Gli scrittori della porta accanto

Smart e blended working: come sarà il futuro del lavoro?

Smart e blended working: come sarà il futuro del lavoro?

Lifestyle Di Elena Genero Santoro. Ormai stanno persino scrivendo dei libri a riguardo: lo smart working, o lavoro agile, è il nuovo modo di lavorare che, per noi impiegati, è diventato dominante a causa della pandemia. Tra pause caffè virtuali e blendend working, cosa ci riserva il futuro?

Facciamo un salto indietro. Era la sera dell'8 marzo 2020, una domenica. In Italia si parlava di Covid da qualche settimana, ma all'inizio pareva un problema localizzato in certe aree della Lombardia. Quando ecco che d'un tratto il virus si ormai era diffuso e si poteva prendere ovunque. Le scuole erano chiuse da qualche giorno, ma si prevedeva che i ragazzi rientrassero a breve. Invece il Governatore del Piemonte decise di prolungare la sospensione della didattica e noi impiegati ci ritrovammo col primo problema pratico: dove piazzare i figli visto che la scuola non riapriva e portarli dai nonni non era consigliabile? Io in ufficio con due bambini a casa non ci potevo andare.
Scrissi alla mia responsabile che il giorno seguente avrei preso ferie, in attesa delle evoluzioni. Ma non fu necessario: alle dieci di sera arrivò l'email ufficiale di FCA – Fiat Chrysler Automobiles – che autorizzava gli impiegati a lavorare da casa, vista la situazione di emergenza.
Nessuno immaginava che sarebbe durata tanto. In quel momento fu un enorme sospiro di sollievo.

Il 9 marzo 2020 per me rimarrà una data indimenticabile: ero a casa mia e dovevo lavorare come se fossi stata alla scrivania del mio ufficio.

Mi ricordo ancora quanto mi sentii persa di fronte al monitor alle ore otto di quel mattino. Ero a casa mia e dovevo lavorare come se fossi stata alla scrivania del mio ufficio. Era già capitato di mandare qualche email da casa, ma in forma ufficiosa. Ora mi toccava inventarmi qualcosa di diverso, stabilire una routine.
Lo sbandamento durò poco. In un paio di giorni io e i miei colleghi ingranammo e partimmo.
Il resto è storia. Da quel momento il mondo del lavoro iniziò un'accelerazione che ancora non si è arrestata, ma i cui contorni esatti rimangono da definire.
E il volume Da smart a blended working: Come sarà il futuro del lavoro edito da HarperCollins e disponibile come ebook gratuito su tutte le piattaforme, ha iniziato a trarre le prime conclusioni.
La seconda metà del libro infatti è la raccolta delle testimonianze di aziende di settori molto diversi, che però si sono ugualmente ritrovate a inventarsi una nuova modalità di lavoro.

Bisogna fare un distinguo: non tutte le aziende partivano dallo stesso livello di organizzazione. Ci sono settori in cui lavorare da casa è più fattibile, altri che si prestano meno.

C'erano aziende che stavano già predisponendo il lavoro in modalità "agile" e FCA era una di quelle. Lo smart working era già stato applicato in forma sperimentale in alcuni dipartimenti e si stava progettando la sua estensione anche negli altri nel 2020. Era già previsto che un giorno alla settimana ce ne restassimo a casa. Quindi, quasi tutti noi impiegati disponevamo da tempo di un portatile e le piattaforme di meeting a distanza come Google Meet erano già pane quotidiano. Il passaggio alla modalità smart è stato, a livello di mezzi informatici, automatico per noi: dalla sera alla mattina, fuor di metafora.
Altre aziende invece hanno dovuto imporre un fermo e attrezzarsi. Qualcuna ha richiesto ai dipendenti di utilizzare, per un breve transitorio, i device personali.

A tutte le aziende è stato richiesto di implementare e investire sulla tecnologia informatica in un paio di mesi più di quanto avrebbero fatto senza Covid nei due anni a venire.

E anche chi come FCA era già molto avanti nell'assegnazione di mezzi informatici adeguati per il lavoro da remoto ha dovuto colmare i gap residui nell'arco di pochi giorni.
Così abbiamo iniziato. Come madre di famiglia non vedevo l'ora di avere un giorno alla settimana in cui lavorare e al contempo fare i bucati per avere il weekend più libero. Ma cinque giorni alla settimana non ce li aspettavamo.
I primi mesi sono stati durissimi, e non per il lavoro in sé, ma per tutto ciò che vi ruotava intorno: lockdown duro, nessuna possibilità di svagarsi, e, per chi come me aveva figli in età scolare, l'inizio di una DAD raffazzonata, disorganizzata, improvvisata. Il che significava finire di lavorare tra le cinque e le sei del pomeriggio e poi dedicarsi ai compiti fino alle undici di sera. In più, farsi tutti i lavori di casa e non allontanarsi dalla propria abitazione.
Se guardo indietro ancora non so come siamo sopravvissuti. Forse con l'intima speranza che quella situazione sarebbe terminata come l'ottuso slogan "andrà tutto bene" che compariva ovunque. Tuttavia ci trascinammo per qualche mese, perché nell'anno scolastico 2019-2020 i ragazzi non rientrarono più in aula. Poi le cose, per molti versi, migliorarono.

Eppure, con tutte queste difficoltà, il lavoro da remoto funziona bene in termini di produttività, motivo per cui le aziende, in media, hanno deciso di mantenerlo anche per il dopo.

Il libro di HarperCollins è patrocinato dall'associazione di aziende Valore D, che incentiva il dibattito sulla condizione delle lavoratrici e sugli impieghi STEM per le donne. In uno dei loro webinar si è parlato proprio di questo.



Il lavoro da remoto deve essere qualcosa che aiuta le famiglie a bilanciare meglio le attività dell'ufficio con la vita privata, ma se si configura come l'ennesima arma per ricattare le donne e porre sulle loro spalle ulteriore carico allora va ripensato.

Persino lo stato aveva a un certo punto previsto un bonus babysitter che però non valeva per le lavoratrici in smart working. Come se lavorare in smart permettesse di badare ai propri figli, specie se piccoli.
Vi posso assicurare che da remoto ci sono indubbi vantaggi e tanto risparmio di benzina e ore viaggio, ma si rischia di restare al pc per molte ore senza pause, se non quella per spostare il bucato dalla lavatrice all'asciugatrice.


Ma siamo ancora in emergenza. In realtà quello che sarà il lavoro futuro è ancora tutto da disegnare ed è qui che si aprono gli scenari.

Intanto molte aziende hanno aperto sportelli psicologici, organizzato incontri virtuali, rafforzato lo spirito di squadra con eventi aziendali in webinar, organizzato per gli impiegati corsi che aiutassero alla gestione del tempo e delle priorità.
Non tutti i lavoratori apprezzano il lavoro da remoto, qualcuno ha difficoltà a rimanere isolato tutto il giorno, qualcuno ha dovuto reinventare molte attività.
Qualche azienda ha istituito anche il caffé virtuale su Meet e, sebbene FCA non lo abbia fatto a livello istituzionale, io e miei colleghi ogni tanto il caffé a distanza lo prendiamo, chiacchierando per un quarto d'ora tra un'attività e l'altra.
Ed è questo il motivo per cui le aziende stanno monitorando lo straniamento dei dipendenti che non hanno modo di interagire da vicino con gli altri: alla lunga, non incontrarsi dal vivo logora. E costituisce senz'altro una difficoltà in più per chi è neoassunto o entra in un team nuovo e deve diventare parte di un gruppo che non conosce e non ha mai visto.

Eppure, nella maggior parte dei casi, le aziende intendono mantenere il lavoro da remoto, con una modalità ibrida, da cui la definizione di "blended working".

E per quanto non ci siano limiti ai possibili progetti e alla fantasia, il trend più gettonato dalle imprese sembra essere quello che prevede una maggioranza di lavoro da casa e una parte minore in ufficio, a contatto con gli altri.
Anche gli spazi potrebbero venire ridisegnati: sparirebbe il concetto di scrivania individuale e si moltiplicherebbero invece le sale per i meeting e le zone di coworking con aree condivise. Il che permetterebbe di ridurre le stanze occupate in una sede con conseguenti risparmi di energia elettrica e di riscaldamento.
Insomma, la presenza in ufficio sarebbe finalizzata alla socializzazione e agli scambi dal vivo.
Una delle possibilità sarebbe quella di presenziare in azienda solo qualche ora al giorno e poi terminare la giornata altrove per i compiti individuali. Questo potrebbe andare bene a chi abita vicino alla sede, non certo a me che spendo un'ora e mezza ogni volta che vado a bollare il badge.

Ci sono ancora numerosi aspetti da definire e sicuramente le aziende dovranno raddrizzare il tiro strada facendo, ma una cosa è certa: nulla sarà più come prima, nemmeno l'urbanistica.

Se oggi molte persone si chiudono in un alloggio cittadino per essere vicini all'ufficio e minimizzare gli spostamenti, domani, sapendo di poter lavorare in maggior parte dal proprio balcone, più famiglie potrebbero scegliere una casa in campagna, nel verde, più lontana dallo smog.
Allo stesso modo ci sono aziende che hanno cambiato in corsa la location del loro quartier generale: se tutti lavorano da casa, non è necessario costruire un edificio grosso come un isolato per istituire una sede di rappresentanza.
Le ripercussioni pertanto potrebbero toccare molti più ambiti di quanti si possano immaginare di primo acchito. Certe professioni potrebbero essere ridimensionate (mi immagino la ditta che serve il pasto in mensa o quella che riempie i distributori automatici), ma potrebbe nascere l'esigenza di nuovi servizi. Di sicuro durante il lockdown i corrieri hanno corso parecchio e ancora continuano, perché se un lavoratore sa che sarà presente al momento della consegna, non avrà remore a ordinare ciò che gli serve (e anche ciò che non gli serve).
Insomma, è un mondo nuovo che deve essere ancora in gran parte pensato e costruito.
La speranza è che vengano create più opportunità per tutti.
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro



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