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Speciale The week: l'Africa orientale

Speciale The week: l'Africa orientale

The week Di Argyros Singh. Uno speciale sugli eventi che hanno segnato la geopolitica e l'attualità africana nell'estate 2022: focus su Sudan, Etiopia, Somalia, Kenya e Mozambico.

Il continente africano è tornato al centro del dibattito non solo mediterraneo, ma internazionale: vi si intrecciano interessi statunitensi, cinesi e russi, ma anche arabi, indiani ed europei. Il pericolo concreto di una nuova “spartizione dell’Africa” minaccia gli interessi dei popoli che la abitano, già colpiti da gravi problemi ambientali (desertificazione, siccità), economici (depauperamento del suolo, caccia alle risorse) e sociali (terrorismo, conflitto etnico).

  1. Il conflitto interno in Sudan e la guerra civile in Sud Sudan
  2. La crisi umanitaria in Etiopia e nel Tigrai
  3. Somalia: terrorismo islamico, invasione delle locuste, siccità e inondazioni
  4. Kenya: elezioni e controllo di Cina e USA
  5. Insoddisfazione dei cittadini e lotta al terrorismo in Mozambico


1. Nel 2019, in Sudan una rivoluzione popolare ha deposto l’autarca Omar Hassan al-Bashir, che aveva conquistato il potere con un golpe nel 1989.

La popolazione, provata dall’inflazione e dalla scarsità di beni essenziali, aveva organizzato sit-in pacifici, a cui spesso il governo aveva risposto con atti di violenza. Il 3 giugno 2019 è stato uno dei giorni più duri, con la polizia che ha sparato ai manifestanti disarmati, gettando poi i corpi nel Nilo. A luglio, il Consiglio militare di transizione (CMT) e le Forze per la Libertà e il Cambiamento (FLC) avevano trovato un accordo, prevedendo una transizione pacifica entro tre anni, con un governo tecnocratico di civili e militari. L’obiettivo era permettere elezioni democratiche, ma nell’autunno 2021 la componente militare ha esteso il suo potere e sta provando ora a riportare lo status quo al periodo di al-Bashir.

Questa estate, un’indagine della CNN, che testimoniava il saccheggio dell’oro da parte della Russia, ha portato i sudanesi a manifestare nella capitale Khartoum, chiedendo la caduta dei militari al governo, che gestiscono l’economia e la sicurezza.

L’indagine mostra come la Russia abbia non solo aggirato una parte delle sanzioni occidentali, ma abbia anche scavalcato lo Stato sudanese, incamerando quantità d’oro senza che il governo ricevesse alcun beneficio per il Paese.
Altro elemento di crisi riguarda le cellule jihadiste. In passato, il Sudan è stato rifugio per importanti terroristi come Osama bin Laden. Molti islamisti radicali, di Paesi diversi, si sono formati all’Università internazionale dell’Africa, a Khartoum, evoluzione del Centro islamico africano fondato nel 1977. A finanziarlo, l’Arabia Saudita e altri Stati del Golfo persico, per promuovere una visione salafita dell’Islam.

Il conflitto interno rimane accesso anche nelle regioni del Darfur, del Nilo Azzurro e delle montagne di Nuba.

In Darfur si contano oltre quattrocentomila morti e quasi tre milioni di persone in fuga. Non mancano poi le rappresaglie delle Forze di Supporto Rapido (FSR), gruppo paramilitare voluto da al-Bashir e controllato dal generale Mohamed Hamdan Dangalo, chiamato Hemeti. L’FSR ha contribuito in realtà alla caduta del regime, con Hemeti interessato a mostrarsi quale figura forte del potere, anche grazie ai finanziamenti ricevuti dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita.
Il Sudan – come entità statale – mantiene invece rapporti stretti con la Cina, a cui ha concesso infrastrutture per l’estrazione del petrolio. Il greggio rappresenta infatti la principale materia di esportazione: prima della separazione del Sud Sudan (a maggioranza cristiano, rispetto al nord mussulmano), l’esportazione rappresentava l’80% dell’export.
Oltre al delicato confine con il Sud Sudan, desta preoccupazione anche il fronte orientale: l’Etiopia sta costruendo la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), una colossale diga che potrebbe creare rischi per l’approvvigionamento di acqua. L’Etiopia sta consolidando le relazioni con l’Eritrea, mentre il Sudan guarda all’Egitto, con il quale ha già svolto esercitazioni militari tra maggio e giugno del 2021. Sembra dunque che si stiano predisponendo le alleanze per un possibile conflitto.

Il Sud Sudan è nato nel 2011, dopo una guerra durata un cinquantennio.

È però caduto presto in una nuova guerra civile, da cui non è ancora uscito. A contrapporsi due esponenti dell’ex movimento ribelle Sudan People’s Liberation Movement (SPLM), oggi al governo, ovvero il presidente Salva Kiir e Riek Machar.
La comunità internazionale sta cercando di costruire un accordo basato sulla condivisione del potere, legata soprattutto al controllo dei siti di estrazione. Nel 2020, è stato creato un governo transitorio di unità nazionale; l’anno seguente è stato riaperto il parlamento. La tensione rimane alta, perché non tutti sono favorevoli all’accordo e un gran numero di popolazione civile risulta ancora armata. Questo provoca continui regolamenti di conto e prevaricazioni per ottenere i beni primari. Per arginare il problema, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a maggio 2022, ha prolungato le sanzioni e l’embargo sulle armi. Questo dovrebbe perlomeno allontanare il pericolo di una nuova guerra di lunga durata.

2. L’Etiopia ha controllato il territorio del Tigrai fino a giugno 2021, quando le forze di difesa tigrine hanno preso il controllo.

In merito all’Etiopia e alla guerra del Tigrai, rimando al The Week del 27 giugno – 3 luglio 2022. Qui aggiungo alcuni elementi.
Il Fronte Popolare per la Liberazione del Tigray (TPLF) ha avuto un ruolo centrale nella politica etiope, pur rappresentando una minoranza etnica (7% della popolazione). A seguito di una protesta popolare, nel 2018 è stato nominato primo ministro Abiy Ahmed Ali, di etnia oromo (40% della popolazione). Egli ha rimosso dal governo alcuni leader tigrini accusati di corruzione e ha posto fine alle dispute territoriali con l’Eritrea, ottenendo per questo il Premio Nobel per la pace, nel 2019. Premio forse dato con troppa leggerezza, viste le accuse di crimini contro i civili rivolte alle milizie filogovernative nel Tigrai. A loro volta, le milizie tigrine hanno perpetrato violenze nelle regioni di Amhara e Afar.

La crisi umanitaria in queste regioni è molto grave.

In Tigrai, il sistema sanitario è al collasso e il governo federale etiope ha sospeso l’accesso alle ONG. Le milizie del TPLF stanno comunque conquistando posizioni, come Dessie e Kombolcha, centri importanti sulla strada per Addis Abeba. Strategica l’alleanza di agosto con l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA), che punta all’indipendenza dell’Oromia, la regione etiope più densamente popolata. Il primo ministro ha così invitato la popolazione a difendere in massa il Paese, nella preoccupazione che le milizie possano raggiungere la capitale. Il portavoce del TPLF, Getachew Reda, ha detto che l’obiettivo è di rompere l’assedio del Tigrai, ma non esclude del tutto una marcia verso Addis Abeba. Si configura anche la possibilità di una guerra della milizia contro l’Eritrea, che supporta il premier, per la creazione di un Grande Tigrai. La situazione rimane in divenire.

3. La Somalia è devastata dal terrorismo islamico, dall’invasione delle locuste, da periodi di siccità alternati a inondazioni.

Tra i gruppi terroristici più pericolosi c’è al-Shabab, in grado di compiere attentati terroristici anche nella capitale, Mogadiscio. Legato da sempre al al-Qaeda, di recente una parte minoritaria del gruppo si è scissa per unirsi allo Stato Islamico. Una missione dell’Unione Africana, chiamata Amisom, è riuscita comunque a indebolire i gruppi terroristici, rintanati nelle zone rurali.
Le violenze di questa guerra colpiscono in modo particolare bambini e ragazzi. Virginia Gamba, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, ha parlato di uccisioni, rapimenti, mutilazioni e stupri. Il fenomeno dei bambini-soldato è qui molto diffuso, con oltre duemilaottocento ragazzi arruolati, alcuni di appena dieci anni. Nella gran parte dei casi, l’arruolamento è forzato da al-Shabab, ma anche favorito dalle famiglie stesse. Tra loro, anche le bambine, costrette a lavorare in cucina e a fare le pulizie, per poi finire sposate ai miliziani. Nemmeno le forze governative sono esenti dal fenomeno: i bambini vengono usati come guardie del corpo o posti come presidio ai check point.

Nei rapporti con la prospiciente Penisola arabica, il presidente somalo Farmajo ha cercato di mantenere la neutralità nel conflitto in Yemen, che vede opposti gli Emirati Arabi Uniti al Qatar e all’Arabia Saudita.

Il consenso al presidente è però ristretto e nell’aprile 2021 si sono tenute proteste a Mogadiscio per l’approvazione parlamentare della proroga di due anni del mandato presidenziale.
Riguardo alle mire di potenze esterne, nel 2020 la Somalia è stata oggetto di interesse della Turchia, con la quale ha sottoscritto accordi militari per l’addestramento delle truppe somale e per un aumento degli investimenti: in cambio, la Turchia ha ottenuto la gestione del porto di Mogadiscio per quattordici anni.

4. Il Kenya è divenuto terra di confronto tra Cina e Stati Uniti.

L’autorità per le comunicazioni keniota ha siglato a giugno un memorandum d’intesa con Huawei, seguito da un altro memorandum firmato con il Dipartimento del Commercio statunitense, che mira a promuovere l’inclusione digitale e la protezione dei consumatori in rete. Le due potenze hanno posto le basi per un confronto sul dominio tecnologico del Kenya attraverso il 5G, l’intelligenza artificiale e la sicurezza informatica.

Ad agosto si sono inoltre tenute le elezioni presidenziali, in un testa a testa che ha portato alla vittoria di William Ruto sull’avversario Raila Odinga, storico leader dell’opposizione.

Quest’ultimo ha deciso di appellarsi al Tribunale Supremo per presunti brogli o errori nel conteggio delle schede elettorali. Non sono mancate le proteste in alcune città. Ruto è cresciuto in un piccolo villaggio, in povertà, per poi diventare uno dei più ricchi produttori di mais del Paese. Su di lui pesava l’accusa della Corte Criminale Internazionale di aver incitato le violenze che, nel 2007, provocarono circa milleduecento morti e oltre mezzo milione di sfollati.
Una novità è data dal fatto che i due contendenti non appartengano al gruppo etnico dominante, i Kikuyu. Odinga è un membro dei Luo e si è candidato per la quarta volta, non riuscendo però a ottenere quella che sarebbe stata la prima presidenza dei Luo dall’indipendenza del 1963. È importante ora che la democrazia del Kenya regga al post-voto, confermando la sua tenuta, nonostante brevi parentesi di violenza, rispetto agli altri vicini dell’Africa orientale.

5. Il governo del Mozambico ha attuato un controllo capillare sulle principali città, come Maputo e Beira, per il timore di manifestazioni popolari.

Una prima ondata di proteste ha riguardato i trasportatori privati dei mezzi semi-pubblici (chiamati chapa), che a Maputo hanno chiesto misure di sostegno per il loro settore.
Alla loro manifestazione è seguita una più generale, di cittadini comuni, che hanno alzato le barricate nelle principali arterie della città. Sgombrati dalla polizia, proseguono la loro lotta, dopo oltre un decennio di relativa quiete. Al centro, l’aumento dei prezzi e la corruzione cronica della pubblica amministrazione. Non trovando appoggio nei sindacati, adagiati su posizioni filogovernative, i manifestanti hanno attuato la strategia del boicottaggio e gli autisti di chapa hanno dichiarato lo sciopero generale.

Tra il 4 e il 6 luglio, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, è stato in visita in Mozambico, per poi proseguire in Zambia.

Le manifestazioni erano già tenute sotto stretto controllo dalle autorità.
I rapporti con Mogadiscio sono molto cordiali, implementati nel 2019 dagli aiuti italiani seguiti al passaggio dei cicloni Idai e Kenneth.
L’Italia era stata centrale nella mediazione che aveva portato agli accordi di pace di Roma, nel 1992, tra il Fronte di Liberazione del Mozambico e la Resistenza Nazionale Mozambicana, che avevano scatenato una guerra civile.
Nell’incontro di luglio è stato siglato con il presidente Filipe Jacinto Nyusi un accordo triennale di cooperazione allo sviluppo. Mattarella ha poi visitato alcune realtà italiane che operano in Mozambico: il Paese è il terzo importatore per l’Italia nell’Africa sub-sahariana. Vi operano ENI, Saipem, Bonatti, etc.: proprio dall’impianto di Coral Sul, gestito da ENI, proverrà il gas naturale liquefatto che servirà a coprire la riduzione del gas russo. E sul tema del neocolonialismo, Mattarella ha affermato che non esistano più le zone di influenza delle grandi potenze, perché il mondo è interconnesso: più che una realtà, un auspicio, che varrebbe la pena ascoltare.
In conclusione, il Mozambico è scosso dall’insoddisfazione interna dei cittadini e, nella parte settentrionale, da una storica lotta al terrorismo e al gruppo al-Shabab. Come di consueto, al centro c’è l’interesse delle parti per il controllo delle risorse naturali. Il Paese conta sull’aiuto militare del Rwanda e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), che hanno arginato la ribellione islamica. Al momento gli scontri sono diminuiti rispetto al passato, ma continuano le imboscate. Il pericolo reale è che il conflitto possa estendersi a tutto il nord del Paese. Sul Sudan – atlanteguerre.it, ispionline.it, nigrizia.it e nigrizia.it | Sull’Etiopia – saluteinternazionale.info, ispionline.it e affaritaliani.it | Sulla Somalia – atlanteguerre.it, africa-express.info e africarivista.it | Sul Kenya – ansa.it, ispionline.it e ispionline.it | Sul Mozambico – nigrizia.it, nigrizia.it, ilsole24ore.com e agi.it

Reportage: L'estate africana



Argyros Singh


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