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The week: focus sugli eventi tra il 24 aprile e il 7 maggio

The week: focus sugli eventi tra il 24 aprile e il 7 maggio

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 24 aprile e il 7 maggio? La condizione sudanese, le elezioni turche e un aggiornamento della situazione in Ucraina.

In questo The Week, un aggiornamento sulla caotica condizione sudanese, presentata nello scorso articolo. Segue un focus sulle imminenti elezioni turche, di grande importanza anche sul piano internazionale. Concludo con il punto della situazione sulla guerra in Ucraina.



Aggiornamenti sul Sudan

Nel precedente The Week ho tratteggiato la situazione in Sudan, dove due forze militari si stanno contendendo il controllo del Paese.
In queste settimane, è stata evacuata la comunità internazionale: per l’Italia, centocinque connazionali (personale diplomatico, cooperanti di organizzazioni umanitarie, etc.) sono stati portati fuori dai confini sudanesi. Nel complesso, l’Europa ha evacuato quasi mille cittadini, ma anche egiziani, sauditi, russi e altre nazionalità sono state evacuate dai rispettivi Stati. Alcune organizzazioni, tra cui Emergency, hanno deciso di rimanere con i propri operatori.
Le parti in causa avevano raggiunto una tregua per la festività mussulmana di Eid, che però non ha retto. I maggiori scontri non si svolgono soltanto nella capitale Khartoum, ormai una città deserta, ma anche nella regione del Darfur. Le violenze hanno portato a oltre cinquecento morti e oltre quattromila feriti; diecimila rifugiati hanno varcato i confini con il Sudan del Sud, ma l’Unhcr prevede che possano salire a 270mila soltanto tra Sudan del Sud e Ciad.

Secondo alcuni analisti interni al Paese, la miccia sarebbe stata innescata dalla volontà delle Nazioni Unite di attuare l’accordo di riconciliazione e il piano di riforma del settore della sicurezza.

L’intento era tornare alla costituzione del 2019, dando fiducia ai due leader militari al-Burhan e Hemedti. L’accordo prevedeva l’assorbimento delle Rsf nell’esercito regolare sudanese, aspetto di cui ho già scritto, e che ha scatenato il conflitto.
Ulteriori tentativi di tregua sembrano falliti. Secondo le Nazioni Unite, comunque, i generali avrebbero accettato di inviare rappresentanti per negoziare in Arabia Saudita, su proposta del Paese arabo ospitante e degli Usa. L’Egitto ha poi avanzato una proposta di risoluzione all’Onu per raggiungere il cessate il fuoco. Le parti in guerra hanno tuttavia già dichiarato che tratteranno questioni umanitarie e non la fine del conflitto.
Sul Sudan – aljazeera.com e ispionline.it

Le elezioni in Turchia

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è al potere da vent’anni: ieri, 14 maggio, gli elettori turchi sono stati chiamati alle urne.
Le elezioni hanno interesse internazionale e un forte valore interno: la recessione economica e il grave terremoto di quest’anno hanno ridotto la fiducia nel governo e – secondo molti sondaggi – l’opposizione unita potrebbe vincere.
A capo dei sei partiti d’opposizione c’è Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito popolare repubblicano (Chp), che ha affermato di voler riportare libertà e democrazia nel Paese. Il suo vantaggio però è risicato e infatti si deve arrivare a un secondo turno alle urne, a due settimane di distanza.
Kilicdaroglu punta soprattutto sul voto dei giovani, in particolare sui cinque milioni di turchi chiamati a votare per la prima volta. Il leader del Chp ha dichiarato di voler intrattenere maggiori relazioni con l’Occidente e non con la Russia: «Vogliamo entrare a far parte del mondo civilizzato. […] Vogliamo media liberi e completa indipendenza giudiziaria. Erdogan non la pensa così. Vuole essere più autoritario. La differenza tra noi ed Erdogan è la differenza tra bianco e nero».

Il presidente sessantanovenne ha comunque teuto una campagna elettorale densa di eventi e di incontri, a tal punto da aver avuto un malore.

Più che sulla salute, alcuni analisti discutono sul timore che, in caso di sconfitta, Erdogan possa non accettare il risultato. Le parole del ministro dell’Interno Suleyman Soylu non sono rassicuranti, poiché ha già messo le mani avanti dicendo che il voto sarà «un tentativo di colpo di Stato da parte dell’Occidente».
Il partito del presidente, l’Akp, è comunque in una fase complicata, avendo già perso due importanti sfide nel 2019, per la carica di sindaco di Istanbul e di Ankara.
Ciò che è certo è che il vincitore di queste elezioni erediterà un’economia sull’orlo del baratro e una nazione divisa al suo interno.
Sulle elezioni turche – foreignpolicy.com, it.euronews.com e bbc.com

Il punto sulla guerra in Ucraina

Un mese dopo la visita a Mosca del presidente cinese Xi Jinping, questi ha avuto la prima chiamata con il corrispettivo ucraino Volodymyr Zelens’kyj dall’inizio della guerra. Il contenuto è rimasto riservato, ma la chiamata – durata circa un’ora – verrà resa pubblica in futuro. Per ora, si sa che Pechino manderà un inviato di pace a Kyiv per avviare discussioni approfondite con le parti in causa.
Xi avrebbe comunque affermato che per la Cina sia importante il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, una formula già proposta a livello internazionale per ribadire l’unitarietà delle cosiddette due Cine.
Terminata la strategia zero Covid, il Dragone è tornato sullo scenario internazionale con maggiore decisione: Xi ha incontrato diversi leader mondiali, tra cui il presidente brasiliano Lula da Silva. Pechino ha poi mediato per un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita e, nelle ultime settimane, ha proposto di riaprire i colloqui tra israeliani e palestinesi. L’obiettivo è dunque di mostrarsi come una superpotenza in grado di condurre a trattative di pace, ma è proprio con l’Ucraina che Pechino rischia di bruciarsi, qualora non decidesse di prendere le distanze, una volta per tutte, dalla leadership di Vladimir Putin.

Nella notte tra il 2 e il 3 maggio, ha poi fatto clamore un’esplosione avvenuta sulla cupola dell’edificio del senato al Cremlino, provocata dalla caduta di due droni.

Il video dello schianto ha fatto il giro del mondo, ma non è certo di chi fossero i mezzi.
La versione ufficiale del Cremlino è che due droni ucraini avrebbero voluto colpire direttamente Putin. La via dell’attentato è però improbabile, perché la sua residenza principale è a trentadue chilometri di distanza dal palazzo, dove ha soltanto un appartamento privato non situato nei pressi della cupola. Secondo lo stesso canale televisivo russo Vremya, di Channel 1, l’attacco sarebbe stato soltanto scenografico, data la scarsa carica esplosiva trasportata.
Kyiv ha negato di aver tentato l’assassinio di Putin, dichiarando che le armi a disposizione sono necessarie a difendere il proprio territorio. Non è infine esclusa la via dei partigiani russi, anch’essa possibile ma non dimostrabile.
Certo l’immagine di un’esplosione al Cremlino mostra l’incapacità russa di difendere lo spazio aereo della capitale e non a caso molti notiziari nazionali hanno preferito mostrare altre immagini neutrali, come la biblioteca del Cremlino o la Piazza rossa.
Al di là di chi possa aver condotto al palazzo i due droni, negli ultimi giorni sono stati realizzati diversi sabotaggi in territorio russo, anche a molta distanza dal confine ucraino, aspetto che fa pensare ad azioni partigiane.

Poche ore dopo l’esplosione, le forze russe hanno bombardato Kyiv, Zaporizhzhia e Odessa; nell’Oblast di Kherson sono morti ventitré civili.

Gli attacchi missilistici si sono ripetuti in vista della festa russa del 9 maggio, che celebrava la vittoria sui nazisti nella seconda guerra mondiale. Nella regione di Kyiv sono stati abbattuti trentacinque droni iraniani Shahed, mentre nella regione di Odessa otto missili da crociera hanno distrutto i magazzini di cibo.
La Federazione continua a tentare la completa conquista di Bakhmut, assediata da mesi. Il leader dei mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha fatto circolare un video in cui, mostrandosi davanti a una schiera di cadaveri russi, minaccia il Cremlino di ritirare le sue forze, qualora non ricevano le giuste munizioni. Un video molto aggressivo, con cui l’uomo ha accusato apertamente Putin e il ministro della Difesa. Prigozhin è poi tornato sui suoi passi, consapevole che a Bakhmut si sta giocando probabilmente la sua vita. In merito all’esercito regolare, il ministero della Difesa ha annunciato la sostituzione del viceministro della Difesa incaricato della logistica, Mikhail Mizintsev, il noto “macellaio di Mariupol’”, con Aleksey Kuzmenkov.
Nel frattempo, l’Ucraina sta preparando una nuova controffensiva, mobilitando uomini e veicoli e attuando attacchi di artiglieria mirati. Rimane ovviamente molto riserbo da parte delle autorità sulle effettive tempistiche di questa azione.
Sul conflitto ucraino – ispionline.it, bbc.com, politico.eu e cnn.com


Argyros Singh


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