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Compensazione delle emissioni di CO2: funziona davvero o è una truffa?

Compensazione delle emissioni di CO2: funziona davvero o è una truffa?

Di Stefania Bergo. Che significa "Compensazione delle emissioni di CO2"? Come funziona? Che validità ha pareggiare i conti piantando un albero dall'altra parte del mondo quando si emettono grandi quantità di anidride carbonica in atmosfera? Luci e ombre di un sistema che assomiglia a una truffa ai danni dell'ambiente.

Ormai le aziende rispondono alla richiesta del mercato di adeguamento alla questione ambientale con etichette sempre più verdi. Non solo. Ben in evidenza molti packaging riportano la dicitura: "CO2 interamente compensata" o "Carbon Offsetting". Leggendo questi claim ambientali sui prodotti che scegliamo accuratamente ci sentiamo a posto con la nostra coscienza ecologica.
Mi sono chiesta: che significa "interamente compensata"? Come funziona? Che validità ha pareggiare i conti piantando un albero dall'altra parte del mondo quando si emettono grandi quantità di CO2 in atmosfera?
Un'inchiesta di Tin Fischer e Hannah Knuth della testata giornalistica tedesca Zeit, mette in luce i meccanismi e il retrogusto amaro di quella che appare, in generale, come una truffa ai danni del nostro stesso pianeta... Quindi di noi stessi: il commercio dei certificati della compensazione delle emissioni di CO2. Vediamo nel dettaglio come funziona e quali sono gli aspetti che dovrebbero quanto meno perplimerci – come direbbe Guzzanti.

Quattro sono gli attori coinvolti nel business delle compensazioni delle emissioni di CO2.

  1. Il primo attore sono le aziende inquinanti che cercano di redimersi dall'inquinamento di cui sono responsabili acquistando dei certificati che attestano che le associazioni o gli enti in cui loro investono si impegnano per l'ambiente. Come a dire: ti pago affinché sia tu a fare qualcosa per l'ambiente, dato che io non lo posso/voglio fare.
  2. L'altro attore sono le startup che producono e vendono questi certificati. Sono quelle che guadagnano di più da questo sistema.
  3. Ci sono poi gli enti e le associazioni che si impegnano per ridurre le emissioni di CO2 e certificano la loro attività emettendo i crediti sul mercato.
  4. Infine, ci sono gli enti certificatori che stabiliscono le regole da seguire e la validità dei certificati emessi.

Quando un'azienda emette troppa CO2 nel suo ciclo produttivo, compensa finanziando progetti che tutelano l'ambiente.

O almeno, questo è il sistema che è stato messo in piedi per iniziare a far qualcosa per il nostro pianeta. E forse, nelle intenzioni iniziali, era cosa buona e giusta. In realtà, si tratta dell'ennesimo business che sfrutta un problema cogente per ricavarne profitto senza realmente risolverlo. Solo che in questo caso, per come la vedo io, è come tirarsi la zappa sui piedi.
Il sistema è semplice e in qualche modo rivela una mente pragmatica e geniale che ha capito subito a cosa aggrapparsi, facendo leva su quell'istinto di sopravvivenza tipico della razza umana che è la tendenza a spendere energie per lavarsi la coscienza invece di farlo per affrontare davvero una questione da risolvere. L'inchiesta dei due giornalisti tedeschi si concentra in particolare sulla startup leader di questo nuovo mercato, che vende certificati di "compensazione dell'anidride carbonica" a colossi mondiali quali Apple, Wolkswagen, Walt Disney e Shell, tanto per fare alcuni nomi illustri.

In pratica, per ogni tonnellata di CO2 emessa da un'azienda, la startup si impegna a trovare uno o più progetti che invece questa stessa quantità la assorbono o non la emettono.

Le aziende che si rivolgono alla startup pagano affinché questa trovi progetti di tutela ambientale in qualche angolo del mondo in cui investire, cioè progetti che evitano di emettere o riassorbano la stessa quantità di anidride carbonica che le aziende inquinanti producono.
Ogni tonnellata di anidride carbonica non emessa ha un valore, è un credito. Si tratta di un vero e proprio business. L'idea è quella di pareggiare, con questo sistema, la concentrazione totale di anidride carbonica in atmosfera, anche se a produrla è la Wolkswagen in Germania e il riassorbimento avviene in Cambogia.
Potrebbe anche suonare bene, se non fosse che spesso non avviene un vero e proprio riassorbimento della CO2. Spesso il sistema finisce col funzionare solo sulla carta ma rischia di diventare nella pratica – forse lo è già –  una fregatura per l'ambiente.

Tutto il meccanismo appare fumoso. Tanto per cominciare, le startup che emettono i certificati hanno spesso manager che fanno parte anche delle commissioni degli enti certificatori che dettano le regole dei certificati stessi.

I progetti certificati sono i più disparati: dagli impianti fotovoltaici alla riforestazione, che rappresenta il 40% dei certificati emessi, sebbene molto spesso si tratti di un vantaggio non effettivo per l'ambiente.
Supponiamo che io sia la Wolkswagen e attraverso la mia catena produttiva immetta in atmosfera una quantità X di anidride carbonica – solo per la produzione, senza conteggiare l'ammontare complessivo di gas che le auto che produco emetteranno. Siccome il mercato ormai lo richiede, voglio mostrarmi green ai miei clienti e poter promuovere slogan del tipo "Azienda a emissioni zero". Mi impegno quindi a finanziare un progetto dall'altra parte del mondo che certifica di riassorbire la stessa quantità X di CO2 dall'atmosfera. Globalmente il bilancio per l'ambiente sarà quindi 0. Il finanziamento avviene acquistando i certificati che la startup che ha in carico questa associazione ambientalista ha immesso sul mercato.
Chi certifica che quel progetto di difesa dell'ambiente garantisca un riassorbimento X di anidride carbonica? La startup stessa – ne esiste una manciata nel mondo, si tratta quindi di un monopolio. E come stabilisce quanta CO2 viene riassorbita? Applicando dei criteri dell'ente certificatore, spesso discutibili perché si basano su valutazioni soggettive e previsioni.

Se una associazione si batte per la riforestazione, infatti, non significa necessariamente che si impegni a piantare nuovi alberi.

Può anche semplicemente intervenire affinché non ne vengano tagliati, contribuisce, cioè, alla riforestazione impedendo che le foreste vengano abbattute. Ma questo non è un problema, perché il nostro pianeta ha bisogno non solo che le cose migliorino, spesso basta che non peggiorino. Il problema – la truffa – nasce quando si quantifica la CO2 assorbita allo stesso modo in entrambi i casi. Mi spiego meglio.

Compensazione delle emissioni di CO2: funziona davvero o è una truffa?

Prendiamo ad esempio l'associazione A che si impegna a piantare nuovi alberi in qualche angolo del pianeta, dando allo stesso tempo lavoro a migliaia di contadini locali (come fa ad esempio Treedom).

Supponiamo che pianti un numero di alberi sufficiente ad assorbire una quantità X di CO2 in più rispetto al sistema globale attuale. Matematicamente, se la Wolkswagen immette in atmosfera una quantità X di CO2 e l'associazione A pianta alberi in grado di assorbire completamente questa quantità in eccesso, viene azzerato il conteggio globale:

CO2 ambiente + X (emessa dalla Wolkswagen) - X (assorbita dai nuovi alberi dell'associazione A) = CO2 ambiente

Come se la Wolkswagen non avesse emesso alcuna quantità di anidride carbonica, il sistema ambiente resta invariato.

In un altro posto, c'è un'associazione B che invece impiega un manipolo di ranger per impedire ad aziende senza scrupoli di abbattere indiscriminatamente gli alberi della zona.

Se B non lo facesse, potrebbe venire abbattuto un numero di esemplari che attualmente assicura un assorbimento di anidride carbonica pari a X. Ebbene, l'ente certificatore dichiara che anche questa seconda associazione riassorbe una quantità X di CO2 dall'atmosfera e quindi la startup vende alla casa automobilistica il medesimo certificato. Solo che in questo caso il bilancio non è affatto zero, perché la quantità X di anidride carbonica assorbita dagli alberi non abbattuti non è in più rispetto all'equilibrio attuale, ma è già compresa nell'equilibrio stesso (CO2 ambiente). Quindi, nella sommatoria precedente, mancherebbe il termine - X a bilanciare l'inquinamento della Wolkswagen. In questo caso il suo impatto ambientale equivale a tutta l'anidride carbonica immessa in atmosfera, ma avendo acquistato il certificato dell'associazione B, risulta che sia totalmente green.

Questo è il meccanismo alla base del sistema della compensazione di emissioni di CO2, che spesso non solo non funziona ma rischia di peggiorare il livello di inquinamento. Si può parlare di truffa?

Il problema nasce dal modo in cui vengono valutati i progetti mirati a diminuire la concentrazione della CO2 in atmosfera.
Come dicevo, dall'inchiesta dei due giornalisti per Zeit emerge che chi valuta i progetti, e quindi dà valore ai certificati ambientali emessi, molte volte fa parte dei consigli di amministrazione degli enti che poi guadagnano dalla vendita dei certificati stessi. Anche se l'azienda che da sola detiene oltre il 70% del mercato si è difesa, resta l'incongruenza e soprattutto l'inefficacia del sistema, che pare volto più al guadagno che alla salvaguardia reale dell'ambiente.
Molte sono le associazioni ambientaliste che lavorano seriamente e garantiscono davvero una "pulizia" dell'atmosfera riassorbendo attivamente la CO2 (piantando nuovi alberi, ad esempio) o evitando nuove emissioni (promuovendo fonti energetiche rinnovabili, come il solare o l'eolico), molte quelle che si battono per la conservazione delle foreste. Il problema non sono loro.

Il problema nasce dal fatto che la valutazione sulla quantità di anidride carbonica riassorbibile dall'atmosfera grazie a questi progetti si basa su congetture sul futuro.

Si emettono certificati – che poi saranno venduti ad aziende inquinanti – come conseguenza di disboscamenti che si ipotizza diaver evitato. E chiaramente è facile falsificare questi dati, poiché non sono oggettivamente verificabili né confutabili. Per le previsioni, ci si basa spesso sul confronto con altre aree paragonabili in cui siano stati abbattuti alberi negli ultimi anni. Ma anche i criteri con cui si scelgono aree simili per valutare il proprio progetto sono arbitrari, quanto la parola "simili" che significa tutto e niente.
È abbastanza chiaro che per come è impostato il sistema, molti certificati emessi siano sovrastimati per interesse economico. Il rischio è che questo danneggi ancora di più l'ambiente, perché non solo le compensazioni potrebbero essere solo fittizie, ma le aziende potrebbero essere indotte a inquinare pure di più. Prendendo sempre come esempio la Wolkswagen, potrebbe decidere di produrre addirittura più CO2 dal momento che ha acquistato dei certificati per una quantità 2X di emissioni. Peccato che quei certificati siano gonfiati e, ben che vada, in Kenya c'è un progetto che ne riassorbe  solo X.
Al contrario dell'inchiesta tedesca, non voglio puntare il dito contro una sturtup in particolare tra quelle che si arricchiscono con la vendita dei certificati – anche se vi consiglio di andarvi a leggere i due articoli per farvi una vostra idea sulla questione. Ma porre l'attenzione sul sistema delle compensazioni di CO2 che non funziona davvero, o almeno non sempre. E se anche non fosse il caso di definirla "truffa", resta il problema che molte delle aziende che si definiscono "A emissioni zero", probabilmente – coscientemente o no – non lo sono davvero.



Stefania Bergo


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