Gli scrittori della porta accanto

[Viaggi] A piedi per il Parco Nazionale d’Abruzzo, di Franco Mieli

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Percorso ad anello: Val di Rose partendo da Civitella Alfedena fino al rifugio di Forca Resuni, 1.950 metri e ritorno a Civitella Alfedena per la Valle Iannanghera.

Ore cinque, sveglia.
Oggi, il mio amico Stefano e io andiamo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, nostra meta abituale nel corso dell’anno. L’appuntamento è a Roma, piazza Vescovio alle 6.30. Poi via verso la tangenziale est e la A24 Roma-L’Aquila-Pescara. Usciamo a Pescina, poi ci aspettano trenta chilometri di tornanti prima di arrivare a Pescasseroli.
Da più di vent’anni io e Stefano facciamo escursioni in montagna. Prima eravamo un po’ più forti e veloci ma anche adesso non ce la caviamo male. Lo spirito è lo stesso, il fisico quasi.
A Pescasseroli, facciamo rifornimento per il pranzo. Pizza con il pomodoro bella untuosa e grassa e un dolcetto ciascuno, come premio finale per la fatica. Si riparte verso Civitella Alfedena nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo.
Iniziamo la salita con un po’ d’affanno, poi il corpo si abitua e il passo diventa più regolare e cadenzato. Ormai ci conosciamo da tanto tempo, le nostre gambe marciano all’unisono. Con il respiro che si fa più regolare, cominciamo a sciorinare le nostre solite battute da caserma, i problemi e gli aneddoti sul nostro lavoro, le reminiscenze scolastiche con il ricordo dei vecchi compagni. Sono sempre le stesse cose, ma ci piace ripeterle mentre i nostri occhi si beano degli stupendi colori autunnali dei faggi che fanno da cornice al nostro cammino. Rosso, giallo, verde con l’azzurro del cielo che fa capolino dalle fitte chiome che ci fanno da tetto. Superiamo una coppia di escursionisti un po’ attempati che osservano con invidia il nostro passo marziale.

A 1.800 metri d’altitudine usciamo dal bosco e ci appare la corona di cime che fanno da anfiteatro alla nostra marcia. 

Ma subito il nostro sguardo, da estasiato diventa scuro. Ci scambiamo un’occhiata e un "uhm" di circostanza. Un po’ più in alto di noi c’è una colonna composta da una trentina di escursionisti che si sta arrampicando verso il passo Cavuto a 1.910 metri, la nostra prima tappa. Capirai, per dei misantropi solitari come noi è un colpo al cuore. Poco male ci diciamo, dovevamo prevederlo. Oggi è una giornata meravigliosa, non possiamo pretendere di stare soli nello stupendo scenario della Val di Rose.
Proprio all’altezza del valico superiamo con soddisfazione la colonna dei gitanti. Una sequela di "buongiorno", "buona giornata", "salve" accompagna il nostro passaggio oltre la fila di persone. Si sa, in montagna è sempre una buona norma di educazione salutare chi s’incontra lungo i sentieri.
Oggi non c’è traccia di camosci. Di solito, da queste parti, se ne incontrano tanti, ma forse l’affollamento di persone li ha spaventati e si sono ritirati in qualche posto più remoto.
Ora la nostra meta è il rifugio di Forca Resuni a 1.950 metri. Il nostro ritmo aumenta, ma adesso a spingerci è anche la fame. Sono quasi le tredici e le nostre pance gorgogliano vuote.
Con gli occhi sempre rivolti ad ammirare lo straordinario scenario che stiamo attraversando, fatto di prati verdi e un estemporaneo laghetto, dove due cavalli si stanno abbeverando, arriviamo in vista del rifugio. Lo raggiungiamo quasi di corsa. Il rifugio è, come sempre, chiuso. Ma ad accoglierci c’è un vento feroce e freddo che ci costringe a bardarci con cappelli di lana e giacche a vento. Finalmente tiriamo fuori dagli zaini la pizza ignorante, come chiamiamo la nostra pizza rossa unta e bisunta che cominciamo ad azzannare con voracità.

Volgendo lo sguardo a 360 gradi, abbiamo di fronte uno spaccato dell’Italia centrale che si offre ai nostri occhi. 

A est il Parco della Maiella, a ovest il Lazio con la Ciociaria che si estende fin verso il mare. A nord e a sud siamo dominati dalle cime più alte del Parco: il monte Petroso, lo Sterpi d’Alto e il Balzo della Chiesa.
Nel frattempo, gli escursionisti che avevamo superato prima al valico di passo Cavuto, ci hanno raggiunti e iniziano a occupare rumorosamente gli spazi intorno al rifugio. Ci scambiamo uno sguardo. Zaino in spalla e via, lontano dalla pazza folla.
Scendiamo per la valle Iannanghera, dalla parte opposta a quella da cui siamo saliti. In breve, ci immergiamo nel bosco. Il vento si acquieta e ci togliamo qualche strato di vestiti, rimanendo in camicia.
La discesa, da questa parte, è lunga e faticosa, le gambe fanno male e si va avanti per forza d’inerzia. Passiamo in mezzo a enormi faggi e aceri centenari. Lo sguardo rivolto in alto a contemplare cotanta maestà, rischiamo più volte d’inciampare. Finalmente, alle cinque del pomeriggio, avvistiamo l’agognata automobile.
È fatta anche stavolta, a cinquantaquattro anni come a trentadue, quando abbiamo cominciato per la prima volta. Nulla è cambiato, tranne i nostri volti, con qualche ruga e qualche capello bianco in più. E finisce come sempre, con una gran risata e i palmi delle nostre mani che sbattono l’una contro l’altra.




Franco Mieli
Da ragazzo scrivevo nel giornalino della scuola. Poi per decenni le varie fasi della vita mi hanno fatto abbandonare questa mia passione. Da circa 4 anni, con i figli ormai grandi, ho deciso di riprendere la scrittura. Coltivo la passione per l’archeologia e il trekking di cui ho trasferito le esperienze nei miei racconti.
Ombre pagane, Montecovello.



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1 commenti
  1. Un brano semplicemente "perfetto" dal punto di vista narrativo, ampiamente supportato dalle splendide foto. Se la ricompensa è il viaggio,come anticipato nel titolo, io aggiungerei: "Nulla ci è precluso nella vita, basta volerlo!"

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