Incipit #189 Luce innaturale di Nicole Tinazzi (Pluriversum Edizioni): la convivenza forzata, gli atteggiamenti violenti di un padre di famiglia, quattordici lettere, una ogni notte di incubazione del virus che ha gettato il mondo nel panico.
Luce innaturale
di Nicole TinazziPluriversum Edizioni
Narrativa
ISBN 8831354515
Ebook 5,99€
Cartaceo 15,00€
Fino a qualche settimana fa non avrei mai immaginato che, un giorno non troppo lontano, mi sarei ritrovata accovacciata sull’erba primaverile: fresca e illuminata dalla luce fioca di una luna crescente. C’è un silenzio tombale qua fuori, non si odono i rumori delle auto che corrono sull’autostrada non troppo distante. Ho indossato la giacca per uscire: nonostante il cielo terso del giorno, la notte si presenta fredda.
Ho afferrato la giacca verde militare, quella che detesto perché è troppo larga in vita, ma almeno è calda. L’ha comprata la mamma, ha scelto quella che piaceva a lei. Se avesse chiesto la mia opinione, avrei optato per un chiodo nero. È totalmente inutile quando fa freddo, ma è maledettamente bello. Sai perché mi piace il chiodo? Mi ricorda le moto. Il vento tra i capelli, il sole che batte sulla schiena, l’asfalto che corre sotto i piedi, l’orizzonte che mi accoglie. Sì, il chiodo: un semplice pezzo di pelle lavorato e cucito che mi parla di libertà. Forse è una cosa stupida, forse è la cosa più stupida che io abbia mai scritto, ma da qualche parte devo pur cominciare in questa fredda notte... se voglio parlare con te. Quindi, ho pensato di iniziare da qualcosa di semplice e tu non devi stupirti; noi non parliamo da anni e non puoi aspettarti che ti rovesci addosso tutti i pensieri che ho pagato con le lacrime. Non sono gratuiti, non li meriti. Ricordi gli anni che hai vissuto nel tentativo d’inculcarmi di quanto fossero poco interessanti?
Dunque, dicevo: ho afferrato la giacca, un pezzo di carta, la penna, e sono qua. Ho camminato per qualche metro nel giardino, ho girato intorno all’oleandro cresciuto negli anni e mi sono seduta tra il pesco e il mandorlo, proprio davanti al box di lamiera che ha costruito il nonno, quello in cui teniamo gli attrezzi per lavorare nei campi. È diroccato e, se non farai qualcosa in fretta, crollerà su sé stesso. Gli anni e il clima hanno stretto una sorta d’alleanza ai danni delle lamiere: le hanno sfaldate, scolorite, lacerate e piegate, ma ancora esistono; esattamente come esisti tu, papà. Tu esordisci in alcuni tentativi, fingi di agire e poi molli: come se le tue gesta non ti riguardassero per davvero. Ho dato un calcio alla lamiera ed è scivolata a terra. In un secondo momento mi sono voltata verso casa per verificare eventuali allarmismi da parte tua e della mamma, ma le finestre sono buie. Non vi siete accorti di nulla. Ho calciato la lamiera perché odio questo box da giardino. Lo odio perché tu lo guardi e lo nomini, con amore. Il tuo volto è ridicolo mentre pronuncia le forbici sono nel box.
Vedo gonfiarsi il tuo petto d’orgoglio, perché quel box l’ha costruito tuo padre e ne vai fiero. Tuo padre non l’ho conosciuto, di conseguenza, non riesco a pensarlo come nonno. La considero una fantomatica figura a cui tu sei legato. Da lui abbiamo ereditato l’abitazione in cui viviamo, nonostante tutto, ti riconfermo che non tengo alla sua figura. Aggiungo: se domani in virtù di uno strano gioco del destino, scoprissimo che il nonno non è morto, ma scappato all’estero in seguito a una vincita al Superenalotto, non vorrei ugualmente incontrarlo. Tu dicevi di somigliargli, papà, e io l’ultima cosa che desidero è incontrare una persona simile a te.
Immagino l’espressione incredula che si dipingerà sul tuo volto quando leggerai questa frase. Non oso immaginare quella degli uomini che denomini “amici”. Mi sembra di udire i loro riecheggi che sommergono i fogli che ora stringo fra le mani: «Che idiozia! Che cattiva ragazza... lui è un brav’uomo, un lavoratore, un tipo semplice, un campagnolo rude, ma onesto... come si può solo pensare di non voler conoscere il nonno perché somiglia al padre?!».
Diranno così, e quelle parole tu le fomenterai finché non ti convinceranno di avere ragione, finché non seppelliranno le mie frasi, uccise sulla carta. Peccato che questa non possa urlare, sarebbe divertente se tu fossi condannato a trascorrere i prossimi anni con delle grida arrabbiate che rimbombano nelle tue orecchie, sarebbe giusto ed equo. Una sorta di scambio: la mia esistenza per la tua. Difatti, recepisco che il mio potere di espressione non danneggerà l’immagine che la gente ha costruito su di te. Per il mondo tu sei l’uomo buono, un onesto, il padre rigoroso che lavora sodo. Sei il maschio della terra con le mani callose e la pelle bruciata dal sole. Sei uno stereotipo della tradizione, difficile metterti in discussione agli occhi dei popoli che preservano le loro radici con un fare congenito, ma dovresti imparare a capire che le tradizioni uccidono la libertà, rendendosi una galera che arresta la mente e il processo evolutivo dell’umanità.
Leggi anche Luce Innaturale, di Nicole Tinazzi: pagina 69
Quarta di copertina
Luce innaturale, di Nicole Tinazzi
È il 2 aprile 2020 e in Italia c'è il lockdown. La giovane protagonista si trova in quarantena con il padre, autoritario e violento, e la madre, con la quale condivide le sofferenze. La situazione di convivenza forzata ha reso ancora più pericolosi gli atteggiamenti paterni e, giunta a un punto di non ritorno, la ragazza decide di scrivergli quattordici lettere, una ogni notte, che corrispondono al periodo di incubazione del virus che ha gettato il mondo nel panico. Intende mostrargli cosa vedono gli occhi di una figlia cresciuta all'ombra della violenza domestica. Emerge un ritratto autentico e crudele del padre, che con le sue offese quotidiane le ha tolto ogni libertà, ciò che la spingerà a compiere un atto estremo.
Nicole Tinazzi
Nicole Tinazzi, veronese, è nata nel 1998. Laureata in Logopedia, ha mosso i primi passi nel mondo della scrittura militando presso le redazioni di quotidiani online ben noti nell'ambiente, come Periodico Daily e Quotidian Post. Ha pubblicato altri due romanzi, Sole d'agosto (2015) e Raise Again (2018), poi tradotto in Risorgere.
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