Gli scrittori della porta accanto

Quando il suicidio fa paura, ma la disinformazione di più, di Giulia Mastrantoni

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Il suicidio tra i giovani, da quanto asseriscono i media, pare sia diventato un fenomeno diffuso, spaventoso e incontrollabile. Ma è davvero così?

Lunedì 20 febbraio una persona che conoscevo si è (probabilmente) suicidata. Le indagini sono ancora in corso, ma sembra che l’ipotesi più accreditata sia proprio quella del suicidio. Aveva 24 anni.
La nostra era una conoscenza superficiale, che risaliva a quando eravamo bambini, e questo post non ha lo scopo di metterla in luce né di ottenere visualizzazioni facili. Il punto è che dopo tre suicidi in meno di due settimane (quello di Michele, quello a Lavagna e questo), ho realmente e visceralmente bisogno di scrivere.
Ho provato a riflettere, ma ho messo insieme appena due righe. La confusione e la paura che sentivo erano molto più prepotenti di tutto il resto: possibile che il suicidio sia diventato un fenomeno così diffuso, spaventoso e incontrollabile? Possibile che la disperazione e il vuoto siano diventati così inevitabili? Possibile che i giovani preferiscano la morte alla vita? E se un giorno mi suicidassi io? Quella notte ho dormito poco e male.
Il giorno dopo, provando a fare ordine nei pensieri, ho cercato dati sul suicidio giovanile e in Italia. Ho trovato discrepanza tra le cose che leggevo e quindi ho deciso di andare fino a fondo alla questione. Dato che credo ne valga la pena, condivido con voi le mie ricerche.

Nel 2012 l’Italia aveva un bassissimo tasso di suicidialità. Lo dice l’OMS.

Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso pubblico il primo rapporto globale sulla prevenzione del suicidio, posizionando l’Italia “tra i Paesi con i più bassi livelli di suicidialità sia a livello mondiale che europeo.” Nel 2012, infatti, si stimavano circa 4.000 suicidi annui.
Si era deciso di organizzare la prevenzione del suicidio in tre step.
In un articolo su Focus dello stesso anno, veniva riportata la conclusione del rapporto dell’OMS circa le modalità di prevenzione del suicidio da attuare:
Secondo il rapporto, le ricerche mostrano che una delle principali misure da prendere per ridurre il numero dei suicidi è limitare l'accesso ai mezzi, prima di tutto pesticidi e armi. Un altro sistema potrebbe essere quello di incoraggiare i media a riferire in modo più responsabile i casi, evitando linguaggio sensazionalistico e descrizione esplicita dei metodi utilizzati. E infine, mettere in atto delle politiche perché gli operatori sanitari riescano a intercettare prima possibile i segnali di disagio e disturbo mentali.
A quel punto, mi sono rassicurata.

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Però, poi, ho trovato un titolo allarmante su Il Tempo e sono andata di nuovo nel panico.

Pochi minuti dopo aver letto i documenti sopracitati e essermi leggermente tranquillizzata, ho trovato un articolo del 2016 pubblicato su Il Tempo dal titolo Mai così tanti suicidi in Italia. Non solo crisi, le statistiche parlano di depressione e solitudine. In tutto il Paese sono 4000, nel Lazio 352 casi in dodici mesi.
Mi è mancata l’aria solo a leggere il titolo. Ho cliccato e... Il panico.
Secondo Il Tempo, nel 2013 l’Italia ha raggiunto un picco mai visto prima di suicidi. Il pezzo sopracitato sottolinea come i suicidi in Italia siano costantemente aumentati dal 2007 al 2013, raggiungendo proprio in quell’anno, vette mai viste prima nel nostro Paese. Nello specifico, si citano i 4.291 suicidi riusciti nel 2013 come picco italiano di suicidi.
Però, nell’articolo non c’erano i dati degli anni precedenti al 2013. Inoltre qualcosa stonava con il rapporto dell’OMS. La sola cifra che veniva riportata era quella del 2013, ossia 4.291. Mancavano, quindi, i numeri dei suicidi degli anni precedenti per poter fare un confronto accurato che provasse quanto affermato nel titolo. 4.291 era davvero un picco?
Vivevo davvero nell’epoca più triste della storia d’Italia? L’idea non mi piaceva per niente.
Considerato che ero di nuovo spaventata e che avevo le idee più confuse che mai, sono andata a cercare qualche altro numero sul sito dell’ISTAT. Ho impiegato giorni per farmi un’idea della questione, ma ne è valsa la pena.
Nel file che vi ho linkato sopra, ovvero quello con la tabella ISTAT per i confronti internazionali, a pagina 4 sono riportati questi dati:


Quindi, cosa significano tutti quei numeri? Che il tasso di suicidialità dal 1993 al 2009 si è abbassato.

Il tasso di suicidialità in Italia, pur vedendo una lieve crescita tra il 2006 (6.3) e il 2009 (6.7), nel complesso si è notevolmente abbassato rispetto al 1993 (8.3). Il trend, insomma, è decrescente.
Sì, ma dal 2009 al 2013? Nel 2010 i suicidi sono lievissimamente aumentati rispetto al 2009.
Nel 2010 ci sono stati 3.989 suicidi, contro i 3.975 del 2009 e i 4.697 del 1993. Nonostante il lievissimo aumento rispetto al 2009, insomma, il 2010 è ben lontano dalle cifre del 1993.
Per chi avesse voglia di approfondire (altrimenti andate al prossimo paragrafo), l’Annuario Statistico 2013 diffuso dall’ISTAT riporta:
Nel periodo 1993-2010 (ultimo anno al momento disponibile), la mortalità per suicido è diminuita significativamente da 8,3 a 6,7 suicidi ogni centomila abitanti (Prospetto 3.1), mantenendosi tra le più basse nel mondo. Ai valori minimi, 6,3 e 6,4 suicidi ogni centomila abitanti verificatisi rispettivamente nel 2006 e nel 2007 (si ricorda che i dati sulla mortalità per causa degli anni 2004- 2005 non sono disponibili), è seguito un lieve aumento nel 2008, su valori sostanzialmente stabili nei due anni successivi. Analoghe oscillazioni rispetto al trend generale si sono verificate anche nei periodi 1995-1997 e 2002-2003.
I dati del 2011 non ci sono. L’ASI 2014, che dovrebbe contenere i dati del 2011, sul sito ISTAT non è reperibile. O meglio, lo è, ma se si clicca su quello che dovrebbe essere l’Annuario Statistico 2014 appare l’edizione del 2016. Sì, avviserò l’ISTAT, ma intanto andiamo al 2012.

Nel 2012 c’è stato un altro lievissimo aumento, che però è ben lontano dall’essere il più preoccupante nella storia d’Italia!

Nell’Annuario Statistico Italiano 2015, ISTAT riporta che i suicidi nel 2012 sono stati 4.258. Pur con un lievissimo aumento rispetto al 2010 (3.989, ve lo ricordo) e al 2009 (3.975, scusate le parentesi continue), si tratta comunque di una cifra ben lontana dall’essere superiore ai numeri dei suicidi degli anni 1993 – 1998, che superavano le 4.500 morti volontarie. Ho quasi finito con la matematica, promesso.
Il 4.291 citato da Il Tempo come numero di suicidi riusciti nel 2013 è un numero esatto, come si può riscontrare sul sito dell’ISTAT nell’Annuario Statistico Italiano 2016 (al Capitolo 4, se volete controllare). Però non è il picco di suicidi più alto nella storia d’Italia, anzi, è ampiamente superato da quello degli anni 1993 – 1998, che abbiamo già citato più volte.

suicidio-giovanile-giovani-Disperazione

No, non vivo negli anni più tristi della storia d’Italia.

Dopo tutti questi numeri, ho capito che la risposta alla mia domanda iniziale è che no, non devo avere paura di vivere negli anni più tristi della storia d’Italia: vivo in un’epoca che è sicuramente diversa da quelle che l’hanno preceduta, ma che a suo modo è nella norma. Vivo in un’epoca, insomma, in cui la morte non vince sulla vita. Posso fare un respiro profondo e riordinare i pensieri.
Scrivere un titolo così “calcato” è sbagliato soprattutto perché l’OMS, come vi ho raccontato nelle prime righe di questo post, raccomanda ai media di non sensazionalizzare in alcun modo il suicidio, per motivi che hanno verosimilmente a che vedere con la psicologia e l’emulazione.
Ma la mia non è una battaglia contro i media, tanto più che nasce dall’intima necessità di capire il gesto di un conoscente che mi ha spaventata. La mia, se proprio devo definirla in qualche modo, è una battaglia per difendere la vita. Perché dire a me, ragazza di 24 anni, in un articolo che potrei potenzialmente ricondividere su Facebook e che sto leggendo perché un mio conoscente si è suicidato, che i cittadini del mio Paese scelgono il suicidio, ora più che mai, equivale a dirmi di non provarci neppure e di darmi per vinta in partenza. E questo non mi sta bene.

Viaggi mentali e menti reali.

Lo so, in quell’articolo non c’è scritto nulla di simile, ma la mente umana è meravigliosa e pericolosa: fa salti notevoli e non li fa solo con me. La mente umana impiega un secondo, forse anche meno, a identificare i sottotesti di un tasso di suicidialità definito più alto che mai e a farli suoi.
La lettera del friulano Michele è stata ripubblicata da moltissime testate e blog, spesso senza alcuna parola di accompagnamento, dicendo indirettamente ai giovani come me: “Ti sei laureato? Bravo! E da grande che fai, il disoccupato?” Neanche questo mi sta bene.
Le parole frutto della disperazione, così come i gesti, andrebbero trattati con cura. Era questo che voleva dirci l’OMS nel 2014. 
Ma passiamo a quello che voglio dirvi io, al mio messaggio positivo. Quello che voglio dirvi, dopo tutte queste parole, è che non c’è niente che mi renda immune dal sentirmi debole, persa e sola. Non c’è alcuna garanzia che io nella mia vita non arrivi mai a livelli di disperazione tali da non avere più voglia di alzarmi dal letto la mattina. Anche a me verranno sbattute in faccia mille porte da uomini che amo, da datori di lavori e da amici di cui mi fidavo. Anche io potrei arrivare a vedere tutto nero prima o poi, anche grazie a chi mi incoraggia a farlo. A volte già lo faccio, in effetti, e di certo lo ho fatto in passato.
Però i momenti in cui lo faccio sono anche quelli in cui mi ricordo che la disperazione è solo una faccia di quella medaglia che si chiama vita. La disperazione fa parte della vita, perché i momenti di delusione, disillusione e solitudine sono parte integrante di quel percorso formativo che ci porta a diventare esseri umani migliori, più consapevoli e più determinati. La consapevolezza deve insegnarci a capire che la delusione non dura per sempre, mentre la determinazione deve essere volta non solo a perseguire la nostra realizzazione personale, ma anche a lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo di noi. Dobbiamo usare la nostra conoscenza della disperazione, più o meno dolorosa, come mezzo per renderci e rendere il mondo migliore.
I momenti neri non sono un punto di arrivo, ma fasi durante le quali ci si prepara ad imparare il valore reale della vita e del sorriso. Perché la disperazione insegna: se aspettate che sia lei a darvi le sue lezioni, anziché darle voi alla vostra vita, ne uscirete più forti, più sensibili e più propositivi. Questo sarebbe importante che qualcuno ci dicesse, insieme alle notizie di cronaca.

Dato che credo nel “fare” e non nel solo dire, vi propongo tre idee per cambiare concretamente le cose.

Partiamo dalle scuole. In un post precedente incoraggiavo il nostro sistema scolastico a integrare l’educazione sessuale nei programmi. Nello stesso modo, insegnare un po’ di psicologia in modo accurato e continuativo durante le scuole dell’obbligo, ci aiuterebbe ad avere chiari i problemi legati alla depressione, alla depressione post-traumatica e a tutte quelle problematiche che ci troviamo ad affrontare nella vita vera, senza che nessuno ci abbia insegnato come fare. L’emotività non deve restare una sconosciuta: facciamoci amicizia.
Partiamo anche da noi stessi. Iniziamo ad essere più umani e più gentili, perché una delle prime cause di suicidio, e ormai ho letto abbastanza sull’argomento, è proprio la mancanza di un partner o la rottura. Diamoci da fare per stabilire relazioni umane che siano basate sulla fiducia, sulla presenza reciproca e sulla voglia di restarci accanto. Innamoriamoci di nuovo dell’amore e smettiamola di pensare che insensibilità faccia rima con intelligenza, perché è chiaro che non sia vero.
Per concludere, e questo è il mio consiglio personale a tutti, leggiamo due frasi positive appena ci svegliamo la mattina e due prima di andare a dormire. Basta anche qualcosa come: 
Il mondo è grande e da qualche parte c’è il tuo angolino di felicità che ti aspetta.
Però facciamolo. Perché il cambiamento interiore, fortunatamente, inizia dai piccoli gesti.

Speranza



Giulia Mastrantoni
Da quattro anni collaboro all’inserto Scuola del Messaggero Veneto, scrivo per il mash up online SugarPulp e per la rivista dell’Università di Trieste Sconfinare.
Dopo aver trascorso un periodo in Inghilterra, ho iniziato un periodo di studi in Canada, ma, dovunque sia, scrivo.
Misteri di una notte d’estate, ed. Montag.
One Little Girl – From Italy to Canada, eBook selfpublished.
Veronica è mia, Pensi Edizioni.


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