Gli scrittori della porta accanto

[People] Antonio de Giovanni, medico senza frontiere e scrittore, intervista di Ornella Nalon

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Antonio de Giovanni ha abbandonato la carriera giunta a ottimi livelli per andare a fare il medico in Etiopia. Un momento di follia o di pura lucidità? 

Ciao Antonio, è un piacere averti con noi. La tua biografia ci dice che sei di Arona, che fai il medico di professione e lo scrittore per passione. Quale altra cosa vorresti aggiungere per farti conoscere meglio dai nostri lettori?
Posso solo aggiungere che sono da poco entrato nel mio sessantaduesimo anno di vita e che ho una figlia di 32 anni che è la “cosa” più bella che ho fatto in vita mia.

Per circa vent'anni hai lavorato come medico in un servizio pubblico per le tossicodipendenze. Un lungo percorso che ti ha messo a contatto con una gioventù difficile e in difficoltà. Secondo la tua esperienza, i ragazzi che diventano vittime dell'uso di droghe, hanno determinate caratteristiche in comune, oppure potenzialmente lo possono diventare tutti? È maggiore il numero delle persone che riescono uscire dal tunnel della dipendenza o quelle che vi rimangono?
Se ripenso a tutti i miei giovani pazienti le prima caratteristica comune che mi viene alla mente sono i loro occhi. Occhi penetranti, lucidi, attenti, curiosi ma tristi e disincantati. Uno sguardo disilluso e quasi tradito. Uno sguardo figlio, in molti casi, dell'estrema sensibilità che possedevano nell'approcciarsi alla vita di tutti i giorni e dell'estrema fragilità di fronte ai primi inevitabili insuccessi a cui la vita altrettanto inevitabilmente ci espone. La seconda caratteristica comune era l'appartenenza a famiglie problematiche o per alcuni versi assenti. Situazioni familiari che per la loro problematicità non solo non sono state in grado di appoggiare, sostenere o stimolare il giovane in momenti particolarmente difficili del suo sviluppo ma che si sono trasformate in fattori di rischio invece di essere fattori protettivi. Molti di loro sono comunque riusciti ad abbandonare le sostanze e iniziare una vita più libera. Le percentuali dipendono ovviamente dal tipo di sostanza, leggera o pesante, e dal tempo del suo utilizzo.

La tua carriera stava raggiungendo degli ottimi livelli quando hai deciso di mollare tutto per seguire un corso di medicina tropicale e poi partire per l’Etiopia. 

Era il 2008. Oltre a voler sentirti raccontare un po' di questa esperienza, ti chiedo se, a distanza di otto anni, ti sia mai pentito di questa decisione e, se fosse possibile saperlo, il motivo di questa coraggiosa scelta.
Nonostante sia del segno della Vergine sono sempre stato una persona portata prima all'agire e poi alla riflessione sulle eventuali conseguenze del suo agito. Da questo punto di vista l'esperienza etiope è stata paradigmatica. Al termine del corso di medicina tropicale uno dei docenti mi propose di recarmi in Etiopia per collaborare con il Ministero della Sanità Etiope in un progetto sulla tubercolosi. Non sapevo molto della tubercolosi e il mio livello di inglese era scolastico ma l'entusiasmo e la curiosità per questa nuova esperienza ebbero il sopravvento. Accettai senza pensare alle eventuali conseguenze. Lavorare un anno ad Addis Abeba è stata un'esperienza incredibile sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista personale. Molte delle persone che mi conoscono affermano che la scelta di mollare tutto è stata figlia di uno dei miei tanti momenti di follia, altre, poche in verità, affermano che è stata figlia di uno dei miei rari momenti di lucidità. Io devo ancora capire. A volte penso abbiano ragione gli uni e a volte gli altri. Dipende dal momento e dal luogo in cui mi trovo. Posso solo affermare che non mi sono mai pentito della scelta. Il motivo della scelta? Banale ma, in quel momento, almeno per me, molto doloroso... la fine di una storia d'amore anzi... della storia d'amore.

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L'anno successivo sei entrato a far parte dell'organizzazione “Medici senza frontiere” e sei andato a operare in Sud America. Sono curiosissima di conoscere quali e come sono state le tue esperienze in questo territorio. 
La prima missione si è svolta nel Norte de Santander, un dipartimento colombiano confinante con il Venezuela dove erano presenti le forze armate rivoluzionarie delle Farc e dell'ELN. A causa della presenza dei guerriglieri queste zone non potevano disporre della presenza di strutture sanitarie governative. L'obiettivo del nostro intervento era fornire assistenza sanitaria di base alle popolazioni della zona attraverso cliniche mobili. Ogni settimana si preparavano i medicinali, si organizzavano gli aspetti logistici e di sicurezza e si partiva con i fuoristrada o con le canoe verso uno dei quattro luoghi scelti per le cliniche. Devo dire che, al di là degli aspetti professionali, sono stati proprio gli aspetti logistici quelli che hanno messo a dura prova me e le mie tre ernie del disco. Viaggiare su un fuori strada per sei ore lungo percorsi impervi o su una canoa e poi dover camminare con zaino in spalla per altre due ore, per poi dormire in una piccola tenda canadese, non è stato sempre facile. Per non parlare poi delle condizioni igienico sanitarie in cui il team era costretto a vivere. Non ho vergogna a dire che dopo il primo mese di missione pensavo di abbandonare perché mi ritenevo inadatto. Poi ho addirittura prolungato il contratto e sono rimasto un anno e mezzo. Dopo questa prima dura esperienza, le successive in Bolivia, nel sud della Colombia e in Venezuela, sono state molto più abbordabili.

Arriviamo nel 2013 e ti viene assegnato il compito dell'accoglienza dei profughi in Sicilia. 

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Lasciando le considerazioni sul fenomeno dell'immigrazione agli esperti e sedicenti tali, dal punto di vista umano com'è stata questa esperienza che, se non erro, è ancora in corso? 
Ho cominciato ad occuparmi di assistenza ai migranti dapprima con Medici senza Frontiere a Ventimiglia e Pozzallo poi con Emergency a Castelvolturno e Agrigento e ora con Medecins du Monde a Reggio Calabria. Posso dire che sia un'esperienza al tempo stesso arricchente ma dolorosa. Arricchente perché mi ha dato e mi dà la possibilità di incontrare persone con una forza, una speranza, una riconoscenza e una generosità incredibili. Dolorosa perché le storie di violenza che senti raccontare dai migranti e i segni fisici che molte volte osservi sui loro corpi sono cose che ti fanno sanguinare il cuore.

Oltre a tutto ciò che abbiamo appena saputo, Antonio è anche scrittore. La tua prima pubblicazione risale al recente 2013. Hai scoperto solo allora di voler scrivere? Come ti è venuto l'input? Come consideri la scrittura: una passione, un hobby, un'esigenza o cos'altro? 
In realtà la prima pubblicazione che conteneva qualcosa di mio risale al 2012. Medici senza Frontiere aveva deciso di pubblicare un libro che contenesse una serie di esperienze di operatori sanitari nei vari scenari in cui l'organizzazione operava. Lanciò una sorta di selezione e il mio fu uno dei racconti scelti. Il libro uscì nel 2012 edito dalla Feltrinelli con il titolo di “Noi non restiamo a guardare”. Fu in quel momento che scoprii che mi piaceva scrivere. Al mio ritorno dalla Colombia,  un mio amico mi fece leggere alcune pagine che aveva scritto, mi sembrò una buona idea, gli proposi di farne un libro a quattro mani e fu così che nacque “Tango”, il mio primo libro. Forse il libro che mi ha divertito di più. È proprio questo che cerco nella scrittura, qualcosa che mi diverta fare. Da questo punto di vista la considero più un hobby che una passione o un'esigenza.

Sinora hai pubblicato quattro libri, se escludiamo quello che hai appena menzionato e che raccoglie un tuo racconto: “Tango”, “Il rumore del tempo che passa”, “L'uomo sulla panchina”, che ho avuto il piacere di leggere e recensire, e il recentissimo “Quei piccoli fraintendimenti della vita”. I primi tre romanzi sono stati scritti a quattro mani, invece nell'ultimo sei l'unico autore. Perché la scelta iniziale dei coautori e poi quella di scrivere da solo? 
Potrei rispondere che dopo aver scritto tre libri a quattromani mi sentivo finalmente pronto per scriverne uno da solo o che mi sentivo finalmente maturo ad accettare la sfida e cercare di capire se fossi in grado di scrivere senza “l'aiuto” di un altro. In realtà sarebbero bugie. Quando ho cominciato a scrivere "Quei piccoli fraintendimenti della vita" ho scoperto che la cosa mi piaceva, mi divertiva scriverlo e mi affascinava il fatto di poter tratteggiare i personaggi e sviluppare la storia senza essere obbligato a confrontarmi con un altro e modificare o calibrare ciò che avevo scritto in funzione di un altro. Posso dire quindi che non è stata una scelta premeditata ma un caso.

Ci racconti un po' la trama di “Quei piccoli fraintendimenti della vita”? 

Quei-piccoli-fraintendimenti-della-vita
0111 Edizioni
Romance
ebook 4,99€ 

È la storia di un quarantenne di nome Tommaso. Tommaso ha un lavoro che ama, è il creativo di una agenzia pubblicitaria piccola ma di successo, una bella casa sul lago, una vita sessuale attiva anche se non particolarmente soddisfacente e una manciata di buoni amici. All'apparenza non gli manca niente per essere felice eppure, da un po' di tempo la sua esistenza sembra aver perso colore. Sarà perché la crisi di mezz’età comincia a farsi sentire, perché le sue prestazioni sessuali non sono più quelle di una volta… o semplicemente perché una vita senza amore non può essere gratificante fino in fondo, a dispetto di ciò che ha sempre creduto? Difficile dare una risposta. Almeno per lui. Quando, una sera, si ritrova in un bar a sorseggiare un drink con un bionda mozzafiato, il massimo in cui spera è una delle solite notti di sesso occasionale. In realtà la vita ha in serbo per lui qualcosa di molto speciale.
Un'esperienza fatta di piccoli fraintendimenti all'interno di un fraintendimento più grande. Una serie di vicende da non dare per scontate e in cui stare attenti anche ai più piccoli particolari perché sono loro il nucleo della storia. Alla fine, quasi fossero i tasselli di un giallo, tutti i pezzi si incastrano così a ricomporre il quadro reale, un quadro che, pur raccontando una storia diversa e meno romanzesca di quella che Tommaso credeva di aver vissuto, gli consentirà di riscoprire il vero senso della vita e di mettere a fuoco le cose che contano. Un grande fraintendimento, insomma, che si rivelerà il preludio di un nuovo inizio. Quei piccoli fraintendimenti della vita è un libro serio ma non noioso, ironico ma non comico, sensuale ma non erotico, giallo ma non thriller...un po' come la vita e i suoi continui piccoli fraintendimenti.

Quanto c'è di autobiografico in questo romanzo? 
Nella storia nulla...in alcuni dei dialoghi...molto. Ovviamente non dirò mai quali sono i dialoghi.

Credo sia prematuro chiederti se hai già qualcos'altro in stesura ma, considerando le tue particolari e interessanti esperienze professionali, hai mai pensato di poterne parlare in un libro, prima o poi? 
Ho incominciato a scrivere qualcosa ma non ho ancora capito come dovrà svilupparsi la trama della storia e con quale finale. In realtà è una cosa che mi capita tutte le volte che comincio a scrivere qualcosa. Parlare delle mie esperienze professionali? Ho provato ma non ci riesco. Io ho un modo di scrivere piuttosto ironico e le cose che ho visto e le storie che mi sono state raccontate non si prestano a un racconto scritto in chiave ironica. Ci sono persone che sono in grado di farlo e di farlo bene, io non ne sono capace.

È arrivato il momento di salutarci. Oltre a farti un grosso in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti, ti ringrazio per la disponibilità dimostrata e per quanto fai per il sociale. 


Ornella Nalon
I miei hobby sono: il giardinaggio, la buona cucina, il cinema e, naturalmente, la scrittura, che pratico con frequenza quotidiana. Scrivo con passione e trasporto e riesco a emozionarmi mentre lo faccio. La mia speranza è di trasmettere almeno un po’ di quella emozione a coloro che leggeranno le mie storie.
Quattro sentieri variopinti”, Arduino Sacco Editore
Oltre i Confini del Mondo”, 0111 Edizioni
Ad ali spiegate”, Edizioni Montag
Non tutto è come sembra”, da 0111 Edizioni.


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