Gli scrittori della porta accanto

I capolavori di Michelangelo, dalla Cappella Sistina al Mosè



Arte Di Letizia Bilella Figlio di Ludovico Buonarroti Simoni, podestà della Repubblica fiorentina, una famiglia imparentata con i conti di Canossa, la strada di Michelangelo verso le arti si aprì nel 1487 nella bottega del Ghirlandaio.

Michelangelo nell’età tra i 12 e i 17 anni acquisì esperienze d’eccellenza e prestigiose protezioni. Nella bottega del Ghirlandaio dipinse una versione colorata delle “Tentazioni di sant’Antonio” di Schongeuer.
Al giardino mediceo di San Marco, Lorenzo de Medici, riuniva tirocinanti di talento a esercitarsi nella copia dell’antico e nelle arti, guidati da Bertoldo di Giovanni, l’ultimo allievo di Donatello. 
Dal 1490 al 1492 studiò le sculture romane di palazzo Medici, dove conobbe umanisti e filosofi. 
L’adolescente creò i due precoci capolavori, che si possono ammirare nel museo di Casa Buonarroti a Firenze: la “Madonna della scala” e la “Battaglia dei centauri”. Entrambi sono rilievi in marmo, molto diversi. La “Madonna della scala” evoca composizioni e tecniche di Donatello, presenta aspetti inventivi e compositivi originalissimi, nella Madonna seduta di profilo con lo sguardo fisso dinanzi a se, che porge il seno al robusto Bambino al di sotto del manto. La “Battaglia dei centauri”, la zuffa che interseca i corpi umani ed equini, denota un’ispirazione sia dai sarcofagi antichi, presenti a Pisa, sia dagli affollati rilievi bronzei di Bertoldo.


Morto Lorenzo il Magnifico l’8 aprile 1492, Michelangelo, allontanato da casa Medici, trova rifugio nel complesso agostiniano di Santo Spirito. Ammesso dal priore a praticare indagini sull’anatomia nei cadaveri, per gratitudine gli fece dono di un “Crocifisso ligneo”. Ad esso è da avvicinarsi il piccolo Crocifisso ligneo policromo nel Museo Nazionale del Borgello.
Presso il senatore Aldrovandi a Bologna, ottenne un incarico di grande prestigio per l’Arca di San Domenico nella chiesa omonima. Scolpì tre figure marmoree: l’“Angelo reggi candelabro”, “San Petronio” e “San Procolo”.
Tramite Baldassarre del Milanese, il “Cupido dormiente” fu acquistato in Roma come antico dal cardinale Raffaele Riario, il quale, scoperto l’inganno, pretese il rimborso e volle conoscere il “falsario” talentuoso. 

Nel giugno 1496 Michelangelo era a Roma presso il banchiere Jacopo Galli; fu l’inizio di un’esperienza che gli avrebbe aperto ampi orizzonti. 

Il “Bacco” e la “Pietà”, segnarono la maturità professionale dell’artista poco più che ventenne.
Il “Bacco”, scolpito nel 1496-1497 per Riario fu ammirato come statua che rivaleggiava con l’antico: il giovane dio nudo, dotato di due piccole corna, avanza con incertezza d’ubriaco fissando la coppa protesa, mentre un satiro alle spalle gli ruba l’uva, creando una molteplicità di punti di vista. 
Scolpì anche, a grandezza naturale, “Apollo, Cupido e Dio d’amore” identificato nella statua mutila di giovane “Arciere” proveniente dalla collezione Borghese.

Il “Bacco” e la “Pietà”, Michelangelo

A sancire la fama di Michelangelo a Roma e in Italia provvide di lì a poco il gruppo marmoreo della “Pietà”, commissionato dal cardinale francese Jean Bilheres de Logroulas per la cappella dei re di Francia presso San Pietro, installato nel 1500 e in seguito passato nella basilica. La Madonna, sola sul Golgota, tiene in grembo Cristo appena deposto dalla croce, adagiato sulle ginocchia nella morte così come da bambino vi posava nel sonno. Dolce e composta, Maria col gesto della mano sinistra richiama i devoti a condolersi per il sacrificio del Figlio, integro e bellissimo nell’abbandonarsi all’abbraccio materno, dove lo riconduce e lo trattiene la mano destra di Lei, schermata dal sudario per amoroso rispetto di quella carne che è già “Corpus Christi”, specie eucaristica sull’altare della “Mater Ecclesia”. La giovinezza della Vergine fu motivata dall’artista come effetto della sua purezza virginale e vi si scorge un riflesso del verso attribuito da Dante a san Bernardo “Vergine madre, Figlia del tuo Figlio”. La “Pietà” è tra le rare opere di Michelangelo che mostra una finitezza suprema nelle lisce epidermidi e nei tessuti, ricadenti in pieghe e falde abbondanti.
Al 1497 viene datata la “Madonna col Bambino, san Giovannino e quattro angeli” (detta “Madonna di Manchester”), con alcune zone dipinte e altre rimaste allo stato di disegno o di preparazione. La Madonna è seduta su una piattaforma rocciosa, il Bambino le scala le ginocchia afferrando il suo libro, san Giovannino avanza di lato, tra due coppie di angeli lettori o cantori in atteggiamento di solidale confidenza. La gestualità proviene dalle “sacre conversazioni” fiorentine del XV secolo.
L’altro quadro è noto come “Seppellimento di Cristo” o “Andata al sepolcro”; dove fulcro della composizione è il corpo nudo di Cristo morto, sorretto da tre portatori che scendono a fatica i gradini di una rustica scala procedendo verso il sepolcro. La tavola si identifica con quella destinata alla cappella della Pietà in Sant’Agostino, patronato del defunto vescovo di Crotone, Giovanni Ebu, per cui Michelangelo fu pagato nel 1500 dai frati, restituendo però la somma l’anno dopo.

La Madonna di Manchester, il Tondo Doni e il Seppellimento di Cristo - Michelangelo

Nel maggio del 1501 scelse di tornare a Firenze; secondo i biografi per ottenere dall’Opera del duomo l’affidamento di un grande blocco di marmo apuano della cava di Fantiscutti a Carrara alto cinque metri. 

Ultimato nel 1504, il “David” non fu issato in alto sotto la cupola del duomo, bensì collocato sull’Arengario dinanzi al palazzo dei Signori, oggi Palazzo Vecchio, dove rimase fino al 1873. A Firenze “David” era diffusamente presente in quanto icona civica della difesa della città-stato contro il nemico, grazie all’aiuto divino.
Michelangelo presenta un nuovo canone di bellezza maschile autorevole e potente, ispirato alla statuaria e colossale antica vista a Roma. Il suo “David” bilancia il peso del corpo raccoglie l’energia per il tiro, con lo sguardo intento fissa il nemico per calcolare la traiettoria del proiettile. L’opera resta un capolavoro rivoluzionario, emblema dell’arte rinascimentale al suo apice; per l’immediata fama del “Gigante” nel 1504 Michelangelo meritò d’essere incluso tra i massimo scultori viventi nel “De Sculptura” di Pomponio Gaurico. A 30 anni era un artista in ascesa, attivo in numerosi progetti impegnativi.
Nel 1501, mentre iniziava il “David”, aveva accettato di scolpire 15 statue per la cappella Piccolomini nel duomo di Siena: ne fornì soltanto 4: “San Paolo”, “San Pietro”, “San Pio Vescovo” e “San Gregorio papa”.
Abbandonò dei progetti, ne ridimensionò altri. Appartengono al “non finito” i marmorei tondi Pitti e Taddei, ognuno raffigurante la “Madonna col Bambino e san Giovannino”.
Ultimata, invece, la “Madonna col Bambino” nella cattedrale di Bruges, commissionata dai mercanti Mauseron e finita nel 1506. Maria, seduta, sostiene tra le gambe Gesù, che aggrappandosi con le mani si trattiene nel cavo del grembo materno; ma è pronta a lasciarlo intraprendere il suo cammino di sacrificio verso cui guarda.

Tra il 1504 e il 1508 risale la “Sacra Famiglia”, nota come “Tondo Doni” per il formato circolare e la committenza di Agnolo e Maddalena Doni, oggi nelle Gallerie degli Uffizi. 

Protagonisti in pose inedite e complesse, contornati da lineamenti di colore caldo, investiti da una tersa luce irradiante da sinistra, che suscita potenti volumetrie e accende i colori puri e vivi, modulati da effetti cangianti.
Papa Giulio II, nel 1505, gli chiese nuovamente di progettare e di eseguire la sua tomba. Per creare:
una opera per memoria del Papa e per testimonio delle virtù di Michele Agnolo, la quale di bellezza, di superbia e d’invenzione passasse ogni antica imperiale sepoltura.
L’artista iniziò a far cavare i marmi sulle Alpi Apuane, fece portare i blocchi a Roma e Firenze. Presto però il pontefice parve accantonare il progetto, cosicché Michelangelo risentito lasciò Roma per tornare il patria; a nulla valsero i messi papali a farlo tornare. La riconciliazione avvenne mesi dopo a Bologna, dove Giulio II era in guerra contro Venezia. Michelangelo dovette accettare l’incarico di gettare una statua del papa in bronzo per la facciata di San Petronio: alta più di 3 metri, aveva la mano destra levata in atto di benedire e nella sinistra teneva le chiavi.

La creazione di Adamo, volta della Cappella Sistina, Roma.

Il rapporto fra Giulio II e Michelangelo, di grande stima ma di profonda conflittualità, ebbe quale magnifico esito la creazione di capolavori: tra questi, la volta della Cappella Sistina nel Palazzo apostolico, iniziata nel 1508. 

In soli quattro anni Michelangelo aggiunse alla cappella il cielo pittorico che occupa la lunga corsia centrale della volta, con le vele, i pennacchi e le lunette intorno. Una vera “summa” cristiana dalla creazione dell’universo agli antenati di Cristo.
Nella “Creazione dell’uomo”, Dio nel manto affollato di spiriti celesti infonde la vita ad Adamo col tocco dell’indice. Dalla costola di Adamo addormentato crea Eva, che sorge pregando dal fianco maschile. Nella sequenza di “Tentazione” e “Cacciata dal Paradiso terrestre”, entrambi i progenitori accettano il frutto proibito dal serpente femmina, per poi essere cacciati dall’arcangelo, oppressi dal rimorso e dalla vergogna come in Masaccio al Carmina, ben noto al Buonarroti. Le tre storie finali riguardano Noè nel rapporto fra Dio e l’uomo peccatore. Al terrificante “Diluvio universale”, con figure più piccole in cui affiorano memorie della “Battaglia di Cascina”, si affiancano il “Sacrificio” dopo l’uscita dall’arca e l’”Ebbrezza”. Altre storie tratte dalla “Genesi”, sono alternati due cicli pittorici che si compenetrano: gli “Ignudi” a coppie e i grandi medaglioni bronzei da essi sostenuti, raffiguranti le storie guerresche dei Maccabei in finto rilievo con dorature, tra festoni di quercia in cui le ghirlande alludono all’arme Della Rovere. I 20 “Ignudi” sono tra le figure più misteriose e memorabili della volta, inaugurata il primo novembre 1512, suscitando ammirazione e stupore.
A impresa ultimata, Michelangelo tornò a occuparsi della tomba di Giulio II.

Il Mosè e il David, Michelangelo

Una delle sue statue più celebri al modo è il “Mosè”; profeta condottiero, nel quale si rispecchiava Giulio II in quanto successore di Pietro, siede sul punto di alzarsi. 

La sua maestà unisce la saggezza e l’energia, e la sua figura grande più del naturale sprigiona una potenza terribile.
Oggetto di altissime aspettative, concepite fin dal giugno 1515 e interrotte da Leone X, fu costruire in marmo la facciata di San Lorenzo a Firenze. Michelangelo ottenne un contratto che gli assegnava in esclusiva e per intero il progetto di architettura e di apparato statuario; elaborò il progetto fino a raggiungere una versione definitiva, di gradimento dei Medici. La nuova frontiera doveva ospitare una folla di statue e di rilievi, divenendo la massima impresa artistica della penisola nelle intenzioni dell’artista. Nel 1519 il papa annullò l’incarico per indirizzarlo alla Sagrestia nuova, per le tombe dei giovani Medici, capitani e duchi morti di recente e mai degnamente sepolti.
Sul cassone sepolcrale dei Medici del 400 è la “Madonna Medici”, maestosa figura col Bambino posato a cavalcioni del ginocchio e volto al seno di Lei. Ai lati, le tombe di Giuliano duca di Nemours e di Lorenzo duca d’Urbino innalzano le statue dei defunti, al di sopra di due sarcofagi a volute che recano sui coperchi, a coppie, le statue note come le “Parti del Giorno”: la “Notte” e il “Dì”, l’”Aurora” e il “Crepuscolo”. Le “Parti del Giorno” simboleggiano il corso ciclicamente ritornante del “Tempo umano”. Il tempo finito della vita individuale guadagna durata in Terra grazie alla Fama, mentre il Cielo raggiunge la dimensione divina dell’Eternità con la salvezza dell’anima, attraverso l’intercessione dei santi e della Madonna. Delle due “Parti del Giorno” sul sarcofago di Giuliano, la “Notte” è la più celebre, e anche l’unica a mostrare numerosi attributi: del buio, del sonno, e del sogno. Con le “Parti del Giorno”, Michelangelo stabilisce nuovi ed eroici canoni per la figura umana, che troveranno numerosi interpreti e seguaci negli sviluppi del manierismo in scultura e in pittura.

il “Giudizio Universale”

Dopo la caduta di Firenze in mani imperiali e medicee, nell’agosto 1530, Michelangelo si nascose per timore della vendetta di Clemente VII, ma il pontefice lo perdonò affinché riprendesse la guida del cantiere della Sagrestia nuova. 

Nel periodo di latitanza, Michelangelo aveva dipinto per il duca di Ferrara Alfonso d’Este “Leda e il cigno”. Convocato da Clemente VII per un “Giudizio Universale” da dipingere nella Cappella Sistina, partì da Firenze nel 1534, lasciando incompiute le opere in San Lorenzo e le statue in via Mazza.
Il “Giudizio Universale” nella Cappella Sistina fu dipinto per incarico di Paolo III Farnese, papa dall’ottobre 1534, che conferì a Michelangelo la carica di supremo architetto, scultore e pittore del Palazzo Apostolico. L’artista si impegnò nella grandiosa impresa dal 1536 al 1541. L’esteso affresco, si sviluppa attraverso la concatenazione di gruppi e di figure nella scena ultraterrena tra l’arida valle di Giosafat, l’Inferno ardente e i cieli blu oltremare del Paradiso. Buonarroti si concentrò sulla figura di Cristo giudice, attorniato dalla Madonna e dai santi su nuvole e da una folla d’anime turbinante e agitata, e previde il flusso ascendente dei risorti sulla sinistra e quello discendente dei dannati sulla destra. Glabro ed erculeo, il Cristo trasgredisce ogni iconografia tradizionale apparendo come un giovane dio antico, in atto di sollevarsi con impeto dal suo trono di splendore. Ritrosa, invece, la Vergine nell’alone di luce al suo fianco, come turbata dalla vista dei peccatori che la sua materna intercessione non è riuscita a salvare.
L’inferno gremito di anime dannate e di diavoli è dominato da due figure mitologiche, Caronte il traghettatore e Minosse il giudice, che manifestano il ricordo della “Divina Commedia” di Dante. Il “Giudizio” resta attraverso i secoli un apice della pittura di tutti i tempi, che nel rispecchiare le inquietudini della Chiesa cinquecentesca tra eresie, scismi, guerre di religione e anelito riformatore, tocca le corde dell’universalità mettendo in figura le speranze e i timori dell’essere umano.
Finito il “Giudizio” nel 1541, Michelangelo con dei collaboratori tornò a scolpire la per la tomba di Giulio II, portandola a compimento nel 1545, Sono di questi anni le statue di “Rachele” o la “Vita contemplativa”, slanciata verso l’alto in un impeto di preghiera, e “Lia” o la “Vita attiva”, stante con matronale gravità.
Tra il 1542 e il 1550 per incarico di Paolo III, dipinse nella Cappella Paolina appena costruita, per uso privato del papa, due affreschi dedicati ai Principi della Chiesa: la “Conversione di Saulo” e la “Crocifissione di Pietro”.

Negli ultimi anni romani, fino alla morte il 18 febbraio del 1564, Michelangelo si impegnò in progetti e cantieri d’architettura. 

Un primo gruppo marmoreo monumentale per la propria tomba, lo avviò verso il 1549 e lo abbandonò nel 1555. Composta dalle quattro figure di Cristo morto, la Madonna, la Maddalena e Nicodemo (suo autoritratto); questa “Pietà” è percorsa da dinamiche piene di pathos, che fanno interagire i tre viventi e il cadavere attraverso le prese sugli arti, e gli allacciamenti affettuosi. L’opera fu completata da Tiberio Calcagni per il fiorentino Bondini.
Nel trentennio romano di Michelangelo, i pontefici da Paolo III in poi si erano avvalsi delle sue capacità di architetto, affidandogli incarichi nelle sfere del sacro e del civile. Due i progetti che egli concepì (completati da altri dopo la sua morte): la piazza del Campidoglio e la basilica di San Pietro. I capisaldi della città eterna portano il segno della progettualità di Michelangelo, capace anche in età senile di invenzioni grandiose e di soluzioni originali, nonché di un impegno simultaneo in più imprese e cantieri.
Nel 1561 Pio IV decise la conversione delle “Terme di Diocleziano” in una basilica, da intitolarsi a “Santa Maria degli Angeli e dei Martiri”. Michelangelo trasformò il “tepidarium” in uno spazio chiesastico di originalità unica, innalzando muri divisori per ricavare cappelle coperte a crociera e riusando parti dell’antica fabbrica imperiale. Da tre progetti di Michelangelo per Pio VI prese forma Porta Pia.
Supremo nelle singole arti e nel composto d’esse, meritò che già i contemporanei si avvalessero per definirlo dell’eccezionale categoria critica della “terribilità”: prerogativa di un’espressione artistica la cui potenza era sempre raggiunta attraverso le “difficoltà”, in una ricerca instancabile del superamento dei propri stessi traguardi. Impersonò il più alto vertice dell’arte fiorentina e al tempo stesso la travalicò, aprendo nuove strade al Rinascimento.
Non ha l’ottimo artista alcun concettoc’un marmo solo in se non circoscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbisice all’intelletto.

Letizia Bilella

Letizia Bilella
Diploma di maturità in Perito Commerciale e Programmatore, e laurea in Conservazione dei Beni Culturali (nello specifico in Beni Archivistici e Librari). Amo i libri sia come contenitore, sia per il contenuto. Amo scrivere, sia nel senso proprio di impugnare una penna, sia buttare idee su un foglio e dar loro forma. Dal 2010 collaboro con un settimanale della mia provincia (AG), e con varie testate giornalistiche della zona, occupandomi di cultura, spettacolo, e in alcuni casi anche di politica locale. Nel mio piccolo comune (Burgio) faccio la guida turistica, e collaboro attivamente con l’Amministrazione Comunale nell’organizzazione di eventi. Amo tutto quello che è arte, in ogni sua forma, ogni suo aspetto.


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