Gli scrittori della porta accanto

Intervista a sua Maestà il Panettone

Intervista a sua maestà il Panettone

Di Silvia Pattarini. Com'è nato il panettone? Come è cambiato nel tempo? E quale sarà il suo futuro, tra varanti al cioccolato o alla crema speziata? Chiediamolo a lui, sua Maestà, il re delle nostre tavole natalizie!

Oggi ho voglia di giocare un po’. Eh, lo so, noi liberi pensatori siamo eterni bambini e in quanto tali abbiamo bisogno anche di divertirci. Qual è uno dei giochi preferiti dai poeti? La personificazione! Eh già, ci piace credere che anche le cose e gli animali abbiano un’anima e in quanto tali possano provare dei sentimenti o assumere sembianze umane. Molti poeti del passato, da Ugo Foscolo ad Ada Negri, per non parlare di Gianni Rodari, sono ricorsi alla personificazione, facendo provare sentimenti umani alle nuvole o alla neve e hanno fatto sorridere gli arcobaleni. Ma io non mi sono accontentata delle sole emozioni, nossignore! Ho voluto osare molto di più.
Così, mi sono detta: perché non dare voce ad un oggetto di uso comune? E ho pensato a un’intervista insolita a tema natalizio.
Ebbene sì, oggi sono lieta di scambiare due chiacchiere con il Re delle tavole natalizie: sua Maestà il Panettone.

Buongiorno Maestà. Ben arrivato nel nostro salotto letterario. Ha voglia di raccontarsi un po’? 

Buongiorno Silvia e grazie dell’accoglienza! Finalmente qualcuno che mi considera anche in veste insolita, in genere tutti mi vogliono subito mangiare! Oggi invece, grazie a te ho l’occasione di raccontarmi un po’.

Benissimo, io sono a dieta, quindi anche se a malincuore per oggi non voglio mangiarla. Mi racconti piuttosto com’è nato il panettone...

In origine ero più simile a una pagnotta. I primi documenti che parlano di me, anzi, dei miei antenati, raccontano che, la notte del 24 dicembre venivano portati in tavola tre grandi pani di frumento: il numero che simboleggiava la Trinità. Era un momento speciale, perché di solito il pane veniva preparato con un misto di granaglie meno nobili del frumento, perché quest’ultimo era molto costoso. A Natale, invece, si faceva un’eccezione e poiché l’abbondanza non ha mai fatto carestia, via libera alla farina di frumento. I tre pani venivano serviti ai commensali dal padre di famiglia e una fetta era conservata fino all’anno successivo, per simboleggiare la continuità, la rinascita e la ciclicità della vita.

Dove si può leggere questa bella storia sulla storia del suo antenato? 

Dobbiamo andare indietro nel tempo di parecchi secoli. L’abitudine di consumare pane di frumento a Natale ha origini antiche. Una teoria avvalla l’ipotesi che fino al 1395 tutti i forni di Milano (tranne il prestino Rosti, che riforniva i più abbienti) avevano il permesso di cuocere il pane di frumento solo il giorno di Natale, per omaggiare i loro clienti. Ma di questo abbiamo già parlato.
Il primo a parlarne fu tale signor Giorgio Valagussa, un umanista bresciano che si guadagnava da vivere come precettore in casa Sforza e che aveva tra i suoi allievi Ludovico il Moro, che in seguito, diventò duca di Milano.
Il Valagussa, in un antico documento, attesta la consuetudine ducale di celebrare il cosiddetto rito del ciocco. La sera del 24 dicembre si poneva nel camino un grosso ciocco di legno e, nel contempo, come dicevo prima, venivano portati in tavola tre grandi pani di frumento, materia prima per l’epoca di gran pregio. Era una gran festa.
Ora una versione manoscritta di quel documento risalente al 1470 è conservata nella Biblioteca ambrosiana di Milano e in versione “moderna” è riportata nel libro Il Panettone prima del Panettone, Guido Tommasi Editore, accessibile a tutti i curiosi.

Ci racconta qualche leggenda legata ai suoi antenati panettoni? Come quella di Toni...

Volentieri! Ce ne sono diverse. La più nota è milanese e racconta che Toni, un umile sguattero della cucina del duca Ludovico il Moro, sarebbe stato il reale inventore del panettone. Sembra che alla vigilia di Natale, il capocuoco degli Sforza bruciò il dolce preparato per il banchetto ducale. Toni allora, per evitare di prendersi una punizione, sacrificò il panetto di lievito che aveva tenuto da parte per il suo Natale. Lo lavorò a più riprese con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi, fino ad ottenere un impasto soffice e molto lievitato. Circola voce che l’uvetta passa fosse fornita direttamente dal vitigno di Leonardo Da Vinci, gradito ospite alla corte degli Sforza, e appassionato di uve pregiate. Il risultato fu un successo strepitoso e Ludovico il Moro lo intitolò Pan de Toni, in omaggio al suo creatore.
Ma l’intraprendente sguattero deve giocarsela con altri cuochi creativi. Infatti altri allievi pasticceri tra i quali Ughetto degli Atellani e pure Suor Ughetta, si contendono l’invenzione. Teatro della contesa però, non è la storia, quanto l’immaginario collettivo. Quella di Toni e le altre sono leggende nate a cavallo dell’ottocento e i primi novecento, per nobilitare ulteriormente ciò che già era un vanto della gastronomia milanese. Ughetto e Ughetta, tra l’altro, sono vocaboli che in milanese equivalgono a "uvetta" (ughett), ingrediente fondamentale nell’impasto del panettone milanese.

Quindi il nome “panettone” deriva dal Pan de’ Toni?

Pare di sì, anche se i milanesi per panettone intendono quello con l’uvetta nell’impasto. Anche in molte altre città europee e italiane esisteva l’usanza del pane arricchito della festa. A Genova ad esempio, esisteva un pane arricchito con canditi, anice e pinoli, prodotto nei giorni di festa, non necessariamente a Natale. Solo quello di Milano, però, diventò il “panettone”: panetun.

Il panettone di ieri e di oggi

Il dolce che conosciamo noi oggi però è molto diverso da una pagnotta...

Sì, il percorso è stato lungo. La prima vera definizione di un panettone, simile a quello che conosciamo oggi, si trova nel dizionario Cherubini del 1839, in cui si legge: “Specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina (ughett) o sultana”. Bisogna però ricordare che, quando il dizionario aggiunge una nuova “voce” alle sue pagine, l’usanza si è già stabilizzata nella società, e quindi ormai è diventata consueta. Possiamo quindi ipotizzare che quel tipo di pane dolce e ricco fosse prodotto comunemente da almeno trenta, quarant’anni, se non di più. Da notare che il Cherubini non parla di lievito.

E quando arriva il lievito?

La prima ricetta che parla di lievito si trova nel libro del 1853 di Giovanni Felice Luraschi dal titolo “Nuovo cuoco milanese economico”. L’autore parla di lievito e intende il lievito naturale, cioè una pasta acida di acqua e farina che fermenta da sola, solitamente chiamata “lievito madre”. Ancora oggi l’unico lievito consentito per ottenere il vero panettone.
Tutti i ricettari di quei tempi parlano di panettone “alla milanese” e quindi non ci sono dubbi che questo dolce sia nato a Milano.

Ci sono altre differenze tra il panettone di oggi e quello del passato?

Oggi si usa sicuramente una maggiore quantità di burro, che rende il dolce più saporito. Una quarantina di anni fa il rapporto classico tra farina e burro era un chilo di farina per quattro etti di burro. Alcuni pasticcieri riescono a creare panettoni con quantità di burro ancora maggiori. Ci vuole grandissima tecnica e professionalità, perché più si aggiungono grassi all’impasto e più risulta difficoltosa la lievitazione. Ed è fondamentale che un panettone, anche se ricco e saporito, mantenga una pasta soffice con una bella alveolatura. Alcuni maestri pasticceri ci riescono perfettamente.
Esiste inoltre una variante che sostituisce i canditi, aggiungendo all’impasto uvetta, gocce di cioccolato e gherigli di noce. Quindi ha dato il via ad una tendenza che oggi scatena la creatività e la fantasia dei maestri pasticcieri.

Il futuro del panettone secondo lei è nel cioccolato?

Anche se il classico panettone con canditi e uvetta non tramonterà mai, credo proprio di sì. Un po’ come i libri, che persisteranno nel tempo, immortali, nonostante gli ebook. Ma non solo il cioccolato, anche creme e varie farciture variopinte multistrati sono già da qualche anno sulle tavole di Natale. In Sicilia ad esempio preparano un ripieno con la tipica cassata. I palati si affinano e i gusti si rinnovano, i giovani apprezzano molto le novità. Vedo il mio futuro in un mantello nuovo rivestito di cioccolato, farcito con creme delicate, e gusti speziati. Vedo un futuro tra impasti morbidi e creme multicolori, panna e cioccolato, multicolore e multiculturale come la società attuale. In ogni caso vedo un futuro molto dolce!

Sua Maestà il Panettone, grazie davvero per essersi gentilmente raccontato al mio pubblico. Confido di ritrovarla presto sulle nostre tavole natalizie. Dolci Feste a lei.


Silvia Pattarini


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