustamente prudenti – saranno solo il punto di partenza. Da lì si inizierà a ridimensionare alcuni aspetti della gestione scolastica e tutto diventerà consueto e fattibile. Ammesso che si sia disposti a mettere in campo tutto il nostro senso civico e il rispetto per il prossimo.
Siamo timorosi per quello che dovranno affrontare i nostri figli, soprattutto i più piccoli, è naturale.
Molti di noi si oppongono indignati a tutti gli obblighi e alle limitazioni – non solo scolastiche, a dire il vero – parlando addirittura di «ingiustizia», di «terrorismo sanitario», di «regime dittatoriale».Ma forse si sono scordati, o non sanno, che ci sono angoli del mondo in cui andare a scuola è davvero e da sempre una prova di coraggio e resistenza. Altri in cui l'istruzione non è nemmeno un diritto. A ognuno di quei bambini non sembrerebbe così male studiare nelle nostre scuole, tra banchi a rotelle e mascherina di stoffa su naso e bocca.
Secondo un report dell'Unicef, sono oltre 120 milioni i bambini ai quali è negato il diritto all'istruzione di base.
Sfruttamento economico, conflitti, dittature, povertà, prostituzione minorile, matrimoni combinati, molte sono le motivazioni che vietano a questi bambini non solo il diritto all'istruzione ma anche quello all'infanzia. Il 40% di questi bambini vive nei paesi meno sviluppati e il 20% in zone di guerra – secondo Save the Children sono circa 50 milioni i bambini tra i 6 e i 15 anni senza accesso all'educazione a causa dei conflitti.Oltre alle spese scolastiche, che in molti paesi sono insostenibili per le famiglie più povere, c’è anche il problema della discriminazione di genere. L’istruzione è negata soprattutto alle bambine, pensate che in Somalia il 98% delle ragazze tra i 7 e i 16 anni non va a scuola, come riferisce act!onaid.
La scuola in Siria
In Siria, ad esempio, la maggior parte delle scuole sul territorio è stata bombardata e, secondo i dati raccolti dall’Onu, più di due milioni di bambini non hanno accesso all'istruzione.I bambini vengono uccisi, feriti e resi disabili in modo permanente in quegli stessi luoghi in cui dovrebbero sentirsi protetti e al sicuro. I bombardamenti contro scuole e ospedali nel corso di un conflitto sono in allarmante e vergognoso aumento.Tuttavia, come testimonia il reportage fotografico di Khalil Ashawi per Reuters, hanno allestito scuole sotterranee, come quella nel villaggio di Tramia, o in caravan mobili, come succede a Saraqib, pur di permettere a bambini e adolescenti di continuare a imparare. Perché l'istruzione resta l'unico modo per conoscere e poter quindi rivendicare i propri diritti. I bambini si recano a scuola a volte scortati dai militari, camminano tra le rovine di città che ormai esistono solo nella resilienza dei loro abitanti, sfidando la guerriglia incessante. Ma vanno a scuola, malgrado tutto.
Afshan Khan, direttore Programmi di Emergenza Unicef
La scuola in Sud Sudan ed Eritrea
In Sud Sudan e Eritrea solo il 59% dei bambini va a scuola. L’Unicef continua ad inviare appelli alla comunità internazionale mettendola in guardia sul reale pericolo del reclutamento di questi bambini non scolarizzati da parte degli eserciti in lotta nel Sud Sudan, dove la guerra civile è da anni una minaccia alla popolazione. Non solo i più piccoli non hanno accesso all'istruzione, infatti, ma vengono addirittura prelevati da gruppi di ribelli e “formati” per diventare bambini soldato – un grave problema presente anche in altri paesi nel mondo.La scuola in Bangladesh, Libano e Brasile
In Bagladesh i bambini in età scolare sono circa 56 milioni. Molti non possono frequentare la scuola perché devono lavorare per contribuire al reddito familiare, come accadeva ai tempi dei nostri nonni.In Libano il diritto all’istruzione e allo sviluppo è assoggettato all'instabilità politica e a profonde disuguaglianze sociali. Tra i bambini meno abbienti solo la metà ha accesso alla scuola primaria e uno su quattro alla secondaria. La maggior parte delle scuole pubbliche non risponde agli standard minimi di qualità.
In Brasile, dato l’alto numero di studenti rispetto alle strutture a disposizione, le lezioni sono organizzate in turni e gli alunni frequentano la scuola a rotazione.
Rivolgendoci altrove, dove l'istruzione e l'infanzia sono ancora fortunatamente in qualche modo salvaguardate, ci sono luoghi in cui i bambini devono affrontare delle vere e proprie prove di coraggio e resistenza per raggiungere la scuola.
Molti bambini, infatti, non vanno a scuola su strade sicure con le loro belle biciclette nuove o accompagnati in macchina dai genitori. Sono costretti a percorrere percorsi pericolosi o lunghissimi per ricevere un’istruzione che molti di noi danno per scontata, perché troppo spesso le infrastrutture non sono adeguate per mancanza di investimenti o come conseguenza di calamità naturali ricorrenti.Si parla di ponti pericolanti, zattere di fortuna o guadi per andare da una sponda all'altra di corsi d'acqua torrenziali, precipizi.
Anche i mezzi di trasporto sono spesso occasionali e di fortuna: ci sono studenti che si ammassano su carri di bestiame, che utilizzano vecchi copertoni sui fiumi remando con le braccia, che approfittano del dorso di una capra o di un bue, che scalano montagne o attraversano immense radure di ghiaccio.
La scuola nel Kenya rurale
Io ho vissuto in Kenya per due anni e nel villaggio dove sorge l'ospedale missionario che ho diretto ci sono molte scuole. Gli studenti sono ammassati in un centinaio per classe, alcuni camminano scalzi per due tre ore prima di giungere a scuola, tra la polvere o nel fango, portando con sé il peso di piccole tanichette d'acqua e contenitori per il pranzo – in genere una minestra di fagioli e una sorta di polenta secca. Le strutture scolastiche sono capanne di fango intonacate, con lunghi banchi di legno grezzo e terra battuta come pavimento. Le latrine sono buchi nel terreno. Solitamente c'è almeno una pompa per l'acqua nel compound, una, per un centinaio di studenti. Le bambine e i bambini vengono rasati periodicamente per tenere a bada il diffondersi di pidocchi e altri parassiti. Ma malgrado tutto, la presenza di quelle scuole è una benedizione. Significa che quei bambini avranno un'istruzione e quindi un futuro, una vita probabilmente migliore di quella dei loro genitori.Sarà un anno difficile, questo. Saremo tentati di lamentarci tutto il tempo per l'ingiustizia subita, per la sfortuna che ci è capitata.
Ci sentiremo di pretendere di più per i nostri figli, immaginando di difenderli così dai pericoli di una situazione apparentemente paradossale. Lo capisco, quando tutto sembra ormai scontato, quando tutto è proteso verso una sempre maggiore ricerca delle comodità, è difficile affrontare delle difficoltà logistiche impreviste.Non è certo per sminuire una comprensibile ansia – non certo quella ottusa di chi si mette di traverso a prescindere – che ho scritto questo articolo. Anzi, il mio vuole essere un incoraggiamento, una pacca sulle spalle agli altri genitori che, come me, affrontano questo nuovo banco di prova. Io, personalmente, lo farò con un po' di preoccupazione ma soprattutto con la consapevolezza che l'istruzione, anche in condizioni precarie, è necessaria, quasi urgente. Irrinunciabile. E con l'animo sollevato di chi guarda anche altrove e pensa che, malgrado tutto, siamo ancora fortunati.
Credo anche che dovremmo dare fiducia ai nostri figli. Sono sicura che sapranno adattarsi alle nuove temporanee abitudini molto meglio di noi. Lo fanno già in tanti altri angoli del mondo. I nostri bambini non saranno certo da meno.
Buona scuola!
Stefania Bergo |
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