La madre di Jane, Shirley, andò a trovarla insieme alla prozia Carolyn.
Erano tutte e tre a disagio e, nei momenti di silenzio, Jane sentiva le foglie morte cadere sul pavimento di casa. Adorava le sue piante, ma tenerle in vita era al di là delle sue capacità.
«Davvero, Jane, non so come fai a sopravvivere qui» osservò Shirley, staccando le foglie ormai secche in mezzo a quelle di un verde giallastro. «Abbiamo rischiato di morire prima, in quell’ascensore che sembra una bara, vero Carolyn? La tua povera zia voleva rilassarsi, ma qui pare di stare in una sauna, e poi non c’è un attimo di pace, tra il traffico, gli allarmi delle auto e le sirene. Sei sicura di non aver lasciato le finestre aperte?»
«Siamo a Manhattan, mamma. È così.»
«Be’, non so cosa vuol dire “così”» ribatté lei in tono di rimprovero, la mano sul fianco. Il pavimento di legno vecchio di sessant’anni scricchiolò sotto i suoi piedi. «Sono andata a prendere Carolyn a casa sua e in soggiorno c’era un silenzio tale che avrei giurato di essere in campagna.»
Certo, perché i soldi comprano i doppi vetri, pensò Jane.
«Ma lasciamo perdere. Dimmi, piuttosto, come va...»
No, ti prego! pensò Jane. Non chiedermi della mia vita sentimentale!
«...la tua amica Molly?»
«Ah, Molly. Sì, sta bene, da quando ha avuto i gemelli lavora come freelance per il giornale» disse. E poi, rivolta a Carolyn, seduta sulla sedia a rotelle accanto alla porta: «Io e Molly siamo amiche dalla prima media».
Carolyn aveva il volto coperto di rughe sottili come impronte digitali non solo intorno agli occhi e sulla fronte, ma anche sulle guance scavate. La guardò con aria inespressiva, poi roteò leggermente gli occhi, come a volerli alzare al cielo. Jane non sapeva se il suo sguardo volesse essere critico o complice, quindi finse di non notarlo.
L’ultima volta che l’aveva vista era stato al funerale di sua nonna, quando aveva dodici anni. Le era parso strano che Shirley, arrivando in città, avesse insistito per invitarla a pranzo con loro. Ma, a giudicare dalle occhiate avide ed eloquenti che continuava a lanciarle, Jane immaginò che, siccome Carolyn stava invecchiando, sua madre volesse fare una buona impressione su di lei nel disperato tentativo di aggiudicarsi i resti del suo patrimonio, frutto del commercio di pesce. Di sicuro scegliere come punto di ritrovo l’appartamento di Jane anziché un ristorante era stato un espediente per mostrare a Carolyn le vergognose condizioni di vita della pronipote.
«Andiamo?» chiese Jane, ansiosa di porre fine alle manovre di Shirley.
«Certo, amore, prima però ti aggiusto i capelli.»
Ogni volta che la pettinava, si sentiva come se avesse di nuovo sette anni. Ma la lasciava fare, perché sapeva che Shirley Hayes, Miss Chignon 1967, riusciva a trovare la pace solo quando nessun capello era fuori posto.
«Mi raccomando, amore: ascoltala» sussurrò rapidamente Shirley, propinandole il suo discorsetto su Come Fare Colpo sulla Vecchia. «Agli anziani piace tanto. Chiedile della sua infanzia e lasciala parlare, se le va. Alla sua età, non le restano che i ricordi, poverina.»
Quando uscirono dal bagno, Carolyn non c’era più. Jane corse nella stanza accanto con in mente l’immagine inquietante di una sedia a rotelle che precipitava giù per le scale. E invece Carolyn era lì, accanto alla finestra, che cercava di spostare una pianta da vaso verso il quadrato di luce che entrava nella stanza. A un tratto Jane udì un tonfo e si accorse che i dvd di Orgoglio e pregiudizio erano caduti a terra dal loro nascondiglio arboreo.
Si sentì avvampare. Carolyn sorrise e le innumerevoli rughe confluirono in alcuni solchi più profondi.
Be’, anche se li aveva visti, cosa importava? Un sacco di gente ce li aveva. Perché doveva vergognarsene? Di certo non nascondeva il cofanetto della prima stagione di Ti presento i miei o Lo yoga a prova di imbranato. Eppure, qualcosa nel sorriso di Carolyn la fece sentire come se avesse indosso solo un paio di mutande. Lerce.
Al ristorante, quando Shirley si alzò per andare a incipriarsi il proverbiale naso, Jane fece del suo meglio per dissimulare il suo disagio. Ci fu un lungo silenzio durante il quale tormentò l’insalata con la forchetta per scansare la rucola.
«È stato un autunno mite» osservò infine.
«Ti stai chiedendo se li ho visti» ribatté Carolyn. Alcune voci diventano dure e inquiete con l’età, altre graffianti come pezzi di vetro. La sua, invece, era morbida come la sabbia battuta dalle onde, fino a diventare impalpabile come zucchero a velo.
«Che cosa?» chiese con un filo di voce.
«È diabolico, quel Darcy. Ma non li nasconderesti in una pianta se non avessi la coscienza sporca. Il che mi fa pensare che non si tratta di semplici fantasticherie. Hai più di trent’anni e non hai un marito né un fidanzato se i pettegolezzi di tua madre e le foto nel tuo appartamento non mentono. Ed è tutta colpa di quella storia. È un’ossessione.»
Jane rise. «Non è un’ossessione.»
E invece sì, lo era.
«Mmm. Sei diventata rossa. Dimmi un po’, cosa ci trovi di tanto affascinante?»
Jane svuotò il bicchiere d’acqua e lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso il bagno delle signore, per accertarsi che sua madre non stesse tornando. «Oltre a essere brillante e arguto e, forse, il miglior romanzo che sia mai stato scritto, è anche la storia d’amore più perfetta di tutta la letteratura che la realtà non potrà mai eguagliare, quindi passo la vita a inseguirla.»
Carolyn la fissò, come in attesa. Ma Jane riteneva di aver già detto abbastanza.
«È un bel romanzo,» convenne Carolyn «ma nella pianta non nascondevi la versione cartacea. Ho visto il film. So anche chi è Colin Firth, mia cara. E credo di intuire cos’è che stai aspettando.»
«Be’, ma è così?»
Jane fece un sorriso forzato. «È stato un autunno mite, vero?»
Carolyn strinse le labbra, che si fecero rugose come le guance. «Come va la tua vita sentimentale?»
«Ci ho dato un taglio.»
«Ah, sì? Gettare la spugna a trentadue anni. Mmm. Posso azzardare un’ipotesi?» L’anziana zia si sporse in avanti, la voce suadente che si insinuava tra il rumore di piatti e le risate fragorose degli uomini d’affari. «Le cose non vanno benissimo e, ogni volta che un uomo ti delude, lasci entrare Darcy un po’ di più. Forse sei arrivata al punto in cui sei talmente legata all’idea di quel mascalzone che non ti accontenteresti di niente di meno.»
Un’oliva rimase attaccata alla foglia di lattuga sulla forchetta di Jane e, quando lei la scrollò via, volò dall’altra parte del tavolo finendo sul sedere di un cameriere. Jane aggrottò la fronte. Certo, la sua lista di ex era davvero patetica. E poi c’era stato quel sogno che aveva fatto qualche settimana prima: lei con indosso un abito da sposa tutto strappato (stile Miss Havisham di Grandi speranze) che ballava da sola in una casa buia aspettando che Darcy venisse a salvarla. Quando si era svegliata di soprassalto, il sogno era ancora troppo vivido e spaventoso per riderci su. In realtà, non riusciva ancora a farlo.
«Forse sono solo un po’ stramba» osservò.
«Mi ricordo di te, Jane.» Carolyn aveva gli occhi celesti come jeans lavati troppo spesso. «Rammento che eravamo sedute vicine in quel gazebo sul lago dopo il funerale di mia sorella, cioè di tua nonna. Non avesti paura a raccontarmi che, durante la messa, non avevi potuto fare a meno di chiederti cosa ci sarebbe stato per pranzo. Era sbagliato? Voleva dire che non volevi abbastanza bene alla nonna? La tua voce, le tue domande di bambina mi aiutarono ad alleviare il dolore. Sei troppo sincera per farti ingannare così.»
Jane annuì. «Quel giorno avevi un vestito con il colletto di pizzo. Era molto elegante.»
«Me l’aveva regalato il mio defunto marito. Era il mio preferito.» Carolyn ripiegò il tovagliolo, lisciandone gli angoli con le mani un po’ tremanti. «Io e Harold abbiamo avuto un matrimonio infelice. Lui parlava poco e lavorava tanto. Io mio annoiavo ed ero abbastanza ricca da poter uscire di nascosto con uomini giovani e belli. Dopo un po’, anche Harold cominciò a darsi da fare in giro, credo per ferirmi. Fu solo quando diventai troppo vecchia per attirare i playboy che guardai l’uomo che avevo accanto e mi resi conto di quanto amassi il suo viso. Trascorremmo insieme due anni magnifici prima che il suo cuore cedesse. Sono stata così stupida, Jane. Sono riuscita a vedere la realtà solo dopo che il tempo aveva spazzato via tutto il resto.» Parlava in tono incolore: il dolore dietro le parole era scemato da tempo.
«Mi dispiace.»
«Be’, faresti meglio a dispiacerti per te stessa. Io sono vecchia e ricca e posso dire quello che mi pare. Quindi: cerca di capire cos’è vero per te. Non ha senso sognare tutta la vita la storia di qualcun altro. Sai, quel libro non le ha fatto per niente bene alla Austen: è morta zitella.»
«Non che ci sia niente di male a essere zitella» aggiunse Carolyn, passandosi una mano sulle fragili pieghe del collo.
«Certo che no. È solo un sinonimo arcaico di “donna in carriera”.»
«Senti, tesoro, io ho vissuto la mia vita. Ho avuto i miei momenti di gloria e ora vedo scorrere i titoli di coda. Ma chi può dire quale sarà la tua storia? Quindi vai a prenderti il tuo “e vissero felici e contenti”» concluse, con l’entusiasmo di un allenatore che incita i suoi giocatori.
Era condiscendente, ma in modo tenero. Era giunto il momento di cambiare discorso. Con molta nonchalance.
«Perché non mi racconti della tua infanzia, zia?»
Carolyn rise, morbida come burro a temperatura ambiente. «Ah, la mia infanzia, proprio ora che sono agli sgoccioli. Be’, parlarne non mi dispiace. Sono sempre stata zoppa. La nostra famiglia era povera e io e tua nonna dividevamo un letto che pendeva da una parte, ma non sono certa che sia stata questa la causa...»
Shirley tornò dal bagno mentre Carolyn stava parlando del prezzo del latte quando era bambina e lanciò alla figlia un’occhiata d’approvazione. Meno male che non aveva sentito la parte di conversazione sulla pronipote stramba. Sua madre era un tipo pragmatico, a partire dagli occhiali dalla vistosa montatura fino alle scarpe con il tacco largo, e non poteva certo concepire che sua figlia vivesse nel mondo dei sogni.
Jane avrebbe tanto voluto essere d’accordo. Insomma, una trentenne non poteva fantasticare sul personaggio di un romanzo vecchio di duecento anni al punto da lasciarlo interferire con la sua vita e le sue relazioni, quelle sì, reali e importanti. Non poteva, punto.
Jane si ritrovò in bocca una foglia di rucola.
«Davvero, Jane, non so come fai a sopravvivere qui» osservò Shirley, staccando le foglie ormai secche in mezzo a quelle di un verde giallastro. «Abbiamo rischiato di morire prima, in quell’ascensore che sembra una bara, vero Carolyn? La tua povera zia voleva rilassarsi, ma qui pare di stare in una sauna, e poi non c’è un attimo di pace, tra il traffico, gli allarmi delle auto e le sirene. Sei sicura di non aver lasciato le finestre aperte?»
«Siamo a Manhattan, mamma. È così.»
«Be’, non so cosa vuol dire “così”» ribatté lei in tono di rimprovero, la mano sul fianco. Il pavimento di legno vecchio di sessant’anni scricchiolò sotto i suoi piedi. «Sono andata a prendere Carolyn a casa sua e in soggiorno c’era un silenzio tale che avrei giurato di essere in campagna.»
Certo, perché i soldi comprano i doppi vetri, pensò Jane.
«Ma lasciamo perdere. Dimmi, piuttosto, come va...»
No, ti prego! pensò Jane. Non chiedermi della mia vita sentimentale!
«...la tua amica Molly?»
«Ah, Molly. Sì, sta bene, da quando ha avuto i gemelli lavora come freelance per il giornale» disse. E poi, rivolta a Carolyn, seduta sulla sedia a rotelle accanto alla porta: «Io e Molly siamo amiche dalla prima media».
Carolyn aveva il volto coperto di rughe sottili come impronte digitali non solo intorno agli occhi e sulla fronte, ma anche sulle guance scavate. La guardò con aria inespressiva, poi roteò leggermente gli occhi, come a volerli alzare al cielo. Jane non sapeva se il suo sguardo volesse essere critico o complice, quindi finse di non notarlo.
L’ultima volta che l’aveva vista era stato al funerale di sua nonna, quando aveva dodici anni. Le era parso strano che Shirley, arrivando in città, avesse insistito per invitarla a pranzo con loro. Ma, a giudicare dalle occhiate avide ed eloquenti che continuava a lanciarle, Jane immaginò che, siccome Carolyn stava invecchiando, sua madre volesse fare una buona impressione su di lei nel disperato tentativo di aggiudicarsi i resti del suo patrimonio, frutto del commercio di pesce. Di sicuro scegliere come punto di ritrovo l’appartamento di Jane anziché un ristorante era stato un espediente per mostrare a Carolyn le vergognose condizioni di vita della pronipote.
«Andiamo?» chiese Jane, ansiosa di porre fine alle manovre di Shirley.
«Certo, amore, prima però ti aggiusto i capelli.»
E così, alla veneranda età di trentadue anni, Jane seguì la madre in bagno e si sottopose al supplizio dell’acconciatura.
«Mi raccomando, amore: ascoltala» sussurrò rapidamente Shirley, propinandole il suo discorsetto su Come Fare Colpo sulla Vecchia. «Agli anziani piace tanto. Chiedile della sua infanzia e lasciala parlare, se le va. Alla sua età, non le restano che i ricordi, poverina.»
Quando uscirono dal bagno, Carolyn non c’era più. Jane corse nella stanza accanto con in mente l’immagine inquietante di una sedia a rotelle che precipitava giù per le scale. E invece Carolyn era lì, accanto alla finestra, che cercava di spostare una pianta da vaso verso il quadrato di luce che entrava nella stanza. A un tratto Jane udì un tonfo e si accorse che i dvd di Orgoglio e pregiudizio erano caduti a terra dal loro nascondiglio arboreo.
Si sentì avvampare. Carolyn sorrise e le innumerevoli rughe confluirono in alcuni solchi più profondi.
Be’, anche se li aveva visti, cosa importava? Un sacco di gente ce li aveva. Perché doveva vergognarsene? Di certo non nascondeva il cofanetto della prima stagione di Ti presento i miei o Lo yoga a prova di imbranato. Eppure, qualcosa nel sorriso di Carolyn la fece sentire come se avesse indosso solo un paio di mutande. Lerce.
Al ristorante, quando Shirley si alzò per andare a incipriarsi il proverbiale naso, Jane fece del suo meglio per dissimulare il suo disagio. Ci fu un lungo silenzio durante il quale tormentò l’insalata con la forchetta per scansare la rucola.
«È stato un autunno mite» osservò infine.
«Ti stai chiedendo se li ho visti» ribatté Carolyn. Alcune voci diventano dure e inquiete con l’età, altre graffianti come pezzi di vetro. La sua, invece, era morbida come la sabbia battuta dalle onde, fino a diventare impalpabile come zucchero a velo.
«Che cosa?» chiese con un filo di voce.
«È diabolico, quel Darcy. Ma non li nasconderesti in una pianta se non avessi la coscienza sporca. Il che mi fa pensare che non si tratta di semplici fantasticherie. Hai più di trent’anni e non hai un marito né un fidanzato se i pettegolezzi di tua madre e le foto nel tuo appartamento non mentono. Ed è tutta colpa di quella storia. È un’ossessione.»
Jane rise. «Non è un’ossessione.»
E invece sì, lo era.
«Mmm. Sei diventata rossa. Dimmi un po’, cosa ci trovi di tanto affascinante?»
Jane svuotò il bicchiere d’acqua e lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso il bagno delle signore, per accertarsi che sua madre non stesse tornando. «Oltre a essere brillante e arguto e, forse, il miglior romanzo che sia mai stato scritto, è anche la storia d’amore più perfetta di tutta la letteratura che la realtà non potrà mai eguagliare, quindi passo la vita a inseguirla.»
Carolyn la fissò, come in attesa. Ma Jane riteneva di aver già detto abbastanza.
«È un bel romanzo,» convenne Carolyn «ma nella pianta non nascondevi la versione cartacea. Ho visto il film. So anche chi è Colin Firth, mia cara. E credo di intuire cos’è che stai aspettando.»
«Senti, non credo che riuscirò mai a sposare Darcy. Solo che... non c’è niente nella vita reale che sia bello come... va bene, dai, non voglio che pensi che la tua pronipote viva nel mondo dei sogni.»
Jane fece un sorriso forzato. «È stato un autunno mite, vero?»
Carolyn strinse le labbra, che si fecero rugose come le guance. «Come va la tua vita sentimentale?»
«Ci ho dato un taglio.»
«Ah, sì? Gettare la spugna a trentadue anni. Mmm. Posso azzardare un’ipotesi?» L’anziana zia si sporse in avanti, la voce suadente che si insinuava tra il rumore di piatti e le risate fragorose degli uomini d’affari. «Le cose non vanno benissimo e, ogni volta che un uomo ti delude, lasci entrare Darcy un po’ di più. Forse sei arrivata al punto in cui sei talmente legata all’idea di quel mascalzone che non ti accontenteresti di niente di meno.»
Un’oliva rimase attaccata alla foglia di lattuga sulla forchetta di Jane e, quando lei la scrollò via, volò dall’altra parte del tavolo finendo sul sedere di un cameriere. Jane aggrottò la fronte. Certo, la sua lista di ex era davvero patetica. E poi c’era stato quel sogno che aveva fatto qualche settimana prima: lei con indosso un abito da sposa tutto strappato (stile Miss Havisham di Grandi speranze) che ballava da sola in una casa buia aspettando che Darcy venisse a salvarla. Quando si era svegliata di soprassalto, il sogno era ancora troppo vivido e spaventoso per riderci su. In realtà, non riusciva ancora a farlo.
«Forse sono solo un po’ stramba» osservò.
«Mi ricordo di te, Jane.» Carolyn aveva gli occhi celesti come jeans lavati troppo spesso. «Rammento che eravamo sedute vicine in quel gazebo sul lago dopo il funerale di mia sorella, cioè di tua nonna. Non avesti paura a raccontarmi che, durante la messa, non avevi potuto fare a meno di chiederti cosa ci sarebbe stato per pranzo. Era sbagliato? Voleva dire che non volevi abbastanza bene alla nonna? La tua voce, le tue domande di bambina mi aiutarono ad alleviare il dolore. Sei troppo sincera per farti ingannare così.»
Jane annuì. «Quel giorno avevi un vestito con il colletto di pizzo. Era molto elegante.»
«Me l’aveva regalato il mio defunto marito. Era il mio preferito.» Carolyn ripiegò il tovagliolo, lisciandone gli angoli con le mani un po’ tremanti. «Io e Harold abbiamo avuto un matrimonio infelice. Lui parlava poco e lavorava tanto. Io mio annoiavo ed ero abbastanza ricca da poter uscire di nascosto con uomini giovani e belli. Dopo un po’, anche Harold cominciò a darsi da fare in giro, credo per ferirmi. Fu solo quando diventai troppo vecchia per attirare i playboy che guardai l’uomo che avevo accanto e mi resi conto di quanto amassi il suo viso. Trascorremmo insieme due anni magnifici prima che il suo cuore cedesse. Sono stata così stupida, Jane. Sono riuscita a vedere la realtà solo dopo che il tempo aveva spazzato via tutto il resto.» Parlava in tono incolore: il dolore dietro le parole era scemato da tempo.
«Mi dispiace.»
«Be’, faresti meglio a dispiacerti per te stessa. Io sono vecchia e ricca e posso dire quello che mi pare. Quindi: cerca di capire cos’è vero per te. Non ha senso sognare tutta la vita la storia di qualcun altro. Sai, quel libro non le ha fatto per niente bene alla Austen: è morta zitella.»
«Lo so.» Quel pensiero la perseguitava da tempo, ed era una delle armi più affilate dei detrattori della Austen.
«Certo che no. È solo un sinonimo arcaico di “donna in carriera”.»
«Senti, tesoro, io ho vissuto la mia vita. Ho avuto i miei momenti di gloria e ora vedo scorrere i titoli di coda. Ma chi può dire quale sarà la tua storia? Quindi vai a prenderti il tuo “e vissero felici e contenti”» concluse, con l’entusiasmo di un allenatore che incita i suoi giocatori.
Era condiscendente, ma in modo tenero. Era giunto il momento di cambiare discorso. Con molta nonchalance.
«Perché non mi racconti della tua infanzia, zia?»
Carolyn rise, morbida come burro a temperatura ambiente. «Ah, la mia infanzia, proprio ora che sono agli sgoccioli. Be’, parlarne non mi dispiace. Sono sempre stata zoppa. La nostra famiglia era povera e io e tua nonna dividevamo un letto che pendeva da una parte, ma non sono certa che sia stata questa la causa...»
Shirley tornò dal bagno mentre Carolyn stava parlando del prezzo del latte quando era bambina e lanciò alla figlia un’occhiata d’approvazione. Meno male che non aveva sentito la parte di conversazione sulla pronipote stramba. Sua madre era un tipo pragmatico, a partire dagli occhiali dalla vistosa montatura fino alle scarpe con il tacco largo, e non poteva certo concepire che sua figlia vivesse nel mondo dei sogni.
Jane avrebbe tanto voluto essere d’accordo. Insomma, una trentenne non poteva fantasticare sul personaggio di un romanzo vecchio di duecento anni al punto da lasciarlo interferire con la sua vita e le sue relazioni, quelle sì, reali e importanti. Non poteva, punto.
Jane si ritrovò in bocca una foglia di rucola.
Quarta di copertina
"Tutta colpa di Mr Darcy" di Shannon Hale, Piemme, 2017.
Che cosa distingue una semplice lettrice di Jane Austen da Jane Hayes? Tutto: nella sua testa parole come "orgoglio", "pregiudizio", "ragione", "sentimento" hanno un significato ben diverso da quello del dizionario, e soprattutto, per lei, non c'è nessun uomo al mondo di cui valga la pena innamorarsi. Perché nessun uomo è e sarà mai Fitzwilliam Darcy - tranne Colin Firth nella migliore interpretazione della sua carriera, si capisce.
Così, anche se Jane è una single trentenne che potrebbe godersi la vita a New York, le sue chance in amore sono regolarmente sabotate dalla sua fissazione platonica. Finché un viaggio la porta dove ha sempre sognato di andare: complice l'eredità di una prozia, Jane parte per Pembrook Park, Inghilterra. L'unico posto dove, tra costumi d'epoca, carrozze, balli di gala e rigida etichetta, per una modica cifra anche tu puoi vivere il tuo sogno austeniano. E magari innamorarti
Nella villa fuori dal tempo che la accoglie, piena di stanze e servitù, tra personaggi bizzarri che non si fanno problemi a vivere per qualche giorno nel passato, Jane conoscerà un giardiniere belloccio, ma si scontrerà anche con un gentiluomo che si crede un po' troppo affascinante E forse vivrà finalmente il sogno più bello. Quello da vivere nella realtà.
Così, anche se Jane è una single trentenne che potrebbe godersi la vita a New York, le sue chance in amore sono regolarmente sabotate dalla sua fissazione platonica. Finché un viaggio la porta dove ha sempre sognato di andare: complice l'eredità di una prozia, Jane parte per Pembrook Park, Inghilterra. L'unico posto dove, tra costumi d'epoca, carrozze, balli di gala e rigida etichetta, per una modica cifra anche tu puoi vivere il tuo sogno austeniano. E magari innamorarti
Nella villa fuori dal tempo che la accoglie, piena di stanze e servitù, tra personaggi bizzarri che non si fanno problemi a vivere per qualche giorno nel passato, Jane conoscerà un giardiniere belloccio, ma si scontrerà anche con un gentiluomo che si crede un po' troppo affascinante E forse vivrà finalmente il sogno più bello. Quello da vivere nella realtà.
★★★★★
Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?
Tutti i nostri incipit:
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