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The week: focus sugli eventi tra il 27 marzo al 9 aprile

The week: focus sugli eventi tra il 27 marzo al 9 aprile

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 27 marzo e il 9 aprile? La repressione in Iran, le proteste in Israele, l'ingresso della Finlandia nella Nato, la riforma pensionistica in Francia, aggiornamenti sulla guerra in Ucraina e sul caso Trump.

Apro questo The Week facendo il punto sulla repressione in Iran; proseguo con l’esito delle proteste che in queste settimane hanno coinvolto Israele. Passo poi alla situazione diplomatica tra Usa, Cina, Russia e Ue, e concludo con un aggiornamento su due temi affrontati nel precedente The Week.



La repressione in Iran

Negli ultimi mesi ha fatto molto discutere la serie di attacchi alle studentesse iraniane per mezzo di gas tossici. Non si è compresa la matrice di questo gesto, su cui ha detto di aver aperto un’indagine anche il ministro dell’Interno, Ahmad Vahidi. Questi ha poi adottato il consueto schema di accusa all’Occidente, incolpando i media stranieri di aver alimentato una psicosi.
Le studentesse coinvolte potrebbero essere state prese di mira per aver partecipato alle proteste contro il governo, a seguito della morte di Mahsa Amini lo scorso settembre. Secondo media e attivisti locali, sarebbero state colpite almeno cinquantadue scuole in sedici province. Il maggior numero di episodi è stato registrato a Qom, città a sud di Tehran e centro religioso della Repubblica islamica.

Gli avvelenamenti hanno portato a una nuova ondata di proteste, con lo slogan “donna, vita, libertà”.

A protestare sono soprattutto le dirette interessate, in un Paese in cui l’istruzione femminile, nonostante tutto, ha superato quella maschile nelle università, mentre l’alfabetizzazione è passata dal 26% del 1976 all’85% del 2021, secondo la Banca mondiale. Se da un lato il governo ha detto di voler indagare sugli avvelenamenti, dall’altro IranWire ha riportato che uomini delle forze di sicurezza avrebbero intimidito le studentesse e le loro famiglie, affinché non accertassero la natura delle intossicazioni con ulteriori esami. Il primo giornalista ad aver parlato di questi “incidenti”, Ali Portabatabaei, è stato invece arrestato.

Mentre il governo sembra avviato a oscurare la vicenda, in Iran avvengono soprusi quotidiani.

Uno degli ultimi ha coinvolto due donne. In un negozio di Shandiz, nel nordest del Paese, un uomo si è avvicinato a due donne senza velo, ha parlato loro e ha poi lanciato una vaschetta di yogurt sulle loro teste. Una telecamera ha ripreso l’accaduto: l’uomo è stato arrestato per disturbo della quiete pubblica, ma a pagarne le spese sono state le stesse donne aggredite, colpevoli di non aver indossato il velo.
Nel frattempo, anche il proprietario del caseificio è risultato nel mirino delle autorità, che lo avevano costretto a presentarsi in tribunale per dare spiegazioni sull’accesso all’attività da parte di donne senza velo.
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha commentato l’accaduto, dicendo che l’hijab sia un’indiscutibile necessità religiosa sancita dalla legge e che se qualcuno non condividesse questa convinzione verrebbe convinto da centri scientifici e culturali nel Paese. Il capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Ejei ha dichiarato che apparire in pubblico senza velo costituisca un segno di “inimicizia” rispetto ai valori iraniani, aggiungendo la consueta accusa verso gli “agenti stranieri”.

Sul piano internazionale, continua a rafforzarsi l’asse tra Cina, Russia e Iran.

Mark Milley, presidente dei capi di Stato maggiore congiunti, ha dichiarato al Comitato per le forze armate della Camera che i tre Paesi costituiranno un problema per gli Usa negli anni a venire. Secondo Milley, l’Iran potrebbe «produrre abbastanza materiale fissile per un’arma nucleare in meno di due settimane», riuscendo a creare l’arma in alcuni mesi. Milley ha infine dichiarato che l’esercito statunitense abbia fornito alla presidenza le diverse possibilità con cui l’Iran potrebbe perseguire con successo lo sviluppo di un’arma nucleare.
Nel frattempo, si acuiscono le tensioni tra i due Paesi. Due settimane fa, un sospetto drone iraniano ha colpito una struttura che ospitava personale statunitense in Siria, uccidendo un appaltatore americano e ferendo cinque membri del gruppo. Gli Usa hanno risposto con attacchi di rappresaglia contro i gruppi filoiraniani in Siria.

La situazione politica dell’Iran non sembra destinata a mutare nel breve periodo.

Se non nei termini di un rafforzamento del legame tra il Paese e la Cina e di un inasprimento delle repressioni da parte dei tre bracci armati della Repubblica: le Guardie della Rivoluzione, l’Esercito e la Polizia.
Un’esile frangia di riformisti ha proposto in questi mesi non un cambio di regime, ma un allentamento delle limitazioni delle libertà civili: per esempio, Reform Front, il partito di Mohammad Khatami, presidente dal 1997 al 2005, ha tentato la via del referendum, ma questa frangia non gode di grande favore nemmeno tra i manifestanti, che la ritengono troppo accomodante nei confronti del regime.
Sulla situazione iraniana – ispionline.it, cnn.com, cnn.com, aljazeera.com e aljazeera.com

Le proteste in Israele

Prima di passare alle manifestazioni israeliane, è bene ricordare che dall’inizio dell’anno la Siria è divenuta terra di confronto tra Iran e Israele. In questi mesi, quest’ultimo ha lanciato nove attacchi su siti militari gestiti dall’Iran o da filoiraniani, secondo quanto riportato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.
L’ultimo attacco aereo è avvenuto due domeniche fa, nella provincia di Homs, ferendo almeno cinque soldati, secondo il governo siriano. Poco dopo, Israele ha abbattuto un drone volato sul proprio territorio e proveniente dalla Siria. Tehran sostiene militarmente il presidente Bashar al-Assad, ma i governi dei due Paesi negano la presenza militare iraniana sul suolo siriano. Cosa bizzarra, dal momento che il ministro degli Esteri iraniano ha affermato che Tehran si riserverà il diritto di rispondere alle azioni israeliane a tempo debito. Questo rientra in una strategia più ampia di buoni rapporti nel Medio Oriente, segnata anche dalla riapertura del dialogo diplomatico tra Iran e Arabia Saudita, favorita da Pechino. Il mese scorso, infatti, la Cina ha mediato un accordo tra i due rivali regionali, dopo sette anni di rottura dei rapporti diplomatici. Oltre all’Arabia Saudita, l’Iran sta cercando di recuperare i buoni rapporti con Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Giordania ed Egitto.

Per quanto riguarda la politica interna, Israele è stato paralizzato per mesi da scioperi contro la riforma della giustizia promossa dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

La polizia ha impiegato idranti e lacrimogeni sulla folla: i manifestanti ritengono che la riforma possa minare la democrazia del Paese, con la riduzione dell’indipendenza della Corte suprema, sottoposta al controllo politico. Il progetto di legge consentirebbe infatti alla Knesset di ribaltare le decisioni della Corte, che non potrebbe quindi controllare la conformità dei provvedimenti adottati dal parlamento. Secondo l’opposizione, però, Netanyahu si sarebbe intestardito con questa legge perché, con la sua approvazione, il procuratore generale avrebbe grosse difficoltà a dichiarare il premier “inadatto al suo ruolo”, rimuovendolo. Netanyahu, infatti, imputato per corruzione in diversi processi, aveva dovuto firmare una dichiarazione di conflitto di interessi, impegnandosi a non promuovere riforme giudiziarie, come prerequisito per l’attribuzione dell’incarico.

Dopo mesi di proteste, gli alleati di governo e i membri dello stesso partito del premier, il Likud, hanno cominciato a discutere di togliere il sostegno a Netanyahu.

Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, era stato costretto alle dimissioni, per aver criticato il progetto di legge; il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, aveva invece minacciato la crisi di governo. Il presidente Isaac Herzog si è unito agli appelli, chiedendo di sospendere l’iter per l’approvazione della riforma, in nome «dell’unità del popolo d’Israele, per amore della responsabilità a cui siamo obbligati».
Così, in un discorso alla nazione, Netanyahu ha annunciato la sospensione della riforma fino alla prossima sessione del parlamento, dopo la Pasqua ebraica. Più che una rinuncia, appare un bluff per prendere tempo. In cambio del suo sostegno, Ben Gvir avrebbe ottenuto l’impegno del governo alla creazione di una Guardia nazionale di volontari, che rischierebbe in realtà di tradursi in una milizia privata. Un segnale di distensione sembra provenire dal leader centrista Benny Gantz, che ha deciso di presentarsi all’incontro tra i partiti in parlamento, che si terrà nella residenza di Herzog, per allontanare il pericolo di una guerra civile.
Sulle proteste israeliane – bbc.com, nytimes.com, ispionline.it e aljazeera.com

Grandi potenze a confronto

  1. La Finlandia è diventata ufficialmente membro della Nato.

    Come ha sottolineato il segretario di Stato Antony Blinken, il presidente russo Vladimir Putin, che lamentava l’“espansione” dell’Alleanza Atlantica a oriente, ha provocato con la guerra in Ucraina proprio l’adesione della neutralissima Finlandia. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che la Russia osserva da vicino gli sviluppi finlandesi, parlando di violazione della sicurezza e degli interessi nazionali del proprio Paese. Il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha dichiarato che il sistema missilistico balistico a corto raggio Iskander-M è stato posizionato in Bielorussia e che è in grado di trasportare armi nucleari e convenzionali. Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha tuttavia affermato che al momento non vi sia un cambiamento nella tattica nucleare russa tale da richiedere una modifica degli assetti da parte dell’Alleanza.

    La Finlandia condivide con la Federazione ben 1340 km di confine.

    Da questo momento, il Paese potrà chiedere la protezione della Nato qualora subisse un’invasione da parte russa, rifacendosi all’articolo cinque dell’Alleanza. Putin è così riuscito a far allontanare definitivamente dall’orbita russa un Paese che in passato era stato il cruccio di personalità come Stalin. L’adesione è avvenuta in tempi record (meno di un anno) e la cerimonia per l’ingresso, svoltasi martedì 4, è avvenuta in coincidenza con il settantaquattresimo anniversario della fondazione della Nato, nel 1949.
    La Finlandia dispone di un esercito di circa trentamila soldati, che in caso di guerra può essere estesa a 280 mila unità. Le forze armate sono altamente addestrate e possono contare su molti riservisti.
    Per quanto riguarda la Svezia, anch’essa in attesa di entrare nella Nato, rimane per ora il veto turco, perché il presidente Erdogan accusa Stoccolma di proteggere i militanti curdi (la sospensione è appoggiata dall’Ungheria). Se la Svezia dovesse aderire, i membri dell’Alleanza sul Mar Baltico salirebbero a otto, isolando l’accesso costiero di San Pietroburgo e di Kaliningrad.

    Concludendo sulla Finlandia, nel Paese si sono svolte le elezioni presidenziali: il governo socialdemocratico di Sanna Marin è stato sconfitto da due partiti di centrodestra, con caratteristiche populiste.

    Petteri Orpo, ex ufficiale di riserva della forza di difesa nazionale e leader della Coalizione Nazionale, ha vinto con il 20,8% dei voti, seguito dalla destra populista di Riikka Purra (20,1%) e dai socialdemocratici (19,9%). Orpo ha dichiarato che aprirà le consultazioni con tutte le parti politiche coinvolte, nel tentativo di formare una maggioranza di governo. In merito all’Ucraina ha affermato: «Siamo al vostro fianco. Non possiamo accettare questa terribile guerra. E faremo tutto il necessario per aiutare l’Ucraina e il popolo ucraino perché combatte per noi. Questo è chiaro».
    Sanna Marin era stata apprezzata per la gestione della pandemia, per le sue opinioni progressiste e per la posizione sull’Ucraina, tanto che i tre principali partiti hanno ricevuto percentuali simili, in linea con i sondaggi. A tradirla è stata la politica interna, con l’impegno della destra a tagliare la spesa pubblica e a contenere il debito nazionale, un tema che ha convinto una buona parte dell’elettorato. In realtà il debito pubblico finlandese ammonta al 73% del Pil, ben al di sotto della media dei Paesi europei, ma l’aumento di tale debito di circa dieci punti in quattro anni ha allarmato i cittadini.

  2. Venendo alla guerra in Ucraina, il conflitto ha superato la soglia dei quattrocento giorni.

    L’esercito ucraino è intenzionato ad avviare una controffensiva entro la primavera e vorrebbe tentare la riconquista di Melitopol’, nella regione di Zaporož’e. Secondo l’intelligence occidentale, le energie dell’offensiva invernale russa stanno scemando: dopo mesi di logoramento e di ingenti perdite in entrambi gli schieramenti, l’unico risultato russo è una parziale occupazione di Bakhmut, ancora contesa strenuamente dagli ucraini.
    Sul piano internazionale, si infittiscono i rapporti tra Russia e Turchia e vi è un’ipotesi per cui Putin potrebbe far visita a Erdogan il prossimo 27 aprile, in occasione dell’apertura della prima centrale nucleare costruita dalla russa Rosatom in Turchia. In queste settimane si è svolto anche l’incontro a Mosca tra Putin e l’omologo cinese Xi Jinping: i due hanno individuato otto aree di collaborazione, che includono una cooperazione sia finanziaria che commerciale.

    Sul piano interno russo, prosegue la repressione: l’ultimo a pagarne le spese è stato Evan Gershkovic, giornalista del Wall Street Journal arrestato con l’accusa di spionaggio e in attesa del processo, che si svolgerà il prossimo 29 maggio.

    Gershkovic rischia fino a vent’anni di carcere.
    Un altro evento interno di rilievo è avvenuto domenica 2 aprile: l’esplosione in un caffè di San Pietroburgo, che ha portato a una trentina di feriti e alla morte del blogger militare russo Vladlen Tatarsky, sostenitore dell’invasione. Non è chiaro chi sia il mandante del gesto, ma è stata arrestata Darya Tryopova, la donna pietroburghese che ha consegnato al blogger una statuetta rivelatasi esplosiva. L’ultimo attentato di questo genere era avvenuto lo scorso agosto, quando Darya Dugina, figlia dell’ultranazionalista Alexander Dugin, era stata uccisa in un suv imbottito di esplosivo. Le autorità russe hanno accusato Kyïv, che ha rispedito le accuse al mittente.

  3. Sull’altro fronte, Washington ha organizzato il secondo summit per le democrazie, che ha coinvolto centoventi Paesi ed è stato co-presieduto da Usa, Costa Rica, Zambia e Corea del Sud.

    L’iniziativa è stata voluta dal presidente Joe Biden e si era concretizzata una prima volta nel dicembre 2021. L’obiettivo: dare un nuovo peso alla leadership globale americana. L’incontro si è concentrato su cinque temi: libertà di stampa, lotta alla corruzione, rafforzamento delle istituzioni democratiche, tecnologia e diritti, elezioni. Non solo teorie e princìpi, ma anche un concreto apporto, con l’annuncio di quasi settecento milioni di dollari di investimenti in progetti che favoriscano lo sviluppo democratico dei Paesi interessati.
    Tra i partecipanti anche Taiwan, benché la Casa Bianca abbia ribadito il rispetto per la “One China Policy”, e cinque nuovi Stati che hanno mostrato segnali di consolidamento della democrazia: Costa Rica, Mozambico, Honduras, Bosnia-Erzegovina, Gambia. Importanti assenti, poiché non invitati: Turchia e Ungheria. Il summit non pone standard specifici per la definizione di “Paese democratico”, ma incentiva la discussione sulla democrazia in un mondo in cui quasi tre quarti della popolazione globale vive in autocrazie.

  4. Tra queste autocrazie, la Cina.

    Negli scorsi The Week, ho scritto delle difficili relazioni tra Usa e Cina. In questo articolo, parto dalla prospettiva europea. Il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno incontrato a Pechino il presidente Xi Jinping. Sul tavolo questioni economiche e commerciali, ma anche la diplomazia in merito alla guerra ucraina.
    Macron ha adottato un approccio più conciliante con i cinesi rispetto agli Usa, mentre von der Leyen, dopo un confronto telefonico con il presidente ucraino Zelens’kyj, ha invitato la Cina a svolgere un ruolo più decisivo nella promozione di una soluzione. La presidente della Commissione è però anche fautrice della versione europea del decoupling statunitense, che prevede la diversificazione delle catene commerciali per difendere le tecnologie occidentali ed evitare dipendenze troppo forti dalle autocrazie.
    Il viaggio si è tradotto in un delicato concerto diplomatico, tradottosi in dichiarazioni volte alla ricerca di una soluzione alla guerra ucraina, in un contesto difficile in cui potenze come Cina e Francia – ha dichiarato Xi – sono chiamate a «una stretta comunicazione e collaborazione». È proprio da Mosca, però, che provengono parole che vanno nella direzione opposta: il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che «nel caso dell’Ucraina la situazione è ancora difficile, e non si intravedono prospettive di una soluzione pacifica», ritenendo inevitabile il proseguimento del conflitto.

Sulla situazione internazionale – bbc.com, theguardian.com, ispionline.it, bbc.com, agi.it e ispionline.it

Aggiornamenti sulla riforma pensionistica francese e sul “caso Donald Trump”

  1. Dopo mesi di proteste per le strade, in un’intervista in diretta su France 2 e TF1, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la riforma delle pensioni avrebbe proseguito il suo iter.

    «Nel momento in cui vi parlo, pensate che mi faccia piacere questa riforma? La risposta è “no”. Avrei potuto mettere la polvere sotto al tappeto, come tanti prima di me, […]». Macron ha poi aggiunto di rispettare i sindacati e i manifestanti, ma di non accettare coloro che, con il pretesto della riforma, mettono in scena atti di violenza contro cittadini, sindaci e beni comuni.
    Nell’intervista, Macron si è detto consapevole dell’impopolarità della riforma, ma si è assunto la responsabilità di portarla avanti per il bene della nazione, conscio anche del fatto che non potrà ricandidarsi per un terzo mandato. Ha infine aperto a ulteriori confronti con i sindacati, per affrontare il tema dei lavori usuranti, ammettendo che l’esecutivo debba fare di più per questa categoria.

    La riforma prevede un innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, l’aumento delle pensioni minime e l’abolizione dei regimi pensionistici speciali, che consentivano il pensionamento anticipato per alcune categorie.

    Attivando l’articolo 49,3 della Costituzione, l’esecutivo ha forzato l’approvazione del testo senza passare dal voto dei deputati. La mozione di sfiducia (“censura”, nella terminologia francese), prevista dallo stesso articolo, non ha ottenuto i numeri richiesti e così l’iter legislativo è andato avanti.
    L’aumento dell’età pensionabile procederà in modo graduale nei prossimi anni, fino al massimo dei 64 anni, una cifra in linea con la media europea. L’atto è stato reso necessario perché la popolazione francese sta invecchiando e vive più a lungo e, in pochi decenni, l’attuale sistema diverrebbe insostenibile per le casse dello Stato. Al momento si contano circa 17 milioni di pensionati su circa 67 milioni di abitanti, un numero destinato a crescere.

    Gli scioperi continuano soprattutto nelle raffinerie, nei trasporti e nella nettezza urbana

    La Normandia è la regione maggiormente interessata, con tanto di proteste denominate “operazione porto morto”, a Le Havre, dove i blocchi stradali impediscono la regolare attività portuale.
    Le opposizioni sono grate che Macron si sia preso carico della riforma: in particolare, il malcontento ha favorito il Rassemblement National, il partito più strutturato sul territorio. Nessun partito d’opposizione ha l’intenzione di far cadere il governo, ma ognuno punta a logorarlo per trarne vantaggio elettorale.

  2. Il gran giurì di New York ha infine incriminato Donald Trump, rendendolo il primo ex presidente statunitense a dover rispondere in tribunale di accuse penali.

    Né l’atto d’accusa, né l’eventuale condanna impediscono al tycoon di ricandidarsi per la corsa presidenziale del 2024. Anzi, secondo gli ultimi sondaggi avrebbe guadagnato punti.
    Il giudice Juan Merchan si è poi pronunciato sulla richiesta di partecipazione dei media, accogliendola con alcuni accorgimenti: riconoscendo il giusto interesse della stampa e dell’opinione pubblica, ha aggiunto che «tali interessi, per quanto genuini e indubbiamente importanti, debbano essere soppesati rispetto a interessi concorrenti». Merchan ha quindi deciso di accogliere cinque fotografi, autorizzati a entrare nel palco della giuria prima dell’inizio dell’udienza.

    Martedì 4 aprile, infine, Donald Trump si è presentato di fronte al tribunale penale di Manhattan, dichiarandosi non colpevole per i trentaquattro reati per falsificazione di documenti aziendali.

    Dopo il formale atto d’accusa, Trump è tornato in Florida e ha ospitato un evento con i sostenitori nella residenza di Mar-a-Lago. Il giudice Juan Merchan gli aveva intimato di non fare commenti pubblici che avrebbero potuto mettere a repentaglio lo stato di diritto, ma in serata l’ex presidente ha commentato: «Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse accadere in America, non avrei mai pensato che potesse accadere. L’unico crimine che ho commesso è difendere senza paura la nostra nazione da coloro che cercano di distruggerla».
    L’accusa ora si muove su un campo minato, perché sarà difficile provare come Trump abbia costruito un sistema di finanziamento illecito. Il procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, ha dichiarato in conferenza stampa che l’accusa non ha specificato quali leggi abbia infranto Trump, poiché la legge non lo richiede. Ha poi aggiunto, per non scoprire le carte, che le prove verranno fornite in un’aula pubblica di tribunale.

Sulla riforma francese – ansa.it, ilpost.it, formiche.net e euronews.com | Sulla questione giudiziaria trumpiana – giurisprudenzapenale.com, cnn.com e cnn.com


Argyros Singh


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