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Recensione: Gli indifferenti, di Alberto Moravia

Recensione: Gli indifferenti, di Alberto Moravia

Libri Recensione di Davide Dotto. Gli indifferenti (Bompiani), il romanzo d'esordio di Alberto Moravia. Un’atmosfera pesante e di irriducibile contesa, lo strenuo tentativo di esorcizzare paure e insicurezze di un futuro che non promette granché di buono.

Gli indifferenti, anche se la città non è nominata, narra le vicende di una famiglia dell’alta borghesia romana degli anni Venti: di Mariagrazia Ardengo, i suoi figli (Michele e Carla), ai quali si aggiunge l'amante di lei (Leo Merumeci).
Uscito nell'estate del 1929, è il romanzo di esordio di Alberto Moravia, all'epoca poco più che ventenne.
Nel romanzo si respira un’atmosfera pesante e di irriducibile contesa che pone nel nulla ogni manifestazione d'affetto: indifferente, anche se in modo diverso, lo è un po' ciascuno. Tra tutti spicca Michele, soggiogato dall'incapacità di provare empatia e sentimenti. Una condizione, questa, che non ha nulla a che vedere con quella rimpianta da Montale, antidoto del "male di vivere" (da Ossi di seppia, 1925). Michele non appartiene a uno spirito libero dei suoi pesi. È un essere incompiuto, non più sguarnito di altri. Di certo non il più forte, non può permettersi di apparire fragile, specialmente davanti all'irruenza di Leo Merumeci, che da tredici anni frequenta la sua casa e sua madre.

Gli indifferenti di Alberto Moravia è la versione aggiornata dell'inetto, figura tipica del romanzo del primo Novecento.

Si pensi a La coscienza di Zeno (1923) e al Fu Mattia Pascal (1904).
Se agisce, Michele lo fa in base a un principio categorico superiore e invincibile, quando sente il dovere di “sdegnarsi”. Da cui reazioni spropositate – non condotte a termine – che contraddicono il suo stato, tanto da farlo somigliare al Tom di un romanzo di epoca vittoriana, Il Mulino sulla Floss.
Carla, la sorella, non si trova in una situazione diversa. È più invischiata, addentro alle cose e a relazioni interpersonali di cui farebbe volentieri a meno.
Mariagrazia (tutt’altro che una madre chioccia) cerca di colmare un vuoto, succube di forme, cerimonie, ansiosa di affrontare cambiamenti e di conservare le vestigia di un mondo che crolla da tutte le parti.
Chi emerge è Leo: indifferente alla sorte di Mariagrazia e di Carla, concentratissimo sul buon esito del suo affare: impossessarsi della villa Ardengo.

Francesco Maselli nel 1964 ne ha tratto un film con Thomas Miliam (Michele), Claudia Cardinale (Carla) e Rod Steiger (Leo). È invece del 2020 la trasposizione di Leonardo Guerra Serragnoli con Valeria Bruni Tedeschi, Vincenzo Crea, Beatrice Grannò e Giovanna Mezzogiorno – disponibile su Prime Video per il noleggio.

Nell'insieme, romanzo e trasposizioni si muovono tra il vortice degli anni Venti-Trenta, degli anni Sessanta e i nostri anni Venti.
In ogni caso, ci si immerge nello strenuo tentativo di esorcizzare paure e insicurezze di un futuro che non promette granché di buono.
Su tutto vince la trepidazione di restare a galla con machiavellica tenacia. Il discrimine è capire chi abbia le energie e la giusta spregiudicatezza per riuscirci.
Tra delirio di ricchezza, voglia di approfittarne, la frenesia che sottrae le menti a loro stesse è la medesima. Come i meccanismi che alimentano il mercato speculativo (Wall Street insegna): per essere qualcuno non è sufficiente il nome, occorre muoversi in sintonia di tempi destinati a perpetuarsi.

Il Grande Gastsby di Scott Fitzgerald (pubblicato negli Stati Uniti nel 1925 e in Italia nel 1936) è dietro l'angolo, come la tentazione di costruire una qualche similitudine tra questi e Leo.

Per il resto non vi è nemmeno uno scontro generazionale: i figli appaiono tali e quali i loro padri. Di diverso rispetto i romanzi dell'Ottocento c'è una famiglia sempre meno ostrica. I rapporti umani soccombono a inauditi ingranaggi, all'interesse e al calcolo, alla logica affaristica da diritto commerciale.
La denuncia è più radicale perché il male ha incancrenito l'unico rifugio, condannando il singolo a un'esistenza insopportabile e a nessuna via di fuga.
Ciascuno respira, alla fine, una tossicità di fondo che è causa del malessere.
Chi vince è il nuovo che avanza, più spregiudicato, esperto nell'arte di divorare per non essere divorato. È un'altra "indifferenza" che si fa strada, quella di chi non ha occhi che per se stesso e per le proprie tasche. In un mondo così fatto, le tragedie degli altri non riguardano più nessuno. Almeno fintanto che non se ne venga travolti.


Gli indifferenti

di Alberto Moravia
Bompiani
Narrativa
ISBN: 9788845281471
Cartaceo 11,90€
Ebook 8,99€

Sinossi 

Quando Alberto Moravia cominciò a scrivere questo capolavoro, nel 1925, non aveva ancora compiuto diciott’anni. Intorno a lui l’Italia, alla quale Mussolini aveva imposto la dittatura, stava dimenticando lo scoppio d’indignazione e di ribellione suscitato nel 1924 dal delitto Matteotti e scivolava verso il consenso e i plebisciti per il fascismo. Il giovane Moravia non si interessava di politica, ma il ritratto che fece di un ventenne di allora coinvolto nello sfacelo di una famiglia borghese e dell’intero Paese doveva restare memorabile. Il fascismo eleva l’insidia moderna dell’indifferenza a condizione esistenziale assoluta.

Davide Dotto


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