Gli scrittori della porta accanto

Il Joker di Todd Phillips e Joaquin Phoenix, un film da Oscar

Il Joker di Todd Phillips e Joaquin Phoenix, un film da Oscar

Cinema Recensione di Davide Dotto. Ancora sul Joker di Todd Phillips: un Joaquin Phoenix da Oscar, tra la rivisitazione di un romanzo ottocentesco e l'Irrational Man di Woody Allen.

Era ridendo che Gwynplaine faceva ridere. Eppure non rideva. La sua faccia rideva, il suo pensiero no. Quella specie di viso inaudito, che il caso o un’industria bizzarra e speciale gli avevano forgiato, rideva da solo.
Victor Hugo, L'uomo che ride

Joker, per la regia di Todd Philipps, vincitore del Leone d'Oro a Venezia e di due Oscar, quello per la miglior colonna sonora a Hildur Guðnadóttir e per il miglior attore protagonista a Joaquin Phenix, è un film che lascia il segno.

Muove parecchie corde, chiede di essere ben metabolizzato, fa sorgere domande che ne presuppongono altre. Per esempio quale sia il confine tra l'essere più profondo di noi stessi e ciò che si manifesta in superficie; tra il lato oscuro di ognuno e la malattia mentale.
«Sono io, oppure tutti gli altri stanno impazzendo?»
La mente, abitacolo della nostra anima, è di per sé un laboratorio chimico:  veicola sentimenti, comportamenti, ossessioni, pensieri. Le cure farmacologiche del caso intervengono correggendo e veicolando a sua volta, provocando spesso nuove fragilità.

La figura di Joker è ripresa da un'opera di Victor Hugo, L'uomo che ride.

La quale ha avuto trasposizioni diverse, tra cui il film muto di Paul Leni The man who laughs del 1928. È qui che vediamo il gesto  di tirare, con le dita, la bocca al riso, compiuto dal giullare Barkilphedro e ripetuto da Joaquin Phoenix.
In quella che è più di una rivisitazione di un romanzo ottocentesco, emergono affinità ma anche importanti differenze. Gwynplaine, personaggio di Hugo, rapito da bambino da una banda di criminali, è deturpato e venduto a un circo. Arthur non è nato con il suo stato di disagio diffuso che lo proietta nella solitudine più radicale, dove si addensano nubi e lugubri ombre. I malesseri di cui soffre sono conseguenza dei maltrattamenti ricevuti  da bambino e dei quali non ha memoria.  È in cura da anni – forse da sempre. Assume sette medicinali diversi per tenere a freno pulsioni incontrollabili. Senza di essi si farebbe strada una personalità che nuota in profondità: il Joker.

Joker, lo spin-off di Todd Phillips
Il Joker di Todd Phillips e Joaquin Phoenix, un film da Oscar
REGIA Todd Phillips
SCENEGGIATURA Todd Phillips, Scott Silver
FOTOGRAFIA Lawrence Sher
MUSICHE Hildur Guðnadóttir
DISTRIBUZIONE Warner Bros Italia
ANNO 2019

CAST
Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Marc Maron

Nell'universo delle favole e nel romanzo popolare la persona umile si toglie d'impiccio e ha il suo lieto fine nello scoprirsi figlio di re e regine.

Gwynplaine, accertate le sue altolocate origini, parla ai suoi pari alla Camera dei Lord. 
Arthur Fleck non è così fortunato. Deve trovare altre direzioni per il suo riscatto. Arthur si arrangia nel conquistare un posto nel mondo, un equilibrio per lui irraggiungibile, a meno di costruirsene uno su misura, e però sopra le righe.
Joker è tenuto a battesimo nello show televisivo di Murray Franklin (Robert De Nero) in diretta nazionale.
«Ti sei accorto di come è diventato là fuori, Murray? Ti capita mai di uscire dallo studio? Sono tutti lì a strepitare, a urlare uno contro l'altro, non c'è nessun educato, nessuno più prova a mettersi nei panni dell'altro, credi che uomini come Thomas Wayne si chiedono come sia essere uno come me?»
Gwynplaine non è un criminale, né un folle, non ha propositi di vendetta. Incarna e rappresenta l'umanità intera, il popolo da proteggere contro i soprusi dei potenti. Conosce il confronto, il dialogo, usa la dialettica.

L'unico linguaggio conosciuto da Arthur Fleck è la violenza subita e dalla quale vorrebbe difendersi. 

È privo di chance, nel pieno di una tempesta senza approdi, né isole in cui salpare. Nessuno corre a salvarlo, o gli tende una mano salvo le allucinazioni, le illusioni e uno strano mentore, il collega (Randall) che, mettendogli in mano una pistola, lo getta in pasto ai lupi.


Joker è conseguenza e non causa di uno specifico contesto, la Gotham City degli anni Ottanta, che abbandona gli ultimi alle loro angosce.

Una città sporca, derelitta, infestata da schiere di ratti e immondizia, che taglia la spesa sociale. Pentola a pressione pronta a saltare in aria, replica i disordini del 1967 di Newark e Detroit raccontati da Paul Auster (in 4 3 2 1) e nella Pastorale Americana di Philip Roth (trasposto nelle sale cinematografiche da Ewan McGregor), o le atmosfere del black-out di New York del 1977 rievocate ne L'ora del Lupo da Alistar Banks Griffin.


In alcuni drammi shakespeariani non siamo noi a entrare nel cuore dei personaggi, sono i personaggi a leggerci dentro. «Veniamo giudicati mentre tentiamo di giudicare», diceva in proposito Harold Bloom .
In parole povere, solo Joker (come Amleto) è reale; il resto è teatro, pubblico compreso. Più che una critica alla società, non ce n'è bisogno, è una presa d'atto che accentua inquietudine e rassegnazione, tanto quanto la risata amara, irrefrenabile, delirante e lucida, cui si aggiunge il sapore di una consapevolezza nuova e perversa.

Joker si sfila di dosso il velo di inadeguatezza e di tragico, reagendo in modo diverso da Gwynplaine e cucendosi addosso panni nuovi. «Non ho più niente da perdere. La mia vita è solamente una commedia».

Gwynplaine, considerando l'epilogo di Victor Hugo, pare risponda: «Non ho più niente da perdere. La mia vita è solamente una tragedia».
L'interpretazione di Joaquin Phoenix, che gli è valsa l'Oscar come miglior attore, mischia e fonde la tragedia di Arthur con la commedia di Joker creando un unicum nel suo genere: di fatto un mostro. Gli effetti non sono da poco se si considera che Arthur, per sbarcare il lunario, vorrebbe sfondare come comico. Ride ma non sa far ridere, non ha la consolazione dell'arte, la sua condizione lo ricaccia nella sua prigione.


Se ci si pensa bene, Woody Allen ride poco, invece, ma sa far ridere, dosando anch'egli, a suo modo, dramma e commedia. È con la regia di Allen che qualche anno fa Phoenix ha interpretato, in Irrational Man,  Abe Lucas: il quale – malato di disperazione – risorge a nuova vita scoprendo nell'azione irrazionale, assurda, qualcosa che lo elevi, lo giustifichi, fino a pronunciare battute come questa: «Avevo ragione a pensare che l’omicidio sarebbe stato un atto creativo».
Che stesse già allora (nel 2015) studiando per il personaggio di Joker?





Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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