The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 27 giugno e il 3 luglio? Il G7 in Baviera, il vertice NATO a Madrid, la situazione politica in Sud America e gli scontri in Etiopia.
In questo incontro settimanale trova ampio spazio la situazione internazionale, dato che sono occorsi diversi fatti. Parlo non solo dell’incontro dei G7, che si è tenuto in Baviera (26 – 28 giugno) e del vertice NATO di Madrid (29 – 30 giugno), ma anche dello scenario sudamericano, con i casi di Colombia ed Ecuador, e africano, con un focus sull’Etiopia.G7 e vertice NATO.
L’incontro dei G7 si è tenuto a Elmau, in Baviera. Oltre a rinnovare il sostegno all’Ucraina, si è discusso riguardo agli investimenti nei Paesi in via di sviluppo, in parallelo all’indebolimento della Russia sul piano energetico.
Per supportare l’economia ucraina, sono stati stanziati 29,5 miliardi di dollari; contro la Russia, i leader hanno sancito nuove sanzioni, che includono l’esportazione dell’oro. Su pressione del governo italiano, la quota UE dei sette Paesi ha convinto gli Stati Uniti ad adottare un tetto al prezzo del gas (price cap), con l’obiettivo di tutelare aziende e consumatori, riducendo i guadagni di Mosca. Ricordo che a causa delle sanzioni, la Russia è finita in default tecnico, evento che non accadeva dal 1918: in sostanza, avrebbe i soldi per pagare, ma il sistema di sanzioni non le permette di farlo, rendendola inadempiente.
Gli Stati membri hanno poi preso impegni per 600 miliardi di dollari da investire in progetti infrastrutturali sostenibili nei Paesi in via di sviluppo, entro il 2027.
Si tratta di una cifra che deriva da risorse che, in gran parte, erano già state previste e che sono state ora riorganizzate in un progetto complessivo, la Partnership for Global Infrastructure. La misura mira a contrastare l’espansionismo cinese in Africa, e non solo, a fronte di investimenti cinesi superiori ai 1000 miliardi di dollari nel contesto della BRI.
Come ricorda ISPI, il G7 dovrebbe includere le prime economie del mondo in base al PIL, dato che escluderebbe l’Italia e consentirebbe l’accesso a Cina e India: di fatto, il consesso è diventato espressione delle maggiori democrazie occidentali, ora interessate giocoforza ad aprirsi ai Paesi del G20. Non è dunque un caso che abbiano partecipato democrazie emergenti quali Argentina, India e Sudafrica. Paesi che hanno approfittato proprio delle svendite sul petrolio russo. Sull’incontro dei G7 – ispionline.it, ispo.campaign-view.eu e ispo.campaign-view.euIl vertice NATO, tenutosi a Madrid, ha previsto i seguenti temi: la discussione sull’ingresso di Finlandia e Svezia; l’aumento delle spese per la difesa e il coordinamento tra Stati europei.
E un nuovo orientamento dell’alleanza per il prossimo decennio, con lo Strategic Concept rivolto alle sfide poste dalla minaccia russa e dalla crescita cinese. Se tale documento, nel 2010, attestava la bassa minaccia di un attacco convenzionale su territorio NATO, oggi le cose sono cambiate. I punti sanciti sono i seguenti: aumento della forza di intervento rapido da quarantamila a trecentomila uomini (entro il 2023); creazione della prima base americana permanente sul fronte orientale; ingresso di Svezia e Finlandia; adozione di un nuovo “Concetto Strategico”. Come per il G7, anche al vertice spagnolo hanno partecipato, per la prima volta, partner esterni all’alleanza, tra cui Australia, Giappone, Tunisia, ribadendo la volontà strategica di contrastare la Cina nel Mediterraneo e in Africa, con particolare attenzione al Sahel.
In merito alla questione di Svezia e Finlandia, la Turchia, che ne ostacolava l’ingresso, ha ottenuto il compromesso sperato.
Ovvero la fine del sostegno dei due Stati agli indipendentisti curdi e la cancellazione dell’embargo sulle esportazioni di armi, imposto ad Ankara nel 2019, a seguito dell’intervento turco nel nord della Siria.
In Svezia, la diaspora curda conta circa centomila persone e il ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag, ha già fato sapere che rinnoverà la richiesta di estradizione di trentatré membri del partito curdo PKK e di altri affiliati al movimento Fetö.
Secondo il presidente Joe Biden: «Putin voleva la “finlandizzazione” dell’Europa; ha ottenuto la “natificazione” di Finlandia e Svezia». Vero, ma è costata comunque cara. Sul vertice NATO – ispionline.it, ispo.campaign-view.eu, ispionline.it e ispionline.it
Il Sud America.
Due settimane fa la Colombia ha eletto il suo nuovo presidente, Gustavo Petro, primo leader della sinistra a governare il Paese, insieme a Francia Márquez, divenuta la prima vicepresidente nera in Colombia.
Petro ha ottenuto il 50,5% dei voti al ballottaggio del secondo turno, battendo il milionario Rodolfo Hernández, candidato indipendente che aveva puntato sulla lotta alla corruzione. Probabilmente Petro è sembrato più convincente: quando aveva solo diciassette anni, aveva aderito al gruppo ribelle M-19, istituito nel 1970 come risposta alle presunte frodi nelle elezioni. Nel 1985, il gruppo aveva assediato il Palazzo di Giustizia di Bogotá, con l’intenzione di processare il presidente di allora: lo scontro conseguente con i militari portò a quasi cento morti. Petro era finito in carcere per un anno, denunciando torture.
Rilasciato, aveva avviato una carriera politica, secondo canali legali, diventando anche sindaco della capitale colombiana.
Al terzo tentativo, è infine stato eletto presidente, segnando uno storico allontanamento di una larga parte degli elettori dall’establishment conservatore. Per mantenere le sue promesse, Petro dovrà lottare contro le disuguaglianze, soprattutto di ordine economico; introdurre l’istruzione universitaria gratuita; combattere il narcotraffico, sostituendo le colture di coca con altre piantagioni. Infine, la scommessa più difficile consiste nel voler ridurre l’impiego di combustibili fossili, considerando che per il governo colombiano il petrolio è la principale fonte di entrate. Su questo punto, la vicepresidente Márquez era già nota come attivista ambientale, avendo lottato contro l’estrazione illegale dell’oro nella comunità di La Toma, dove era cresciuta. I due politici possono ora contare su numerosi elettori e sostenitori, ma il confronto con il congresso e gli imprenditori si preannuncia tutto in salita. Sulle elezioni colombiane – bbc.comStoria ancora più complicata quella dell’Ecuador. Dal 13 giugno, numerose proteste antigovernative si sono diffuse nel Paese, avviate dalla Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (CONAIE), fondata nel 1986.
I disordini hanno portato all’occupazione di campi petroliferi e ad altre azioni collegate al settore. Così la compagnia petrolifera statale Petroecuador si è aggrappata a una clausola di contratto per affermare che non avrebbe rispettato le forniture ai suoi clienti a causa dei blocchi alla circolazione e alle infrastrutture.
La protesta è rivolta al governo neoliberista di Guillermo Lasso, il quale ha definito “vandali” i manifestanti. In risposta, le organizzazioni indigene hanno accusato il presidente di “criminalizzare la protesta sociale”. La motivazione del loro agire risiede nell’aumento del costo della vita, a partire dal prezzo del carburante. Questa è però solo l’ultima goccia di un problema sistemico, caratterizzato da disoccupazione e povertà croniche; inefficienza del sistema sanitario, corruzione e inflazione.
Gli scontri hanno portato per ora ad almeno due vittime e a centinaia di feriti, concentrati nella capitale Quito.
Un altro centro, Puyo, che conta circa settantamila abitanti, risulta sotto il controllo dei protestanti. Le manifestazioni, nate in forma pacifica, sono ormai degenerate in un più vasto scontro interno, in cui gli indigeni, che costituiscono circa il 25% della popolazione, hanno un forte peso nell’avanzare rivendicazioni socio-economiche. Alla loro guida si trova Leónidas Iza, che aveva richiesto una serie di interventi al governo, riferiti a tutta la popolazione: il presidente Lasso aveva aperto ad alcune misure, tra cui l’aumento della spesa pubblica per l’istruzione e lo stop all’aumento del prezzo di gas e carburanti, ma sono state ritenute insufficienti. Sulla situazione ecuadoriana – ansa.it, it.euronews.com e ilpost.it
La situazione in Etiopia.
Anche nel continente africano ci sono fibrillazioni di un certo rilievo. Dopo aver parlato della Nigeria nelle scorse settimane, vale la pena fare un rapido focus sull’Etiopia.Mentre un paio di settimane fa si teneva il forum economico dei BRICS, ad Addis Abeba si svolgeva una conferenza sulla pace nel Corno d’Africa, sponsorizzata dalla Cina, che in quell’area ha lanciato un piano di aiuti come risposta alla guerra civile etiope. Uno di quegli avanzamenti in territorio africano di cui ho parlato nel punto del G7.
Dal 2020, l’Etiopia ha conosciuto tensioni etniche in diverse aree, tra cui le regioni di Tigrai, Amhara e Afar, dovute in genere a pretese storiche.
In particolare, il popolo Amhara – secondo gruppo etnico del Paese – è stato aggredito di frequente in regioni come Oromia, a opera dell’Esercito di liberazione dell’Oromo (OLA). Ha così chiesto di potersi spostare in una zona più sicura, ma per ora il governo non sta agendo. Gli scontri, sfociati in migliaia di uccisioni, sono ripresi in questi mesi, dopo un cessate il fuoco stabilito a marzo dal governo federale.Interi villaggi degli Amhara sono stati depredati da quelli che il primo ministro Abiy Ahmed definisce “terroristi”.
Ma la portavoce dell’OLA, Odaa Tarbii, rimanda le accuse al mittente, incolpando lo stesso governo di queste aggressioni. Il fatto è che gli Amhara, dopo aver subìto vere e proprie stragi, vengono privati dei mezzi di sussistenza e i sopravvissuti sono costretti a fuggire.Quarta economia subsahariana, con più di centoquindici milioni di abitanti, l’Etiopia è il secondo Paese africano più popolato, secondo proprio alla Nigeria. Una guerra civile aprirebbe ferite doppiamente dolorose. E pericolose, dato che al confine con il Sudan sono già scoppiati alcuni scontri.
Nelle ultime due settimane ho raccontato diverse crisi di governo, dal continente europeo a quello africano, dal Medio Oriente alle Americhe.
È facile ricondurre tutto alla situazione globale, con le conseguenze della guerra economica ed energetica e con il tema dei cambiamenti climatici. Se è vero che esiste un certo grado di comunanza, non bisogna dimenticare la peculiarità di ogni Paese e delle sue istituzioni politiche.Su questo punto, consiglio la lettura di un libro di Vittorio Mete, Antipolitica. Protagonisti e forme di un’ostilità diffusa (Il Mulino, 2022). L’Autore definisce l’antipolitica come una delle dimensioni del populismo, che ha sostituito la partitocrazia e pervade tutti i gruppi sociali. Essa interpreta l’attività politica come uno spazio oscuro, chiuso, in cui si decidono loschi affari.
La politica democratica non è esente dal fenomeno, anzi.
Dopo una crescita del numero di Paesi democratici nel mondo, passata dal 25% del 1975 al 50% del 2000, c’è stato un arresto.
I fattori sono molteplici e i più importanti vengono affrontati in questo saggio: tra questi, emerge la necessità di una riqualificazione morale da parte di chi svolge un ruolo politico e istituzionale. D’altra parte, anche i cittadini e i media sono chiamati a intervenire e a far parlare anche quanto, nel processo politico, risulti noioso o complesso, come ad esempio la formazione dei dossier parlamentari. In fondo, è in quella delicata costruzione che risiede il segreto del bene comune. Sulla situazione etiope – aljazeera.com, aljazeera.com e ispionline.itArgyros Singh |
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