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The week: focus sugli eventi tra il 2 e il 15 gennaio

The week: focus sugli eventi tra il  2 e il 15 gennaio

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 2 e il 15 gennaio? La nomina dello speaker della Camera e i documenti secretati di Joe Biden, i contagi e la riapertura della Cina, le tensioni in Brasile e Perù.

In questo The Week, un focus sulla politica statunitense, con la nomina dello speaker della Camera e la polemica sui documenti secretati trovati negli uffici del presidente Joe Biden, dopo l’analogo scandalo che aveva coinvolto Donald Trump. Passo poi alla situazione cinese dopo le riaperture decise dal partito a seguito delle proteste della popolazione. Infine, torno sull’instabilità politica in Perù e in Brasile, con gli ultimi aggiornamenti.



Politica Usa: lo speaker della Camera e i documenti secretati

  1. La maggioranza repubblicana al Congresso statunitense (222 seggi su 435) ha votato per la nomina a speaker della Camera di Kevin McCarthy.

    Per giorni, però, l’ala trumpiana non ha permesso a McCarthy di essere eletto e, in un primo tempo, nemmeno le indicazioni di Donald Trump erano servite a convincere i suoi deputati. Ci sono volute ben quindici votazioni per arrivare alla nomina.
    D’altra parte, il cinquantasettenne McCarthy era stato critico nei confronti di Trump all’indomani dell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. I due si erano poi riavvicinati, con un patto siglato in questi giorni: la nomina in cambio della concessione delle presidenze nelle commissioni chiave al Congresso, riservate ai trumpiani. Il risultato è che McCarthy, pur essendo una figura di alto profilo politico, non avrà grandi poteri, assediato tanto dall’ala oltranzista quanto dai repubblicani moderati. Sullo sfondo, i democratici osservano il conflitto interno al Gop.

  2. Da pochi giorni è stata resa nota la scoperta, avvenuta a novembre 2022, di una serie di documenti classificati tenuti al Penn Biden Center, presso un centro studi a Washington.

    Risalgono al tempo in cui Biden era vicepresidente di Barack Obama. A queste prime carte se ne sono aggiunte altre in queste settimane, conservate nella sua residenza privata a Wilmington, Delaware, e notificate dai suoi stessi avvocati.
    La legge statunitense stabilisce che i documenti classificati degli ex presidenti siano consegnati all’Archivio Nazionale al termine del mandato. Il procuratore generale Merrick Garland ha nominato un consulente speciale, Robert K. Hur, per chiarire la vicenda. Garland è stato nominato da Biden, ma, per evitare un conflitto di interessi, Hur è stato scelto in quanto indicato a suo tempo da Trump. A proposito di similitudini, guardiamo ai numeri: Trump aveva sottratto oltre cento documenti; Biden una decina. Il primo si era rifiutato di consegnarli, provocando l’irruzione dell’Fbi nella sua residenza; il secondo ha sùbito scelto di collaborare, cercando di dimostrare l’errore in buona fede.

Sulla nomina – cnn.com e corriere.it | Sui documenti secretati – washingtonpost.com e ispionline.it

Cina: Covid e porte aperte

L’Ipcr (il meccanismo integrato europeo di risposta alle crisi) ha incoraggiato gli Stati dell’Ue a introdurre l’obbligo di un test covid-19 entro le quarantotto ore per chi parte dalla Cina. L’intesa, che non è altro che una raccomandazione, è giunta dopo un dibattito tra istituzioni europee e cinesi: mentre l’Ue discuteva sulle possibili restrizioni, la Cina aveva minacciato “contromisure”, lamentando discriminazioni e ragioni politiche dietro la decisione.
Curioso però che Pechino abbia rifiutato l’offerta europea di fornire gratuitamente vaccini alla Cina e una collaborazione per la gestione della salute pubblica. La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha affermato che la Cina sia dotata di sufficienti vaccini, vantando la produzione più estesa al mondo, con una capacità di produzione annuale di oltre sette miliardi di dosi. La campagna di vaccinazione cinese rimane comunque indietro rispetto alle necessità e si basa sui vaccini Sinovac e Sinopharm, che non utilizzano la tecnologia mRNA.

Le rassicurazioni cinesi sul contenimento non convincono il resto del mondo.

Dall’inizio di dicembre, Pechino certifica soltanto una ventina di decessi per Covid, ma solo a Shanghai le stime parlano del 70% di contagiati, in una popolazione con un basso tasso di vaccinazione, che fa supporre un numero di morti ben maggiore. Molte voci interne alla Cina, anche di comuni cittadini, raccontano situazioni al limite negli ospedali. Osservatori esterni, come la società britannica di dati sanitari Airfinity, stimano oltre quattordicimila morti al giorno. Ufficialmente, dall’inizio della pandemia la Cina ha riportato soltanto 5.272 decessi per Covid, uno dei tassi di morte per infezione più bassi al mondo.
A pochi giorni dal capodanno lunare cinese, il 22 gennaio, la situazione diviene più allarmante, perché la tradizione prevede l’inizio di un periodo di circa quaranta giorni in cui i cinesi si spostano nel Paese per andare in vacanza o per tornare dai familiari. Tra partenze e ritorni via treno, si stima uno spostamento di circa due miliardi di passeggeri, che potrebbero alimentare nuove ondate di contagi.
Sulla riapertura cinese – rainews.it, ispionline.it e ansa.it

Tensioni in Brasile e in Perù

  1. A Brasilia, i sostenitori di Bolsonaro hanno assaltato il Palácio do Planalto, sede della presidenza della Repubblica, la Corte suprema e gli edifici del Congresso, dopo aver bloccato strade federali e autostrade in quattro Stati.

    Dopo ore di caos, la polizia ha ripreso il controllo degli edifici occupati, arrestando centinaia di persone. I bolsonaristi hanno distrutto mobili, finestre e opere d’arte e hanno rubato la Costituzione originale del 1988.
    Il giudice della Corte Suprema Federale, Alexandre de Moraes, ha ordinato la rimozione del governatore del Distretto federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, per novanta giorni, con l’accusa di «condotta ingannevolmente omissiva.»
    Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha firmato il decreto con cui stabilisce gli arresti di milleduecento persone che avevano assediato il quartier generale dell’esercito, a Brasilia, da oltre due mesi. Lula ha parlato di un attacco «vandalo e fascista» contro le istituzioni democratiche; i titolari dei tre poteri dello Stato hanno affermato, in una nota congiunta, il rifiuto degli atti terroristici praticati a Brasilia, aggiungendo: «Chiediamo alla società di mantenere la serenità, in difesa della pace e della democrazia nella nostra patria.»

    Il predecessore, Jair Bolsonaro, ha respinto le accuse della sinistra e ha condannato a sua volta l’accaduto.

    Il primo gennaio, due giorni prima dell’inaugurazione del mandato presidenziale di Lula, Bolsonaro si era stabilito a Orlando, Florida, e suo figlio Eduardo si era incontrato più volte con Donald Trump. L’ex presidente brasiliano era stato poi ricoverato per forti dolori addominali, di cui soffre dall’accoltellamento subìto nel 2018.
    Secondo Rafael Ioris, docente dell’Università di Denver ed esperto di politica brasiliana, dietro alle proteste ci sarebbero finanziatori tra le fila dei grandi proprietari terrieri e dei gruppi imprenditoriali, che avrebbero contribuito al pagamento dei pullman carichi di bolsonaristi. I manifestanti contavano che la polizia militare si schierasse con loro, sulla scia di altri episodi analoghi nella storia brasiliana, come l’ultimo colpo di stato militare del 1964.

    Durante la sua presidenza, Bolsonaro, da militare in congedo, aveva nominato diversi generali in posizioni chiave al governo e aveva introdotto nella pubblica amministrazione circa seimila militari attivi.

    A quanto pare, questa influenza non è bastata a convincere la maggior parte dell’esercito a insorgere contro il governo.
    Nei giorni seguiti all’assalto, migliaia di persone sono scese in piazza in molte città brasiliane, in nome della democrazia e chiedendo l’arresto di Bolsonaro. I raduni più grandi si sono svolti a San Paolo e a Rio de Janeiro. Al momento, il Brasile non ha incriminato l’ex presidente ed è incerto se, a quel punto, gli Stati Uniti procederanno all’estradizione.

  2. Nello scorso The Week, ho parlato del tentativo del presidente peruviano uscente, Pedro Castillo, di sciogliere il parlamento.

    Arrestato con l’accusa di aver sovvertito l’ordine costituzionale, il potere era passato alla vicepresidente Dina Boluarte, scatenando una significativa ondata di proteste.
    In queste settimane, gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono proseguiti e cresciuti di intensità, con circa una cinquantina di morti. Conflitti significativi sono avvenuti a Cusco, capoluogo dell’omonima provincia, nota meta turistica. Gli agenti hanno respinto l’assalto dei rivoltosi, che puntavano all’aeroporto internazionale. Altre diciassette persone sono morte nel sudest del Paese e decine sono rimaste ferite nella città di Juliaca.

    La ferocia degli scontri ha portato la Procura generale ad avviare un’indagine preliminare sull’operato delle principali figure governative, con l’ipotesi dei reati di genocidio, omicidio colposo e lesioni gravi.

    Tra i sostenitori di Castillo ci sono molti campesinos e indigeni delle classi economiche più disagiate, a cui l’ex presidente, dal carcere, ha risposto facendo sapere che «coloro che difendono il Perù dalla dittatura golpista non saranno mai dimenticati». Outsider della politica, era stato eletto nel 2021, ma non era riuscito ad avviare la svolta riformatrice che aveva promesso durante la campagna elettorale. In poco più di un anno, Castillo aveva nominato cinque diversi esecutivi, incapaci di governare in un parlamento troppo frammentato.

Sul caos brasiliano – ansa.it e usatoday.com | Sul Perù – theguardian.com e ispionline.it

Argyros Singh


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