Gli scrittori della porta accanto

[Cinema] "La tartaruga rossa", recensione di Mario D'Acunto.

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La tartaruga rossa

REGIA Michaël Dudok de Wit 
PRODUZIONE Arte France Cinéma, Prima Linea Productions, Studio Ghibli, Why Not Productions, Wild Bunch
DISTRIBUZIONE BiM Distribuzione 
SCENEGGIATURA Michaël Dudok de Wit, Pascale Ferran 
MUSICHE Laurent Perez
ANNO 2017








"La tartaruga rossa", solo tre giorni di proiezione per l'ultimo film prodotto dal celebre Studio Ghibli. Un importante messaggio naturalistico, un'opportuna lezione di vita. Un lungometraggio poetico ma lento e privo di dialoghi, forse non adatto a un pubblico infantile ma di sicuro impatto emotivo. 

Solo tre giorni nelle sale… anzi, solo tre giorni in alcune sale. È bastato questo a spingermi ad andare al cinema. Se poi consideriamo anche la collaborazione dello Studio Ghibli, allora risulta chiaro che si trattava di un’occasione che non potevo proprio perdere. Il fascino trasmessomi da questi grandi particolari è continuato appena sullo schermo è apparsa la prima scena: un uomo nel bel mezzo di una tempesta, che riesce a salvarsi e si ritrova naufrago su un’isola deserta. Ad animare sonoramente l’atmosfera, solo il respiro del mare, il rumore del temporale e qualche urlo lanciato dall’uomo. 
Del resto tutto il film si caratterizza per la mancanza di dialoghi, chiara marca registica, che lascia emergere i suoni della natura.
Davvero una seduta benefica, in tempi in cui siamo assaliti continuamente da un esercito di rumori. Noto che in sala ci sono anche famiglie con piccoli bambini. Mi chiedo: perché? La risposta è ovvia: "La tartaruga rossa", che bella favola dovrà essere! Peccato che neanche a metà spettacolo qualche bambino inizia a piangere e un genitore è costretto a fargli fare il giro della sala. Credo che sarebbe stato meglio un pomeriggio al parco, sicuramente più adatto a quella tenera età.
Il protagonista sembra essere condannato a un destino di solitudine e inizia a lottare per la sopravvivenza, sottoposto a un continuo stimolo creativo. Tenta più volte la fuga con una zattera da lui costruita, ma una grande tartaruga glielo impedisce, tuttavia senza mai attaccarlo o ferirlo, ma semplicemente rompendo la sua zattera. È il simbolo della natura che pretende di non essere abbandonata dall’essere umano, ma cerca con esso una condivisione di percorso
L’uomo inizialmente ha un atteggiamento difensivo nei suoi confronti, mostrandosi impaurito e percependola come nemica.

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Successivamente, sopraffatta dall’uomo e ormai destinata a morire sulla sabbia, la tartaruga e quindi la natura, riceve il suo affetto. 

L’uomo inizia così ad avvicinarsi a quel rapporto panico, che si snoderà lungo tutta la restante parte del racconto filmico. Il guscio della tartaruga si rompe e avviene la sua trasformazione in una donna dai capelli rossi, che, seguendo le orme comportamentali dell’uomo, ha paura di lui, ma alla fine rompe per la seconda volta il suo guscio e vi si unisce, portando al culmine il panismo uomo-natura. L’inquadratura a tal proposito è esemplare e mostra i due percorsi paralleli, dell’uomo e della natura, che alla fine si toccano e si fondono in un bacio al contempo reale e metaforico
La donna dona amore all’uomo e i due hanno un bambino. Il tempo passa, il bambino cresce e improvvisamente uno tsunami travolge l’isola. Immediato il riferimento a contemporanei fatti di cronaca, che spingono lo spettatore a pensare alla natura come una sposa magnifica e crudele allo stesso tempo.
I tre però riescono a salvarsi e continuano la loro vita insieme sull’isola, finché il ragazzo non decide di partire e abbandonarla. Un natìo che quindi abbandona la propria terra, che non offre prospettive di vita a lui adatte: un moderno distacco dalla propria terra e dalla propria famiglia, che oggi è divenuto quasi pratica abituale per un ragazzo che voglia far carriera in base ai suoi interessi e qualità. Interessante è che, anche in questo caso, fianco a fianco dell’essere umano, c’è la natura, rappresentata da alcune tartarughe che accompagnano il ragazzo nel suo viaggio. Sempre insieme, nell’arrivo, nel mentre, nella partenza e infine nella morte dell’essere umano.

Nel dolore, la donna torna tartaruga. Un importante messaggio sul rapporto tra l'uomo e la natura.

Toccante a tal proposito la sequenza nel finale, in cui la donna ormai anziana, accanto all’uomo che dorme, si accorge che in realtà è morto e nel dolore ritorna nuovamente tartaruga e si immerge in mare, la casa in cui vive per natura e dove ha incontrato l’uomo a cui ha donato e dal quale ha ricevuto amore e vita. Solo un’apparente divisione tra i tre personaggi, ricomposta dal gesto della tartaruga-donna, che torna nelle stesse acque in cui si è immerso il figlio e che l’hanno “inondata” d’amore. La natura e l’uomo hanno saputo costruire una convivenza all’insegna di un panismo assoluto e neanche la morte potrà dividerli.
Il regista ci ha invitato a riflettere sul rapporto che ognuno di noi ha con la natura e su quanto si abbia, oggi, la concezione di un uomo che piega la natura ai suoi interessi, piuttosto che esserne “figlio” prima e “marito” poi. Certo è che molte altre tematiche sono state toccate dalla narrazione cinematografica, ma ho deciso di incentrare la mia analisi su questa in particolare.

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Montaggio e immagini.

Il montaggio non presenta particolari soluzioni interessanti, e si caratterizza soprattutto per il suo essere ellittico, in modo da dare l’impressione dello scorrere del tempo. L’intero film esclude ogni possibile movimento di macchina e di conseguenza ogni possibile ermeneutica sulla semantica dei movimenti di macchina da presa. Le immagini colpiscono l’occhio dello spettatore nei loro colori e nel loro mostrare una poesia profonda, animate da un’estetica di piacevole semplicità.

Punti deboli e conclusione.

Attraverso le sue ellissi temporali, a volte la narrazione sembra procedere troppo velocemente ed altre sembra rallentare troppo, bloccando la fluidità di un film già a lento scorrimento, considerata anche l’assenza di dialoghi. Dunque non sempre vi è il giusto equilibrio tra tempo della storia e tempo del racconto, fattore che inevitabilmente va a disturbare la fruizione spettatoriale. 
Ritengo il film davvero un'opportuna lezione di vita. Proviamo ad immaginarci proiettati improvvisamente su un’isola deserta. Saremmo capaci di sopravvivere? Saremmo capaci di far dialogare la nostra anima, con l’anima di quanto ci circonda? Saremmo capaci di ammettere che non siamo padroni della Natura? 




Mario-D-Acunto

Mario D'Acunto
Sono un cantautore e studente universitario in Letteratura, Musica e Spettacolo presso l’Università La Sapienza di Roma. Ho visto nascere la mia passione per la musica sui banchi di scuola, scrivendo il mio primo brano durante una lezione di Greco. Ho iniziato ad appassionarmi al cinema, materia di studio nel mio corso, con spirito critico. Mi piace viaggiare e rimanere incantato davanti alle bellezze della natura. Credo l'arte, che si tratti di musica, cinema o letteratura, sia una delle più alte manifestazioni dello spirito umano, da accogliere, condividere e trasmettere…


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