Libri Recensione di Davide Dotto. Grammamanti: immaginare futuri con le parole di Vera Gheno (Einaudi): «Le parole sono centrali nelle nostre vite e dischiudono infinite opportunità. Per questo dovremmo instaurare con loro una vera e propria relazione amorosa».
Da qualche tempo circola il termine “grammarnazi”, che evoca un approccio rigido verso le regole grammaticali e sintattiche, considerate immutabili, e vede con sospetto e un errore da correggere ogni scostamento, deviazione. È un approccio iper-razionalista del tipo “out – out”: non ammette compromessi e trascura la natura dinamica e viva della lingua.Grammamanti: immaginare futuri con le parole di Vera Gheno, concepito come un monologo, celebra invece una prospettiva più in sintonia con la capacità della lingua di adattarsi e riflettere la complessità di un mondo in trasformazione.
La lingua, influenzata dalla dimensione spazio-temporale, è in costante cambiamento. L’evoluzione può prendere percorsi inaspettati, soprattutto se intervengono la creatività e l’arte di scrittori che – con il loro stile, le loro opere – segnano una via, e in questi casi non c’è grammatica o regola che tenga: queste arrivano dopo, a cose fatte, facendo il punto. Anzi, persino quelle che appaiono come “sgrammaticature” possono consolidarsi nell’uso e resistere, mentre altre forme “cadono in disgrazia”.Questo vale anche per le frasi idiomatiche e i modi di dire che non riconosciamo più come tali.
Solo per fare un esempio, Vittorio Sermonti si domandava cosa fosse andato perduto, dopo oltre settecento anni di interpretazioni e riletture, «dei molti significati minuziosamente orditi sotto la trama» della Commedia, di fronte al «sedimento di significati secondi, terzi e quarti» aggiunti nel frattempo, e che magari «Dante stesso ignorava e non avrebbe capito nemmeno».È fondamentale costruire un legame personale, una relazione quasi amorosa (da cui grammamare) con la lingua e con le parole che scegliamo di utilizzare. Non c'è altra maniera per esprimere una visione del mondo, ciò che risiede nel proprio animo, e per mantenere una connessione con il pensiero, il proprio modo di chiamare le cose e di interagire con la realtà e la comunità di cui facciamo parte.
Grammamanti è, insieme ad altre pubblicazioni di Vera Gheno, un libro di divulgazione e soprattutto un discorso sul metodo.
Le regole sono importanti, ma occorre capire da dove vengono e come nascono per avere una maggiore consapevolezza nell’uso delle parole e per una comunicazione meditata, in modo che non siano “buttate a caso” e non ci si imprigioni nella ossessiva e inconcludente ricerca di regole stabilite per sempre.Non si inizia dalla grammatica per poi cominciare a parlare, la cosa è molto più misteriosa e intrigante: potrebbe essere vero per lo studio di una lingua straniera, ma non per la lingua madre. Nulla di diverso dall’esplorare il mondo esterno, poiché anche qui le leggi di come esso funzioni non sono mai definitivamente conosciute (lo impone la logica della scoperta scientifica).
Il nostro è un caso particolare. L’Italiano, quale lingua parlata, ha poco più di sessant’anni, quindi è relativamente giovane.
La lingua letteraria, a beneficio di una élite, è il prodotto di opere più sperimentali di quanto si possa pensare, nonché di un profondo studio. E non si parla solo del De vulgari eloquentia di Dante, o della Commedia, ma di Manzoni che nell’approntare la seconda edizione dei Promessi Sposi sciacquò «i panni in Arno», giocando molto sulle possibilità linguistiche offerte dal “fiorentino”: vale la pena sul punto tenere a mente la ricostruzione attenta e scrupolosa del romanzo La correttrice di Emanuela Fontana. Le parole emergono a poco a poco, nel senso che nascono per rappresentare la realtà circostante, e per spiegarla.Cosa viene prima, il pensiero o la parola?
Se la parola è successiva, ci sono un pensiero, un’intuizione e un’idea che aspirano a essere espresse. Ciò avviene man mano che sviluppiamo una consapevolezza, una necessità, il bisogno di "vocalizzare", di attribuire un significato. La parola è in questo senso «sempre postuma», viene in un secondo momento. E può essere inadeguata, richiedendo di essere inventata per descrivere qualcosa di nuovo. Da qui nasce “una relazione” particolare e di reciproco scambio: la parola struttura il pensiero stesso, lo articola e lo trasmette. Questa “relazione” viene meno quando si predilige un approccio autoreferenziale e rigido, perdendo di vista il contesto (sia di chi parla che del destinatario). Oppure, sui social, quando si manifestano comportamenti che impediscono alla radice la funzione della comunicazione e che spesso derivano da narcisismo, impulsività, ansia di dover sempre e immediatamente dire la propria: fenomeni e tentazioni che richiedono autodisciplina e appositi antidoti.Come dobbiamo rapportarci, quindi, con le parole?
Dobbiamo dotarci dei giusti strumenti, in assenza dei quali non ci si può intendere perché:- Mancano le parole;
- se mancano le parole, non siamo in grado di articolare argomentazioni;
- se non siamo in grado di articolare argomentazioni, non possiamo persuadere né farci capire;
- se non ci facciamo capire non si comunica, ma si va di prepotenza e si alza la voce;
- se si va di prepotenza e si alza la voce, la relazione (qualunque essa sia) non funziona.
La parola precede il pensiero – forse – in un ambito diverso, quello della Intelligenza Artificiale che per funzionare richiede una quantità spropositata di dati organizzati secondo un modello, o un algoritmo.
E il pensiero (o qualcosa che gli assomiglia) nasce dopo, quale prodotto di una computazione complessa che imita la capacità dell'essere umano (non delegabile) di generare conoscenza intelligibile.La parola, la lingua, come tecnologia di comunicazione così intesa, richiedono di riformulare la domanda iniziale. Non "cosa viene prima", ma "chi", e quale sia l’origine del “logos” di cui siamo dotati (non solo parola, non solo pensiero ma entrambi).
Grammamanti
Immaginare futuri con le parole
di Vera GhenoEinaudi
ISBN 978-8806260224
Cartaceo € 14,25€
Ebook 8,99€
Quarta
Le parole sono centrali nelle nostre vite e dischiudono infinite opportunità. Per questo dovremmo instaurare con loro una vera e propria relazione amorosa, sana, libera, matura. Perché le parole ci permettono di vivere meglio e ci danno la possibilità di cambiare il mondo. Chi può definirsi grammamante? Chi ama la lingua in modo non violento, la studia e così comprende di doverla lasciare libera di mutare a seconda delle evoluzioni della società, cioè degli usi che le persone ne fanno ogni giorno parlando. Essere grammarnazi significa difendere la lingua chiudendosi dentro a una fortezza di certezze tanto monolitiche quanto quasi sempre esili; chi decide di abbracciare la filosofia grammamante, invece, non ha paura di abbandonare il linguapiattismo, ossia la convinzione che le parole che usiamo siano sacre, immobili e immutabili. Perché per fortuna, malgrado la volontà violenta di chi le vorrebbe sempre uguali a loro stesse, le parole cambiano: alcune si modificano, altre muoiono, ma altre ancora, nel contempo, nascono. E tutto questo dipende da noi parlanti: non c’è nessuna Accademia che possa davvero prescrivere gli usi che possiamo farne; siamo noi a deciderlo e permettere il cambiamento. È tempo di smettere di essere grammarnazi e tornare ad amare la nostra lingua, apprezzandola per quello che davvero è: uno strumento potentissimo per conoscere sé stessi e costruire la società migliore che vorremmo.
Davide Dotto |
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