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Freaks out, un film di Gabriele Mainetti: recensione

Freaks out, un film di Gabriele Mainetti: recensione

Cinema Recensione di Davide Dotto. Freaks Out, di Gabriele Mainetti. Un esperimento notevole, un film bello oltre che coraggioso, immaginifico e di grande effetto.

Da qualche tempo il cinema italiano si dedica a un genere piuttosto inconsueto, monopolio del mercato statunitense, targato Marvel, DC o Sony. Si tratta di un universo, quello supereroistico, che oltreoceano ha mostrato le sue evoluzioni e trasformazioni, a partire dagli eroi in calzamaglia degli anni Trenta a quelli degli anni Sessanta - Settanta. Un percorso che ha inteso accentuare il lato oscuro dei protagonisti in costume, delle ambientazioni, passando da Tim Burton a Christopher Nolan fino al Joker di Todd Phillips e a The Batman di Matt Reeves. Ciò insistendo sulla sovrabbondanza, i numeri da kolossal (di investimenti, incassi, effetti speciali).


In Italia lo spartiacque lo fa Gabriele Mainetti, prima con Lo chiamavano Jeeg Robot e ora con Freaks Out.

I Freaks di Mainetti hanno qualcosa di simile ai mutanti del Professor X, con la differenza che non sono nati in America. Il canone – sempre che ce ne sia uno, col quale comunque ci si deve misurare – è rimaneggiato come il contesto linguistico («Se non ce vedemo ce rebeccamo») e culturale: il film attinge a moltissime fonti, le citazioni che si inseguono danno struttura, colore e sostanza alla pellicola. Il materiale maneggiato e messo insieme è enorme e, forse, indulge a una tentazione enciclopedica.
Non c’è imitazione, nessun intento parodistico o caricaturale, i supereroi nostrani assumono una identità tutta particolare, non appaiono e non si sentono tali, se “idealizzazione” c’è, è a loro spese, da parte del villain della situazione (il nazista Franz, sui generis anche lui).

I Freaks sono fenomeni da baraccone che esorcizzano le proprie ombre e persino le ossequiano, ci giocano insieme.

All’interno del tendone di un circo rincorrono l’illusione dell’incanto, del meraviglioso e della leggerezza, prima che il mondo si accorga sin troppo di loro e li perseguiti. L’oscurità – quella vera – è all’esterno, nel quale si viene proiettati durante i bombardamenti di un anno assurdo: il 1943.
Il racconto nel suo fluire è radicato nella cultura e nel contesto italiani, non è quindi – l'ambientazione – un pretesto come in Spider-Man Far from home. Per qualche istante la "Storia"  è sospesa e pone i Freaks ai suoi margini ("out").
Noi senza circo semo niente. Solo una banda di mostri.
Freaks Out
Freaks out, un film di Gabriele Mainetti: recensione

Freaks Out

REGIA Gabriele Mainetti
SOGGETTO Nicola Guaglianone
SCENEGGIATURA Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone
PRODUTTORE/PRODUZIONE Goon Films, Lucky Red, Rai Cinema, GapBusters
DISTRIBUZIONE 01 Distribution
MUSICHE Gabriele Mainetti e Michele Braga
FOTOGRAFIA Michele D'Attanasio
ANNO 2021
CAST Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Franz Rogowski, Max Mazzotta

Non trovano una giustificazione al loro stato, non un altro posto nel mondo. Né – a maggior ragione – viene loro in mente di salvarlo, il mondo.

Non saprebbero in che modo, da che cosa.
Prevale un profondo senso di straniamento, di impotenza e frustrazione. Ma anche la consapevolezza che i veri mostri siano ben altri. In loro vi è un inedito candore misto a fragilità e incanto deluso, non sanno dove voltarsi per ricucirsi addosso le poche illusioni venute giù con lo strappo del tendone da circo. Viene loro in mente di fuggire, emigrare in America, ma convengono subito che non è la stessa cosa, «Ognuno lì va per conto suo». Forse è persino un mondo a sé.
I sogni di gloria impossibili del furfante di turno (il villain del racconto) li vedono come un’arma segreta. Vuole approfittare dei loro talenti per aprire un varco nella Storia e proiettare – al di là del consentito – il dominio nazista («Finalmente a casa, come i Fantastici 4» dirà Franz una volta imprigionati).

E fantastici lo sono veramente, ai suoi occhi, nonostante l’anacronismo: c’è la ragazza elettrica (Matilde), l’uomo degli insetti (Cencio), il quasi tale e quale Chewbecca di Star Wars (Fulvio), il simil-Magneto uomo calamita (Mario).

Freaks Out è un esperimento notevole, un film bello oltre che coraggioso, immaginifico e di grande effetto. L’opera è impegnativa, non solo nella realizzazione.
Un po’ di rumore – giustamente – questo film deve farlo e la mezz’ora di battaglia finale, qua e là  criticata, non è poi così fuori dalle righe. È uno spettacolo pirotecnico e violento che crea la confusione propria di un colpo di coda, e quindi l’effetto che si vuole ottenere. È un troppo che stroppia per forza, a maggior ragione se qui c’è quello che somiglia a un fuoco purificatore.

Non ci sono ambienti urbani d’oltreoceano, né metropoli da devastare (ci hanno già pensato – ahimè – i bombardamenti), ma spazi aperti. Né alcuna pretesa d’aver salvato il mondo, nemmeno da se stessi. La Storia non è spostata di una virgola: è il 1943 e si cita Badoglio.

C’è un aspetto che non emerge a sufficienza: nella cultura americana – e in quella europea – si insiste molto sull’antitesi tra civiltà e una barbarie contro la quale difendersi a spada tratta, tra “questa” e “la restante parte del mondo”, tra gli irriducibili buoni e i terrificanti cattivi. In Freaks Out disponibile in streaming su Prime Video – questa differenza non c’è. Cambiano le illusioni, ci sono quelle sane e quelle malate, l’idea di star dentro o fuori un qualche incantesimo protettivo. Cambia la pretesa di estenderlo a tutto il mondo, rendendolo più malato di quello che è, assassinando con ciò l’ultimo barlume di speranza (quella che nasce e brilla in mezzo, al di là o sopra la follia di tutti gli altri).




Davide Dotto


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